Prof. Nicola Femminella (scrittore)
L’apoteosi sabato, 4 settembre 2021! Sventolano tre bandiere tricolore sopra il podio che celebra le tre velociste vincitrici delle medaglie nei 100 metri sulla pista di atletica a Tokio, ove si è conclusa la XVI edizione dei Giochi Paralimpici 2020. Sono tre splendide ragazze italiane. A guardarle, felici per la vittoria, si dimenticano volentieri fatti e personaggi beceri che affollano i canali televisivi. I nomi sono quelli di Ambra Sabatini, Martina Cairone e Monica Contrafatto. Le prime due prive di una gamba perduta in un incidente d’auto, la terza in una missione di guerra in Afghanistan. Ho seguito la gara con grande trepidazione e ho gridato e alzato le braccia al cielo, trattenendo le lacrime dopo il rush finale delle ragazze. Ma soprattutto ho cercato il viso e i gesti di ognuna, come faccio sempre quando voglio conoscere l’anima delle persone. È una mia abitudine che ho assunto in cinquant’anni di vicinanza a bambini e adolescenti, per poterne comprendere il magma non semplice che si consuma, attimo dopo attimo, nella parte più intima del loro essere nel proprio spazio vitale. La luce che trasmettono gli occhi delle tre ragazze, pur miste al calore delle lacrime, rivela lo spazio infinito dell’universo e vi si specchiano i colori degli oceani e della sfera celeste e le loro sovrumane distese. Vi ho scorto la definitiva accettazione dell’ingiusta e maledetta infermità che le ha mutilate nello splendore della loro età, ma non ne ha arrestato l’ardore e la forza agonistica, non ha eretto un muro invalicabile alle loro aspirazioni, non è riuscita a recidere brutalmente i sogni costruiti fino a quel tragico incidente. Da allora, giorni e giorni di duro lavoro per la riabilitazione, con allenamenti estenuanti per riprendere le gare, sconfiggere la voglia di mollare tutto, senza mai abbassare gli occhi, ma sempre a inseguire il corso delle nuvole, delle stelle, a caricarsi con i raggi del sole, a respirare l’aria benefica, a tratteggiare nelle notti tristi la linea del traguardo e a riempire il buio con stelline luminose. Ferree,
incuranti della fatica, con i muscoli dolenti, ma pronte a scendere in pista il giorno dopo per risucchiare centesimi di secondo e preparare la performance nel giorno stabilito. Vi ho letto lo spettro dell’impossibile, del limite che non è dato di superare agli umani, della vetta inaccessibile, del traguardo precluso a ragazze come loro, perché un dio crudele e sconosciuto ha deciso al posto loro. Eppure, provare ogni giorno con maggiore determinazione, e convincersi che talvolta l’impossibile può essere costretto ad alzare bandiera bianca, potrà essere perfino calpestato e beffeggiato. Perché la voglia di rivincita, di rialzarsi di chi è schiacciato sulla nuda terra, brucia globuli e piastrine del sangue e li trasforma in energia detonante, rende metallici, inossidabili i muscoli, richiama con voce altisonante e insistente i neuroni della volontà nella mente e, in ginocchio, implora il necessario sostegno. Alla fine dei pochi secondi spesi per tagliare il traguardo, nel vortice della vittoria ottenuta, sulla sponda raggiunta con le unghie insanguinate, ho visto nei loro occhi e negli atti e nei gesti, concitati e incontenibili, anche una preghiera grata al Dio invocato nelle notti oscure, quando la tempesta affiorava e loro a prenderla a calci per scacciarla. E con essa mi è parso di intravedere la definitiva consapevolezza della suprema potenza conquistata, la vittoria definitiva sulla sorte avversa. Quanto ho appena detto vale anche per la splendida Bebe Vio e gli altri 109 atleti che hanno con le loro prestazioni reso onore all’Italia.
Il Capo dello Stato disponga che queste ragazze vadano nelle scuole a spiegare i tratti più intimi dello spirito che le anima e in che modo hanno ammansito il lupo cattivo. I ragazzi, sono sicuro, riveleranno loro le paure, le incertezze, i dubbi, le speranze che gravitano sulla loro esistenza. E si convinceranno che ognuno di loro potrà emularle e inseguire una medaglia olimpica. Ciascuno ritroverà se stesso e riprenderà il dialogo con i propri limiti, per superarli e averla vinta su di loro.