Aldo Bianchini
SALERNO – Se fossi chiamato, nell’ambito di una giuria popolare, ad esprimermi per l’innocenza o la colpevolezza di Mons. Nunzio Scarano non avrei alcun dubbio nel togliere il punto di domanda contenuto nel titolo di questo articolo ed a votare in favore all’innocenza e, quindi, dell’assoluzione del prelato perché “il fatto non susssiste”,
Troppo tempo è passato da quel tragico 28 giugno 2013 quando venne inaspettatamente arrestato a Roma; tanto tempo è passato da quando su un tavolo operatorio gli venne applicata una microspia per ordine della Procura di Salerno con la complicità di un medico che lui riteneva amico (fatto evocato nel corso dell’udienza del 24 novembre scorso); troppi gli oltre mille sopralluoghi ispettivi sopportati in casa, troppe le telacamere installate nelle arcate del campanile del Duomo di Salerno per spiare anche i suoi minimi movimenti in casa, troppa la rabbiosa aggressività manifestata dagli inquirenti nei suoi confronti; infinite le umiliazioni personali subite finanche per strada; indescrivibile il dolore per il sequestro e la confisca preventiva della sua abitazione nel centro storico a tutela di un presunto riciclaggio già cancellato dalla Corte di Appello di Roma su prescrizione della Cassazione; brutale e ingiustificabile sul piano giuridico e umano l’accanimento giudiziario nei suoi confronti che, al contrario delle inspiegabili accuse, aveva sempre fatto beneficienza senza limiti e senza differenze di genere.
Ma ecco che i pensieri si dissolvono e luci si accendono, si apre la scena dell’ultima udienza dibattimentale, l’aula della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno lentamente si riempie, misurato il chiacchiericcio tra i presenti con gli avvocati nell’emiciclo, gli spettatori sulle sedie appositamente predisposte, poi il campanellino ed il silenzio cala all’improvviso: una voce stridula annuncia che entra la Corte (presieduta dal magistrato Paolo Valiante); cominciano i giochi finali con la sfilata degli avvocati difensori.
Ore e ore di discussione, gli avvocati si susseguono per offrire una sventagliata di varia umanità e professionalità, dal pragmatismo serafico dell’avvocato Carmine Giovine all’impetuosità dell’avvocato Antonio Zecca. E’ tutto un susseguirsi di sensazioni, a volte anche spiacevoli come quella della rivelazione in aula della scabrosa e mostruosa vicenda della microspia sopra menzionata in presenza dello stesso autore materiale.
Qualche attimo di sosta, quasi come in attesa spasmodica dell’evento tra gli eventi; sono le 16.35 del 24 novembre 2021 quando si alza lui, l’avvocato difensore di don Nunzio “Riziero Angeletti” del foro capitolino, per una discussione finale che è attesa da tutti. Lo guardo da dietro e quella toga lunga quasi fino a piedi mi fa passare nella mente l’immagine di Gesù che si alza per parlare e per spiegare ai suoi discepoli i concetti fondamentali della fede cristiana. E’ pacato e lento nella sua discussione, Angeletti; abilissimo nel descrivere alla Corte i vari passaggi della vicenda e nel captare l’attenzione del Presidente, soprattutto quando le sue citazioni tecniche su numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione si fanno incessanti e lo inducono ad una serrata presa di appunti. Mentre attentamente lo ascoltavo sono arrivato al unto di immaginare che potesse dire “in verità, in verità vi dico …”; non l’ha detto ma la sua persistente e costante ricerca della verità in punto di diritto e con ragionamenti complessi, ma semplici al tempo stesso, ha spianato la strada maestra verso l’assoluzione perché il fatto non sussiste che ha richiesto con forza e senza alternative.
Non ha commesso errori nella sua discussione durata 73 minuti e sul finire con fare composto ha stigmatizzato l’atteggiamento di un difensore che nell’udienza precedente, dopo aver attaccato brutalmente e senza scrupoli Mons. Scarano arrivando finanche a gettare fango sulla sua devozione, aveva richiesto l’assoluzione del suo assistito perché il fatto non sussiste o in alternativa perché il fatto non costituisce reato. Una cosa abnorme, se il fatto non sussiste come si fa a descrivere come un mostro il coimputato Don Nunzio.
Stanco, sudato ma con tutte le sue capacità dialettiche intatte, ha letteralmente distrutto fin dalle fondamenta il castello accusatorio ingiustamente portato avanti e, avvalendosi della c.t. del dr. Ivan Meta, ha pedissequamente ripercorso tutti i passaggi finanziari sui conti bancari e sulle azioni umanitarie riconducibili al sacerdote salernitano assurto ai massimi livelli della Curia romana.
E, infine, il capolavoro; si, proprio un capolavoro quando ha toccato le corde della sensibilità umana ricostruendo la figura di uomo e di sacerdote in relazione alla sua vocazione di fede che Don Nunzio Scarano sta portando avanti con grande dignità e nell’assoluto silenzio.
Ma siamo nel terzo millennio, dove i leoni del circo sono camuffati in giacca e cravatta e i carcerieri in abito talare; vedremo presto se il Collegio avrà il coraggio di riconoscere la verità in un processo solo indiziario ma senza alcun riscontro probatorio.