Aldo Bianchini
SALERNO – In un articolo del 31 dicembre 2021 (il giorno che saluta l’arrivo del 2022, a trent’anni da tangentopoli) Michelangelo Russo (ex procuratore della repubblica) ha scatenato le reazioni di diversi addetti ai lavori, soprattutto da parte di alcuni suoi ex colleghi magistrati; gli ha risposto l’ 8 gennaio 2022 da par suo (anche attraverso le pagine di questo giornale) l’avvocato Giovanni Falci che, sebbene cordiale amico dell’ex magistrato, con una impareggiabile riflessione tecnico-giuridica ha messo alle corde l’ancora scalpitante vena investigativa michelangiolesca.
L’articolo della polemiche e la risposta sono stati pubblicati da “leCronache.it” (diretto da Tommaso D’Angelo); la risposta dell’avv. Falci è stata pubblicata a che da questo giornale..
Da sempre sono convinto che i protagonisti non devono mai scrivere la storia perché non sono né autonomi e nèmindipendenti; confermo oggi questa mia convinzione anche alla luce del racconto di tangentopoli fatto dall’ex pm Michelangelo Russo.
L’enfasi dei protagonisti porta quasi sempre ad un racconto distorto dei fatti da loro stessi vissuti; ancora peggio quando si tratta di un magistrato che è stato protagonista discusso ed indiscusso. Molte inesattezze, anche storiche, sono emerse dal succinto racconto che Russo fa di tangentopoli con il suo editoriale; una per tutte, l’anno della scimmia (il 1992) non fu l’anno del processo Fondovalle (iniziato il 13.10.93 e concluso il 23.02.94 con la sentenza di primo grado – presidente Pentagallo) ma semplicemente l’anno in cui il 23 luglio scattarono i primi 6 arresti per la Fondovalle Calore.
In quei giorni “Il Mattino”, a firma di Luciano Pignataro, titolava: “Tre Di Pietro anche a Salerno” (Russo, Di Nicola e D’Alessio); ma la storia ci dice che già il 23 luglio 1992 era cominciata per Russo l’estromissione dal “pool mani pulite di Salerno” da parte dei colleghi Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio che quel pomeriggio nell’incontrare la stampa e comunicare gli arresti fecero soltanto un timido accenno alla collaborazione di Russo ed anche di Antonio Scarpa che, lentamente, stava sostituendo proprio Russo nel pool. E va anche aggiunto che durante il processo i due (Di Nicola e D’Alessio) non gli lasciarono neanche una sola udienza.
Questa è storia che andrebbe rispettata innanzitutto dai magistrati ed ancora di più da parte di chi è stato un protagonista (negativo o positivo oggi importa poco e non tocca ad un giornalista stilare giudizi !!) di quegli eventi giudiziari; tutti hanno diritto alla parola, anche i magistrati ovviamente, anche se bisogna fare attenzione alle condizioni ambientali in cui si riscrive la storia; e Russo è inseribile facilmente in questa categoria delle “condizioni ambientali” difficili.
Michelangelo Russo è stato sicuramente un magistrato dal forte intuito investigativo, ma crede di esserlo ancora che non lo è più, e pensa di poter dire e scrivere tutto quello che crede (davvero puerili le sue esternazioni contro il suo ex collega Claudio Tringali che oggi è assessore alla trasparenza); bisognerebbe controllare l’autenticità delle storie raccontate, prima di pubblicarle. E questo non è accaduto.
Diversi gli errori di riferimento storico commessi da Russo; eppure in passato gli ho fatto avere i miei due libri su tangentopoli. Il primo “A dieci anni da tangentopoli” fu presentato nel liceo “A. Genovesi” dallo stesso Michelangelo Russo quando ancora era magistrato; ma sicuramente ne ha dimenticato il contenuto; il secondo “Vincenzo Giordano da sitting bull a sindaco di Salerno”.
La storia è lunga; il 15 gennaio 2013 scrissi un articolo dal titolo “Michelangelo Russo, l’uomo che ha cercato di cambiare la politica !!” (ancora consultabile su questo giornale) per descrivere la genesi della tangentopoli salernitana nata sotto la spinta di Russo proveniente dalla Procura di Milano dove aveva frequentato i salotti bene della magistratura milanese con giudici come Bevere – Alessandrini (ucciso dalle BR) – Cocilovo ed altri; salotti nei quali primeggiava per spessore culturale il mitico Tony Negri (l’ideologo delle B.R.); e scrissi anche che Russo aveva portato a Salerno tutta la sua esperienza milanese anche per il fatto che molti pm di quella Procura frequentavano Acciaroli (dove andavano a scuola tantissimi pm salernitani) grazie alla combinazione dovuta al fatto che il famoso pm milanese Ferdinando Pomarici era sposato con una donna della costa d’oro del Cilento. Ed è su quelle coste che nacque anche il mito di quel famoso avvocato amico di Antonio Di Pietro (citato da Giovanni Falci, nella risposta che ha dato a Russo) e del plenipotenziario locale, l’imprenditore Alberto Schiavo, che spesso ospitava nel suo albergo “Hotel l’Ancora” i mitici pm milanesi. Addirittura Di Nicola e D’Alessio, in quel periodo, andarono a Milano per diversi giorni al fine di concordare azioni giudiziarie successive.
Quindi lo spirito battagliero di Michelangelo Russo nasce proprio dalla frequentazione milanese vissuta tutta in chiave sessantottina (questo è sfuggito a Falci) e, dunque, rivoluzionaria rispetto al sistema che andava abbattuto con ogni mezzo. E per questo non credibile.
La storia sarebbe troppo lunga per essere raccontata in poche righe; offro comunque non solo i miei due libri all’ex magistrato Russo ma anche tutta la mia conoscenza storica di quegli avvenimenti. E lo faccio senza alcun intento di mistificazione della verità.
Per chiudere, nell’attesa di un probabile convegno che le istituzioni dovrebbero farsi carico di organizzare per il 16 aprile 2022 (irruzione e sigilli, di Russo, nello studio tecnico Galdi-Amatucci che segnò il vero inizio di tangentopoli) va detto che già dalla fine del1989 c’era un preciso quadro politico-giudiziario da utilizzare per scardinare il “laboratorio laico e di sinistra socialista”; in questo quadro che dura dal 1990 (cioè dalla grande vittoria socialista con il 33%) probabilmente Michelangelo Russo fu solo una pedina di quel disegno misterioso che tiene tante cose insieme in questo benedetto Paese, un disegno pilotato a turno da condottieri vecchi e misteriosi in quella che molto saggiamente il grande Sergio Zavoli definì <<la notte della repubblica>>.