Sicurezza – opportunità lavorative e infortuni (3): il progetto della LAIF

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Nel precedente articolo, pubblicato il 3 febbraio scorso, ho cercato di esaminare  le ragioni o le concause che molte volte portano le piccole e medie aziende vittime del cosiddetto “abuso economico” sono costrette a superare alcune costose e farraginose norme che delineano i confini tra la sicurezza e l’insicurezza (ed anche l’igiene) sui luoghi di lavoro; purtroppo questo fenomeno è diffuso e si è ancora più allargato durante e dopo il periodo della gravissima pandemia che ha colpito il nostro Paese ma anche il resto del mondo.

Il tutto ha determinato (come ho scritto in precedenza) che, subito dopo il cosiddetto “miracolo a Milano” nel corso del quale (durante le elezioni del Presidente della Repubblica) quando anche la casistica infortunistica sembrava essersi fermata, c’è stata ed è tuttora in corso una recrudescenza del fenomeno con l’immancabile coda del profluvio di parole, parole, parole da parte di tutti, a cominciare ovviamente dal Presidente della Repubblica.

Ma questa può apparire anche come retorica stanca e ripetitiva (alludo alle mie lamentele), ed è per questo che conviene ritornare al più volte pubblicizzato “progetto LAIF”; progetto strutturato, come dicevo, dalla LAIF (Libera Associazione Imprese Façoniste), con sede nazionale in Via Parmenide n.6 a Salerno – presieduta dal dr. Carmine Traversa) che da tempo sta lavorando a tutela soprattutto delle aziende associate, cioè le migliaia di micro imprese del terziario tessile per la confezione ma anche con attenzione al sistema generale della prevenzione e della sicurezza.

Dietro ogni infortunio sul lavoro, mortale e/o invalidante che sia, c’è sempre la componente costo-produzione-sicurezza; un problema che tocca tutte le aziende di qualsiasi dimensione esse siano (faconiste, fornitrici, di servizio, ecc.). Su questo la LAIF ha le idee molto chiare e dal suo progetto (coordinato anche da Antonello Di Cerbo, già candidato al Consiglio Regionale per il PSI) si osserva:

Non è stato sufficiente un ventennio per consentire al sistema “façon – subfornitura” di esprimere tutta la sua potenzialità in ordine a capacità di creare, mantenere ed incrementare posti di lavoro ed a determinazione nel confermare il proprio ruolo, importante e vitale, quale componente attiva e strategica della media e piccola imprenditoria operante nell’intero sistema economico, ancora oggi utilizzata e sfruttata da quella grossa imprenditoria della produzione, della distribuzione e dei servizi a cui viene attribuito, forse impropriamente, il ruolo trainante dell’economia italiana. Ancora oggi, come fossero operatori sconosciuti al sistema, i façonisti ed i subfornitori in genere non hanno recuperato alcuna precisa identità. Non sono riconducibili a nessuna delle categorie richiamate dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro ed hanno avuto a disposizione solo strumenti contrattuali pensati ed attuati per i settori della produzione diretta, a dir poco penalizzanti considerata la loro posizione di anello debole del rapporto commerciale con i loro committenti; costretti pertanto ad applicare al rapporto di lavoro intrattenuto con i propri collaboratori normative inadeguate, essendo legati ad un regime economico aziendale caratterizzato da estrema instabilità.

Tutto ciò può sintetizzarsi con una sola espressione: mancanza di potere contrattuale, da cui discende l’imposizione, da parte dei committenti, del prezzo di trasformazione della “commessa” che non consente una corretta programmazione aziendale ed addirittura li spinge alle diverse forme di irregolarità cui gli imprenditori ricorrono per ridurre di conseguenza il loro costo del lavoro.  Il rischio che il mondo del contoterzismo corre è quello di diventare economia sommersa, certamente non per scelta e convinzione. Già da una circolare del 19.09.2000 della Confindustria si legge che “la tematica del lavoro esterno ha formato oggetto di un serrato confronto nel corso del negoziato di rinnovo del CCNL del settore tessile-abbigliamento. Oltre a quanto discusso per il lavoro esterno eminentemente decentrato all’estero e del lavoro a façon delle aree ad Obiettivo 1 ed ex Obiettivo 1, il più ampio dibattito è stato dedicato all’argomento della remunerazione dei laboratori contoterzisti (c.d. problema delle tariffe eque)”. La delegazione imprenditoriale non ha inteso dare alcuna indicazione dirigista in tal senso. Questo, come detto, ancor prima del 2000, questo oggi a distanza di oltre 20 anni: purtroppo nulla è cambiato, anzi molto è peggiorato.

Ma c’è una novità che cercherò di analizzare nel prossimo articolo.

 

 

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