La redazione
SALERNO – La discussione su “tangentopoli” va avanti; qualche giorno fa in occasione dell’inizio dell’anno del trentennio da tangentopoli l’ex pm Michelangelo Russo ha scritto per “leCronahce.it” un suo pensiero (personalissimo !!) sulla vicenda giudiziaria che infiammò l’Italia. Gli risposero alcuni colleghi magistrati e, soprattutto, anche attraverso questo giornale (come su leCronache.it) l’avvocato penalista Giovanni Falci si è preso la briga di rispondere all’ex magistrato che, più o meno alquanto infuriato, ha controrisposto oggi 8 gennaio 2022 sempre su “leCronahche.it (perchè per Russo questo giornale forse non esiste).
Ed ecco, allora, che giustamente in maniera pacata e molto professionale l’avvocato Falci ha messo i puntini sulle “i” ed ha impalato (a mio contestabile avviso) l’ex magistrato di vaglia Michelangelo Russo.
Tutto questo nell’attesa, ovviamente, di un mio severo approfondimento sull’argomento che ho studiato da osservatore attento e silenzioso.
da Avv. Giovanni Falci (penalista-cassazionista)
L’ultimo pezzo di Michelangelo Russo sul tema “tangentopoli 30 anni dopo” merita alcuni chiarimenti che non vogliono essere polemici ma di semplice dialogo con un amico.
Innanzitutto mi complimento per l’ironia della definizione di “NO VAX DELLA GIUSTIZIA”; una dote, quella della ironia, che ha sempre caratterizzato Michelangelo e, si sa, l’ironia, come dice Umberto Eco nel “in nome della rosa”, è “figura di pensiero“.
Ma l’articolo ha bisogno di alcune precisazioni perché è evidente che non sono stato chiaro nel mio precedente intervento.
Condivido, infatti, il richiamo del dott. Russo al Diritto Romano effettivamente studiato da entrambi nello stesso Ateneo, come allievi dallo stesso docente, il mitico professore Antonio Guarino.
Non capisco però cosa “c’azzecca” (linguaggio tipicamente da tangentopoli e quindi in tema) con quanto da me dedotto in ordine al “genio creativo e inventore”.
Se non mi sbaglio, ho parlato proprio io di funzione nomofilattica della Cassazione che nel diritto consiste nel compito di garantire l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del diritto in uno Stato.
Ma a me è sembrato che Michelangelo nel suo articolo iniziale non si fosse riferito all’opera dei giudici, ma avesse voluto osannare l’azione investigativa delle Procure che avrebbero prodotto “un cambiamento epocale per le istituzioni, a partire dal Parlamento”.
Questa funzione, allora, sicuramente non era quella della juris prudentia romana; quel termine indicava ed indica la scienza prodotta dall’attività dei giuristi non dagli investigatori e soprattutto una attività che non determina “cambiamenti epocali” ma si limita a decidere un caso controverso.
Le istituzioni vanno cambiate da altri organi e poteri dello Stato; da noi oggi si votano i rappresentanti del Parlamento che fanno le Leggi cui è delegato il compito dei cambiamenti; nella Roma antica c’era un altro sistema.
Comunque, è mancata in quel periodo storico di “tangentopoli”, proprio la “prudentia” dei giudici che hanno troppo assecondato l’azione, a volte spinta, di Procure della Repubblica d’assalto e non hanno svolto l’attività di giuristi in senso stretto.
C’è un lapsus calami nell’articolo del 31 dicembre: “un tentennio è passato”. Tentennio che è termine più vicino a quel rumore di ferro delle manette che non ai trenta anni passati.
E poi, se vogliamo dirla tutta quel modo di produzione del diritto dell’antica Roma è durato fino a Giustiniano (565 dc).
La giurisprudenza dottrinale fu considerata una fonte primaria di produzione del diritto a fianco delle leggi, degli editti, dei plebisciti, dei senatoconsulti e delle costituzioni imperiali fino a quando confluì nel Corpus iuris Iustiniani, e tale codificazione influenzò tutti gli ordinamenti successivi degli Stati che in qualche modo avevano avuto un contatto con la civiltà romana.
Perciò il giudice creativo si è fermato alla candela di cera ma non può giudicare con quel metodo il led.
Se vogliamo attualizzare il mondo giudiziario e della giustizia nel nostro paese non è al diritto romano che dobbiamo guardare, ma al suo esatto opposto e cioè alla giustizia CEDU che, senza codici, senza Corpus iuris, risolve e affronta problemi giuridici sulla scorta di principi di diritto sanciti nella convenzione dei diritti dell’uomo.
Il chiarimento però che mi preme fare è sul presunto “insulto” del pool di Salerno.
Ritengo, infatti, veramente e fastidioso e spiacevole tirare in ballo persone con nome e cognome che non ho nominato e che non erano nei miei pensieri quando ho scritto le mie considerazioni che rivendico anche in questa sede.
Che “c’azzeccano” i nomi di quei due magistrati di Salerno, tutti della mia generazione, verso i quali è notoria la mia stima e il mio apprezzamento?
Lo “scimmiottamento” della Procura della Repubblica di Milano è quello che viene fuori dall’articolo di Michelangelo che collega a quell’ufficio giudiziario il “merito” di quanto accaduto in quel periodo “nel resto della penisola a macchia di leopardo”.
E’ lui che ha parlato della indagine di Foggia (che neanche conoscevo) portata avanti da magistrati che avevano “acquisito la mentalità progressista e le capacità tecniche” degli uffici milanesi.
E’ lui che ci ha informato che “diversi di quei magistrati avevano iniziato le loro carriere a Milano”.
Di qui lo scimmiottamento cui mi riferivo e che non riguarda le altre persone tirate in ballo da Michelangelo quasi a invocare un “arrivano i nostri”.
Comunque, per lo meno, voglio prendermi un merito che è quello di avere ottenuto un chiarimento da parte di Michelangelo Russo che relega la “magnifica” Procura di Milano al secondo posto dopo Salerno.
Addirittura “la Procura di Salerno non imitò nessuno, anzi fu un apripista”.
Concludo, perciò, con un’altra metafora del mondo animale: la scimmia ha un’altra caratteristica che la colloca lontano dalla Procura di Milano di quel periodo: le tre scimmie sagge giapponesi del “non vedo, non sento e non parlo”.
Queste tre scimmie insieme danno corpo al principio proverbiale del “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male“.
A Milano non se ne sono viste allora di “bipedi antropoidi” di tal genere, ma non si è neanche vista una quarta scimmia insieme alle altre che simboleggia il principio del “non compiere il male” e può essere raffigurata con le mani incrociate.
Giovanni Falci