On. Enzo Mattina
Mercantini non ne ha colpa, ma è un dato di fatto che la poesia La spigolatrice di Sapri sia stata usata, aldilà delle sue intenzioni, per dare una rappresentazione di Carlo Pisacane totalmente falsa.
E’ servita a inserire nell’iconografia risorgimentale l’immagine di un eroe impaziente che sacrifica la vita per il sacro ideale dell’unità della patria. Un giovane sognatore, reso ancora più credibile dalle fattezze quasi efebiche con quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro, una sorta di miraggio per la povera spigolatrice, avvezza a vedere maschi con la pelle scura bruciata dal sole, di cui era avvertita a sospettare e temere. Il suo cuore comincia a battere veloce, i ferormoni vanno al massimo e, accaldata come non mai, butta via i pesanti panni della popolana e indossa una camiciola di voile, si butta in acqua per stemperare i bollori e poi si mette al seguito del suo eroe, nientemeno che da Sapri a Padula. Alla partenza doveva essere fresca e intrigante e a questa immagine si rifà di certo la scultura ben poco immaginifica di Emanuele Stifano.
Quella statua riconferma l’etichetta addomesticata che la cultura postunitaria volle appiccicare addosso a Carlo Pisacane, l’unica che consentisse di fare dell’ex ufficiale borbonico, repubblicano convinto, socialista della prima ora, mangiapreti e concubino niente di più che un sognatore spericolato.
Sono convinto più che mai che non potesse esservi modalità di unificazione dell’Italia alternativa a quella costruita dall’abilità di uno statista straordinario, quale fu Camillo Benso di Cavour, e dall’ambiguità di un re manovriero, quale fu Vittorio Emanuele II; due personaggi in grado di sfruttare ogni evento a vantaggio del loro progetto di espansione del piccolo Regno di Sardegna.
All’indomani furono loro a rifiutare ogni ipotesi federativa, costringendo Cattaneo e Mazzini a lasciare Napoli alla vigilia dell’incontro di Teano tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi e scommettendo tutto sui plebisciti; furono loro a mantenere sulla testa di Giuseppe Mazzini la condanna a morte che impedì ripetutamente la convalida dell’elezione a deputato del Parlamento unitario.
Mazzini fu recuperato da Umberto I nelle immaginette di celebrazione dell’unità, anche se non poté mai godere di un indulto e morì a Pisa sotto il nome di George Brown.
Pisacane fu deliberatamente dimenticato, perché colpevole di essere repubblicano e socialista e perché si giocò la vita non per eccesso di avventurismo, ma per impedire che il progetto dell’abbattimento del Regno dei Borbone fosse realizzato sotto la regia del Regno di Piemonte.
In un contesto del genere la poesia di Mercantini assurse agli onori della massima diffusione, perché consentiva di ridurre Pisacane all’immaginetta di un santo minore; con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro al posto dei capelli e degli occhi nerissimi, avventuriero romantico, ma temerario e inconcludente.
Dopo 164 anni, il socialismo di Carlo Pisacane risulta di una straordinaria attualità, basta leggere le poche righe che scrisse nel suo testamento sull’innovazione tecnologica e la rapina della concorrenza incontrollata. Anche la sua idea di Repubblica così sbilanciata verso la partecipazione del popolo alla gestione della cosa pubblica non è stata ancora digerita come sarebbe dovuto avvenire.
Non sarebbe male che, dopo 164 anni, si parlasse delle sue opere, del suo pensiero, della sua vita. La statua di Stifano rimanga dov’è, ma sia dedicata alle bagnanti, non alle spigolatrici di ieri o, come sembra auspicare un senatore locale, alle braccianti del Cilento, che i caporali reclutano ancora oggi nei paesini della cosiddetta terra dei tristi per portarle a lavorare sottopagate nella piana del Sele.
Enzo Mattina