scritto da Luigi Gravagnuolo il 16 Marzo 2022 per Gente e Territorio
Siamo alla conclusione di questa veloce carrellata sui cinque referendum sulla giustizia sui quali potremmo essere chiamati a pronunciarci in primavera. Uso il condizionale perché non è scontato che ci arriveremo; sulla carta, infatti, il Parlamento avrebbe ancora i margini per vanificarli legiferando in materia. Non è tuttavia facile, la guerra russo-ucraina, la recrudescenza del Covid, le rilevanti problematiche sociali ad esse connesse, impongono alle Camere altre priorità. Vedremo, per il momento ragioniamo supponendo che si svolgano.
Se dunque nove Consigli Regionali hanno deliberato per avanzare la richiesta dei referendum e se in tempi record furono raccolte in calce ai moduli oltre settecentomila sottoscrizioni, poi non depositate in Cassazione per un blitz della Lega, è evidente che il tema giustizia sia molto avvertito nel nostro Paese. Senza prenderla per le lunghe, la fiducia dei cittadini nella giustizia italiana è ai minimi storici, è urgente restaurarla. A fronte dell’inerzia del Parlamento sarebbe stato auspicabile che nel Paese si sviluppasse un grande dibattito ed i referendum avrebbero potuto esserne lo strumento e l’occasione. Purtroppo, che si voti o no, così non sarà. La guerra e il Covid di fatto hanno spostato l’attenzione di tutti noi, non solo degli addetti ai lavori dei palazzi alti, dal confronto referendario ai temi che giustamente più ci preoccupano.
Ci si aggiunga il carattere tecnico dei quesiti, certamente non di facile comprensione per i più, il che non aiuta al coinvolgimento dell’opinione pubblica. Tale tecnicismo avrebbe fatto sì che, quand’anche non fossero subentrati i drammatici eventi di cui sopra, il confronto si sarebbe polarizzato tra garantismo e giustizialismo in modo generico, a prescindere dal merito dei singoli quesiti. I garantisti avrebbero votato e, se si voterà, voteranno per cinque Sì, i giustizialisti per altrettanti No. Non sarebbe stato il massimo del confronto delle idee, ma un’indicazione, generica finché si vuole, l’avrebbero pur data e il legislatore avrebbe avuto comunque un indirizzo da seguire.
Non sarà purtroppo così. Ad oggi, se il Parlamento non interviene prima, la prospettiva è duplice. Quanti temono che i votanti non raggiungano il quorum minimo della metà più uno degli aventi diritto spingono perché i referendum siano accorpati al voto amministrativo, chi invece vuole svuotarli di senso, punta ad un voto separato che, nel contesto attuale, è quasi certezza di astensione maggioritaria. Insomma, se si voterà, o avverrà contestualmente alle amministrative o in un giorno a sé stante.
Saranno mille i Comuni che rinnoveranno le proprie compagini amministrative in primavera, di essi ventitre sono capoluoghi di Provincia, quattro anche capoluoghi di Regione. Non c’è dubbio che, abbinandovi i referendum in un election day, sarebbe più facile raggiungere il quorum. Con una controindicazione però, sarebbe infatti ancora più difficile che l’attenzione degli elettori si concentri sui quesiti referendari.
Come che vada, insomma, di giustizia si parlerà poco e nel disinteresse generale. Peccato, sarebbe stata una grande occasione per un approfondimento di massa sui temi della giustizia.