da Dr Alberto Di Muria
Padula-Le patatine in busta sono tra gli snack più amati dagli italiani, sconsigliatissime però a chi soffre di colesterolo o di diabete. Ma, attenzione: le patatine contengono una sostanza potenzialmente tossica, ovvero l’acrilammide.
L’acrilammide è un composto mutageno e cancerogeno che intacca il DNA, la cui tossicità si manifesta essenzialmente a livello dell’apparato riproduttivo e del sistema nervoso sia centrale che periferico, tanto che può causare polineuropatia. L’acrilammide si forma durante la cottura dell’alimento ad elevate temperature, grigliatura, frittura, ma anche al forno, in seguito alle cosiddette “reazioni di Maillard”, complesse reazioni chimiche che avvengono tra alcuni zuccheri e amminoacidi, in particolare l’asparagina. L’acrilammide, oltre che nelle patatine, è bene sottolinearlo, si forma anche in seguito alla cottura di altri alimenti, specie amidacei come pane, biscotti, dolci e fette biscottate, per cui è buona norma è quella di scartare sempre le parti bruciacchiate, e anche nel caffè.
I dati in realtà sono ben conosciuti da diversi anni, tanto da portare già dal 1994 a far classificare tale sostanza dallo IARC (International Agency for research on Cancer) come appartenente al gruppo A2 cioè “probabile cancerogeno”.
Secondo uno studio ABR (American Board of Radiology), pubblicato a dicembre 2016 e dunque valido a quella data, si è focalizzato sulla presenza di acrilamide all’interno di patatine fritte confezionate a base di patate, vendute nella GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Dalle analisi condotte è emerso che ben 3 marche su 6 (cioè il 50% dei campioni), presentavano concentrazioni superiori ai valori consigliati dalle Linee Guida europee dell’EFSA che ovviamente le aziende dovrebbero tenere in considerazione.
Le Linee Guida dell’EFSA indicano di non superare i 1000 mcg/Kg. I dati riscontrati a dicembre 2016 “evidenziano un chiaro superamento dei valori rispetto a quanto raccomandato”.
Inoltre, uno studio guidato dall’Italiano Nicola Veronese, pubblicato recentemente sull’American Journal of Clinical Nutrition dimostra che il consumo frequente di patatine fritte aumenta il rischio di mortalità prematura. Infatti, le analisi dei sottogruppi di consumatori hanno dimostrato che chi consuma patatine fritte 2-3 volte alla settimana è soggetto ad un rischio più elevato di mortalità rispetto a chi ne fa un uso morigerato. Lo studio non mira però a demonizzare le patatine fritte ma invita ad un consumo moderato di questo cibo.