da Nicola Femminella
Di questi tempi la scrittura aiuta anche per cercare una pausa al dolore che invade tutti noi a causa delle atrocità che si consumano in Ucraina, dove la follia umana miete vittime innocenti, inermi come le deboli spighe di grano recise dalla falce omicida. Ora che nel sud il tempo volge al bello per una pioggerellina benefica dopo una siccità durata decenni. Cade sul Mezzogiorno d’Italia e penso che farà bene alla sua fioritura, sempre annunciata e mai avvenuta. Di certo siamo stati penalizzati per anni nella ripartizione dei fondi assegnati al sud, ma anche noi abbiamo fatto poco in tema di progettualità e impegno per meritarli. Ma è tempo di mettere da parte il passato, le cifre certe e impietose che non lasciano spazio alle polemiche sono nel rapporto Svimez 2021 e nei fascicoli delle statistiche, lette e decodificate meglio forse dai governanti della U. E. che hanno raccomandato di indirizzare le risorse del PNRR soprattutto al sud, perché tramite una sua ripresa, cresca l’intero Paese. Sperano così che i nostri rappresentanti non vadano più a Bruxelles col cappello tra le mani a implorare oboli ed elemosine e che gli eventi cupi internazionali non intralcino il cammino iniziato.
Ma soffermiamoci sul Vallo di Diano. Altri 6 milioni di euro di fondi del PNRR assegnati al Consorzio di Bonifica Vallo di Diano e Tanagro. Il Presidente Beniamino Curcio: “Il progetto contempla una serie di investimenti finalizzati all’ammodernamento del sistema irriguo del territorio…” Plaudiamo ai meriti che il Consorzio da alcuni mesi consegue sul campo e assolviamo all’obbligo di qualche riflessione. Con le opportunità del PNRR, la legge sulle Aree Interne, Il Piano Sud 2030, Il Documento Regionale di indirizzo strategico DGR 489-Programmazione 2021/2027 e con tutti i dispositivi dell’U.E., dello Stato e della Regione Campania si è aperto uno scenario nuovo anche a favore delle nostre terre. In particolare nel comparto dell’agricoltura, che negli ultimi anni ha visto da noi la fuga degli operatori agricoli dai campi, con l’aggravio di un settore che, insieme a quello dell’allevamento, ha sempre prodotto nel Vallo di Diano riflessi positivi su occupazione e reddito sicuro. Ora ai lati dell’autostrada e delle arterie interne lo sguardo scopre vaste estensioni di terreni incolti ed è raro vedere nei campi gruppi di lavoratori intenti alle coltivazioni, anche in zone ad alta redditività agricola. In collina è scomparso il giallo del grano maturo. Non diverso è lo stato dell’agricoltura negli altri comprensori del Cilento, dove sono gli anziani a mantenere un lumicino acceso nei campi. Analogo vuoto si nota nelle stalle, dove una volta la luce fioca del primo mattino o della sera vedeva gli allevatori raccogliere la quantità giornaliera di latte dal parco bovino. Basta un dato e riguarda Sassano che, insieme a Teggiano e Montesano, aveva nel secolo scorso il maggior numero di aziende agricole e stalle aperte. A Sassano negli anni 80 erano quasi mille con 800 ricoveri per gli animali. Già nel 2010 erano 350 con 220 stalle. Ora sono ulteriormente diminuite, nonostante ci sia stato un incremento negli allevamenti di suini. I campi nella valle costituivano un quadro variopinto simile al vestito di Arlecchino: un cromatismo piacevole e diffuso ostentava le varietà di culture praticate: erba medica, ortaggi, cereali. Non mancava in alcuni paesi a fine anno il reddito derivante dalle coltivazioni di tabacco e barbabietola. Nei pressi delle abitazioni, la stalla e gli alberi da frutta compresa la vigna e l’orto/dispensa. Una simbiosi ben riuscita tra uomo e ambiente. Ancora oggi si celebrano sui mercati nazionali i prodotti del Cilento: i fichi bianchi D.O.P. prodotti in 68 paesi cilentani, i fagioli di Controne e Casalbuono, i peperoni sciuscilloni di Teggiano e Sassano, i broccoli di Sala Consilina, le castagne di Futani e Sicignano, il carciofo bianco di Pertosa e tante altre preminenze a significare che nei territori esistono antiche vocazioni e risorse da recuperare: i Romani a Velia usavano i fichi secchi come cibo di riserva nelle campagne militari. Certo oggi la terra coltivata con le modalità di una volta non esercita nei giovani l’appeal che ci vuole per dedicarsi ad essa e farne uno sbocco occupazionale. È una vita dura e, si sa, nelle stalle non si va con il vestito della festa. E allora si lascia incolta la terra? Il settore è precluso all’occupazione dei giovani? È preferibile lasciare il proprio borgo? I prodotti agricoli devono essere banditi dalla prossimità? E i fondi dati al Consorzio e alla Comunità Montana, quindi, sono soldi inutili e sprecati? E i ristori per l’agricoltura che fine faranno? Con l’inflazione alle stelle che riguarda anche i prodotti alimentari, sembra che nuove considerazioni emergano dallo scambio di opinioni con le nuove leve. Il Covid, la guerra in Ucraina, l’aumento del prezzo del pane e della pasta invitano a riflessioni e analisi diverse soprattutto nelle nostre zone dove la minaccia della povertà procura nuovi atteggiamenti nei confronti del lavoro e il mito della globalizzazione, offuscato dai fumi delle bombe, meno sicurezza nell’intraprendere un viaggio verso paesi stranieri. Allora, esiste la possibilità di un ritorno alle attività connesse alla coltivazione della terra e all’allevamento di animali, entrambe le attività in forma, di certo, rinnovata? Antonella, una giovane di Sassano, ci ha provato e, assicuro, con risultati soddisfacenti. È riuscita a costruire una struttura agrituristica biologica ai piedi del monte Cervati, nella Valle dell’Orchidea, oltre a recuperare in pianura la stalla di famiglia e circa cinque ettari di terreni messi a coltivazione in poco tempo. Con passione e determinazione, ha dotato l’azienda di macchine e attrezzature che l’aiutano nel lavoro di ogni giorno. Produce conserve, formaggi, salumi, alleva animali da cortile, coltiva ortaggi e ogni ben di Dio. Il tutto di gran qualità e apprezzato da una clientela in crescita. La figlia laureanda in Economia è ben decisa a far parte dell’azienda insieme alla mamma, che pensa di assumere qualche collaboratore di cui si sente il bisogno. Altre iniziative simili si stanno diffondendo tra Casalbuono e Auletta e mostrano modelli in linea con i nuovi mercati e con un fatturato assicurato.
Ne ho parlato con il presidente del Consorzio Beniamino Curcio e abbiamo concordemente indicato nella scuola il punto nevralgico della tematica. C’è una via obbligata da seguire: il Consorzio di Bonifica con i due ultimi finanziamenti milionari ricevuti e la Comunità Montana con i circa 17 milioni del progetto Aree Interne, di cui ho parlato in un servizio precedente, hanno determinato due acquisizioni destinate a incidere fortemente sulle comunità del Vallo di Diano, se la gestione dei progetti da parte dei due enti sarà illuminata e svolta con acume e profondo senso di responsabilità. In particolare ci dovrà essere un dibattito, il più allargato possibile, di grande respiro sugli interventi da apportare, che sono orientati verso l’innovazione epocale e le tecnologie più avanzate, se fondate su modelli sperimentati con successo e suggeriti dalle università e dai centri di ricerca più autorevoli. Il primo atto che i due enti comprensoriali devono compiere è quello di coinvolgere l’Istituto professionale per l’agricoltura di Sala Consilina, che dovrà diventare un focus, un laboratorio in grado di costruire una visione complessiva di tutte le azioni e iniziative da dispiegare sul territorio. Avvicinare i giovani studenti al settore, per individuare convenienze e piste da tracciare. Creare in loro uno sguardo lungo per intravedere investimenti sicuri. Per ottenere tali risultati legati a scelte da fare e decisioni da prendere, l’inizio è costituito dall’approfondimento dei contenuti e dei significati profondi insiti nei progetti dei due enti di cui abbiamo parlato. Mai come in questi casi il governo politico del territorio dovrà aprirsi alla società e, in particolare, alla scuola, con la quale costituire una interlocuzione fattiva e un’alleanza forte per affrontare la sfide di un tempo difficile e irto di campi minati. In agricoltura, nei territori del Cilento, per il futuro delle giovani generazioni, la scuola e gli enti di rappresentanza delle comunità sono ad un bivio epocale, che potrà nei nostri borghi riaccendere le luci della notte. Il Presidente Beniamino Curcio ne è convinto e deciso a intraprendere le giuste iniziative su quanto ho riferito.