FEMMINICIDI: Anna e le altre … tutta colpa dei social ?

 

Aldo Bianchini

Anna Borsa, trent'anni, uccisa dal suo ex mentre era al lavoro

SALERNO – A bocce ferme, quando ormai sono stati consumati tutti gli aggettivi per descrivere la ferocia insulsa di uno spregevole assassino (alludo alla morte di Anna Borsa, uccisa a Pontecagnano il 1° marzo scorso dall’ex fidanzato Alfredo Erra), e dopo tutte le ovvietà che hanno caratterizzato il profluvio di parole (anche senza senso) uscite dalla bocca di tutti (i sindaci di Pontecagnano, Salerno, San Mango Piemonte, il presidente della Provincia) è giunto il momento di qualche piccola ma sincera riflessione.

La prima domanda che viene fuori, dopo i tanti femminicidi che già hanno insanguinato l’inizio di questo anno, è:

I femminicidi come gli infortuni mortali sul lavoro ?”; le caratteristiche sono tutte quelle, anche se fortunatamente i femminicidi non raggiungono ancora le quote stratosferiche delle morti bianche. Le caratteristiche sono simili perché quando accade un femminicidio o un infortunio sul lavoro tutti parlano, tutti hanno la soluzione in tasca, tutti diventano improvvisamente scienziati della materia, ma nessuno (e sono passati già decenni !!) fa qualcosa di concreto per la risoluzione di questi due abominevoli punti neri della società moderna. Le panchine rosse non servono a niente, così come non servono gli annunci apodittici degli uomini dello Stato contro gli infortuni mortali sul lavoro; capisco la difficoltà immensa da affrontare per la risoluzione improbabile dei problemi, almeno dovrebbero, però, osservare il più rigido silenzio quando questi fatti accadono.

E rapidamente arriva anche la seconda domanda:

Ma è tutta colpa dei social ?”, la risposta è no, anche se una grande fetta di responsabilità ce l’hanno proprio i social che hanno aperto le frontiere alla comunicazione diffusa e, quindi, scadente e pericolosa. Al di là dei social ci sono poi, per quanto attiene il femminicidio, le tantissime trasmissioni televisive nazionali e le riviste settimanali che invitano all’emulazione, incentrate tutte sul sessismo più sfrenato con tante ragazze pon-pon che mostrano culi e tette spregiudicatamente. Ma anche qui attenti a non insistere sull’argomento perché, giustamente, il corpo è di chi lo possiede e ne fa ciò che crede. Bene così, ma bisognerebbe cercare di tamponare la diffusione senza controllo dell’accesso ai social, almeno ponendo delle regole stringenti alla pari di quelle che esistono per le registrazioni delle testate giornalistiche come questa e tante altre. Ma questi sono discorsi difficili da affrontare in questa sede. Sicuramente i social hanno esacerbato gli aspetti caratteriali più beceri sia dell’uomo che, soprattutto, della donna; ma anche questo discorso è difficile, si finisce facilmente per essere additati come sessisti o antisessisti.

E cosa bisognerebbe fare ?, la risposta non ce l’ha nessuno, figurarsi se posso averla io che davvero non sono nessuno.

L’unica cosa da dire, dopo l’ennesimo femminicidio e dopo gli ultimi clamorosi infortuni mortali sul lavoro, è quella che la società dovrebbe farsi carico di avviare, finalmente e concretamente, la cultura della sicurezza sul lavoro (senza i dispendiosi e dispersivi corsi di formazione che non sono serviti a niente se non ad arricchire qualcuno) e dell’ottimizzazione dei rapporti interpersonali tra uomo e donna spingendo il primo verso il riconoscimento definitivo della parità di genere e la seconda verso il riconoscimento che la parità di genere non significa soltanto esporre culi e tette come fanno in tv.

Nel frattempo cerchiamo tutti di dedicare un secondo del nostro pensiero all’incolpevole Anna che per colpa di Alfredo ha dovuto lasciare questa terra.

 

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