ORDINI PROFESSIONALI: E’ meglio avere tutte le cose in …. ordine

 

da Carlo Ceresoli (giornalista)

 

Si sa che per avere ogni cosa a posto è necessario tenerle in ordine. Sì, ma quale ordine, quello stabilito da ognuno o ci sono delle regole  uguali per tutti? Dipende dall’obiettivo. Quando  il fine è  tutelare i cittadini nelle relazioni con i tecnici professionisti si reputa utile prevedere la loro iscrizione ad un albo, ad un collegio o ad un ordine.

La questione è già antica. Nel 1923 la legge n°1395 consentiva di esercitare la professione anche ai non iscritti agli ordini, è stata poi modificata nel periodo fascista dalla legge. n°897 del 1938, in pieno regime razziale. Infatti, potevano esercitare la professione tutti coloro che  erano iscritti agli albi e potevano essere iscritti solo quei  professionisti che riuscivano dismostrare di essere dotati di specchiata moralità e di completa aderenza  ai programmi politici del partito fascista.

Era l’epoca delle leggi razziali e lo scopo di questa norma era quello di impedire l’esercizio della professione ad antifascisti, omossessuali ed ebrei.

Nulla ha potuto la forte obiezione  del  grande politico economista e secondo presidente della Repubblica Luigi Einaudi che non criticava la presenza dei professionisti negli ordini ma contestava l’obbligatorietà della iscrizione per esercitare la professione.

Eppure, già in epoca romana i lavoratori che svolgevano lo stesso mestiere si univano in associazioni ed avevano un rilevante ruolo nella vita politica.

Nel XII secolo le diverse associazioni si riunirono in ‘corpi di mestiere’ e si diffusero in molte delle città europee. I lavoratori aderenti erano vincolati da un giuramento e si impegnavano ad una assistenza reciproca e a difendere gli interessi comuni per impedire di competere tra loro.

Nel XVII secolo, queste associazioni riunite, furono definite ‘corporazioni’ poiché, dotate di un proprio statuto, avevano come compito principale quello del monopolio nella difesa dell’esercizio del proprio mestiere. Tant’è che con la diffusione del pensiero illuminista, che propugnava il libero mercato, le corporazioni vennero escluse dalla vita politica ma mantennero un ruolo economico predominante.

Nella società attuale non vi è rigorosa chiarezza rispetto alle definizioni di queste corporazioni. Si chiamano ‘albi’ o ‘ordini ‘ le associazioni di professionisti che devono essere in possesso del titolo di studio più alto, la laurea. Mentre gli iscritti ai ‘collegi’ sono quei professionisti solo diplomati. Vi sono però delle incongruenze terminologiche, infatti esistono ‘ordini’ come quello dei giornalisti per iscriversi al quale non è prevista la laurea mentre per iscriversi al collegio dei geometri, ad esempio, basta il diploma, anche se sono laureati triennali o magistrali,  invece per l’iscrizione al ‘collegio’ dei notai questi ultimi devono essere in possesso necessariamente della laurea.

Dal 1938, quindi, per esercitare la professione è obbligatoria l’iscrizione a uno dei 31 albi professionali esistenti in Italia ai quali si accede dopo aver superato un ulteriore esame di abilitazione alla professione, oltre quelli universitari, e si accetta di rispettare un codice deontologico. Il professionista che, una volta conseguita la laurea o le lauree, esercita la sua professione senza essersi iscritto al suo albo di riferimento, incorre nel reato di esercizio abusivo previsto dall’art 348 del codice penale.

In Italia gli ordini e gli albi sono riconosciuti come enti pubblici non economici autonomi e sono oggetto di vigilanza da parte  del Ministero della Salute per le professioni sanitarie, del Ministero della Giustizia per le professioni delle aree giuridiche, tecniche ed economiche.

La loro funzione è quella di garantire la qualità delle prestazioni professionali, tenuto conto dell’obbligo della formazione continua prevista dal DPR 137/2012, e la congruità degli onorari applicati. A questo proposito il tariffario minimo, oggetto di critiche perché non conforme ai principi della UE sulla libera concorrenza, è stato abolito dalla legge n°248/2006 nota come decreto Bersani, in seguito con la legge n°27/2012 sono state soppresse le tariffe professionali ed introdotto l’obbligo di sottoscrivere un contratto con il cliente. A conferma della rilevanza del tema, il 23 aprile 2013 presso l’ufficio legislativo del Senato,  è stato depositato il Disegno di Legge n°2852 che prevede la soppressione degli Ordini professionali e l’istituzione di un Registro pubblico degli abilitati.

Anche l’Unione Europea ha manifestato la medesima intenzione con la Direttiva n°958 del 28/06/2018 che dispone di chiudere gli Ordini Professionali entro il 2020.

Intanto però, il DdL sulla riforma degli Ordini professionali e le sperimentazioni cliniche proposto dal Ministro della Salute Lorenzin è divenuto legge n°3 del 11/01/2018.

La legge istituisce gli albi di altre 17 professioni sanitarie che vanno a completare il quadro normativo per tutte le 22 professioni in ambito sanitario, per cui ogni professione avrà il suo Ordine di riferimento.

Inoltre viene modificato lo status giuridico degli Ordini che ora agiscono quali ‘enti pubblici non economici’ sussidiari dello Stato e non più solo ausiliari, rivelando un’autonomia economica e patrimoniale. La norma sancisce anche il principio di separazione tra i loro organi amministrativi e gli organi disciplinari, i cui componenti vengono nominati dal Tribunale competente per territorio.

Pertanto avendo compiti sussidiari dell’amministrazione statale ed essendo il Consiglio di disciplina nominato dal Tribunale organo del Ministero di Giustizia, il giudizio alle contestazioni rivolte ai professionisti iscritti assumono il valore  di vere e proprie ordinanze che possono essere impugnate con il procedimento amministrativo di rito.

La storia degli Ordini  professionali è stata caratterizzata fin dalla loro nascita da pareri contrastanti, finanche la Unione Europea ne ha giudicato la soppressione entro il trascorso 2020. Invece non solo è stato attribuita loro l’investitura di ente che può decidere in autonomia il futuro lavorativo degli iscritti e può farlo non solo riguardo i contenuti del codice deontologico ma anche per il mancato rispetto delle norme governative. Come un qualsiasi altro Tribunale. Una vera e propria  deroga al :…’ce lo chiede l’Europa’.

 

 

10 marzo 2022

 

dott. Carlo Ceresoli

 

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