Giovanni Falci (avvocato penalista – cassazionista)
In questi giorni è stata diffusa la notizia una indagine della Procura della Repubblica di Salerno che ha riguardato alcuni esponenti politici del Comune, la c.d. indagine delle cooperative.
Non si parla di altro!
Soprattutto sembrerebbe che gli attuali indagati siano già tutti colpevoli insieme ad altri futuri e imminenti esponenti politici che a breve saranno raggiunti da provvedimenti giudiziari.
Che schifo!
Questa storia è illegale e va a intrecciarsi con la riforma che proprio in questi giorni ultima il suo percorso legislativo.
Le nuove norme impongono ai magistrati, di non presentare gli indagati, e persino gli imputati già rinviati a giudizio, come colpevoli.
Una novità che sembra non essere entrata in vigore a Salerno.
Si potrà obbiettare che a breve, l’ 8 novembre, il governo dovrà emanare in via definitiva il decreto legislativo che dà “compiuta attuazione” alla direttiva “garantista” dell’Ue — atto di indirizzo comunitario divenuto ormai celebre, e che oggi ancora è possibile “sputtanare” un indagato su stampa e televisione.
In realtà le cose non stanno così.
Le norme oggi vigenti – e che il decreto sulla presunzione d’innocenza discusso in Parlamento integra semplicemente – impongono, nell’ordine, le seguenti incredibili limitazioni ai rapporti fra pm avvocati e giornalisti.
-La “impersonalità” della comunicazione giudiziaria, nel senso che, per citare testualmente la norma “ogni informazione inerente alle attività della Procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento” (decreto legislativo 106 del 2006, articolo 5 comma).
Chi ricorda un famoso PM di Salerno negli anni 80 che appariva con tanto di foto su tutti i giornali, capirà come in quel periodo si sia violata sistematicamente la legge.
-A trattare con i cronisti deve essere il procuratore capo o un altro pm dietro delega del dirigente (dlgs. 106 del 2006, articolo 5 comma 1).
-Il divieto per tutti gli altri pm che non fossero stati delegati, appunto, dal loro capo a dare notizie ai giornalisti (dlgs. 106 del 2006, articolo 5 comma 3).
Ora, perché è possibile che non crediate a quello che sto riferendo riporto la lettera della legge: “È fatto divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”.
-Il potere-dovere di vigilanza del procuratore sui propri sostituti che pur non delegati da lui si rivelassero indebitamente generosi nel ragguagliare la stampa (dlgs. 106 del 2006, articolo 5 comma 4).
Il che vuol dire che il pm responsabile di aver violato il riserbo con qualche cronista può rischiare sia conseguenze sulle valutazioni di professionalità, di cui è competente il Consiglio giudiziario, sia sanzioni disciplinari “il procuratore della Repubblica ha l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell’azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato al comma 3”.
Ora, visto che le norme, sulla carta, erano fin troppo puntuali — almeno a fronte della inosservanza di cui sono state oggetto —, nell’altro decreto legislativo emanato nel 2006 in attuazione della riforma Castelli, recante il codice disciplinare delle toghe, è sancito che costituiscano illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni del magistrato “pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui”.
Sulla scorta di questo quadro normativo è possibile, perciò, affermare che seppur in termini assai generici, il nuovo decreto sulla presunzione d’innocenza era già stato anticipato 15 anni fa.
Nella disposizione appena citata sembra infatti potersi ricomprendere l’abuso del magistrato che dà del colpevole all’indagato, e ne “lede” così il diritto alla presunzione di non colpevolezza stabilito dall’articolo 27 della nostra Costituzione.
Tanto per completare il quadro, sempre secondo l’articolo 2, comma 1, lettera v) del dlgs. 109/2006, scatta l’illecito disciplinare anche per la “violazione del divieto di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106”, cioè appunto per i pm che infrangono il ricordato divieto di parlare coi media se non delegati dal procuratore capo.
Ora a fronte di tutto questo che disciplina rapporti pm/stampa, esiste una corrispettiva legislazione per regolare i rapporti avvocatura/stampa?
Se esiste, sicuramente non è attuata; se non esiste va subito sollecitata perché altrimenti si fa entrare dalla finestra ciò che non entra dalla porta.
Le famose 8 ore di interrogatorio secretato di tale Zoccola la stampa le ha apprese dal PM o da chi? E’ questa una notizia e una informazione utile all’opinione pubblica o è invece una notizia che intende solo sollevare sospetti e alimentare polemiche politiche?
Io non lo so, ma non mi piace questo modo di gestione della informazione giudiziaria.
Dalla palese inosservanza delle regole già in vigore da 15 anni si può dedurre il resto del discorso e rispondere al quesito di come arginare questo malcostume: come sarà possibile che, se non sono state di fatto rispettate le regole più generali in cui le nuove dovranno incastrarsi, il decreto in via di emanazione venga invece rispettato?
La risposta è semplice, e poco tecnica.
È una risposta politica.
Giovanni Falci