Prof. Nicola Femminella (docente – scrittore)
Da un mio articolo, apparso sul periodico “Ipotesi” nel lontano 1985, anno II, N° 7, ricavo il seguente paragrafo: “…Mi sono recato presso l’ospedale di Polla, per accompagnare un amico che si doveva sottoporre a visita medica. Nei corridoi i soliti incontri con la gente che si conosce. Un unico argomento: l’ospedale attraversa una grave crisi. Mancano gli anestesisti… ”
Sono trascorsi ben 37 anni da quando denunciavo le carenze del servizio sanitario nei territori a sud di Salerno! E, nonostante le riforme avute fino ad oggi, permangono gli stessi problemi di una sanità che non garantisce del tutto il diritto alla salute in tempi consoni. I viaggi della speranza verso gli ospedali del nord sono in crescita. A curarli trovano molti medici conterranei. E intanto ci si organizza con gli studi privati perché prenotarsi al CUP significa votarsi alla morte.
La nota appena riportata mi dà l’occasione per introdurre un tema che mi sta particolarmente a cuore e che interessa sicuramente l’intero meridione. Trattasi di due nemici che le popolazioni non riescono a sconfiggere, che resistono al trascorrere del tempo e che tutto sovrastano con il loro sorriso beffardo: si chiamano “Immobilismo e Ritardo”. Si sono da tempo stabiliti anche nelle nostre terre e in esse permangono. Sono due giganti che dispongono massi enormi, inamovibili sulla strada del cambiamento. E continuano a pesare sulla nostra storia. Taluni problemi risalgono al tempo in cui gli stati regionali scomparvero per dare vita all’Italia una e unita. Da allora sempre richiamati dagli storici in ogni occasione, specie dai politici che si sono avvicendati per esercitare il potere legislativo e non solo. Studi approfonditi, commissioni permanenti, disegni di legge e insieme proclami fragorosi, promesse abbaglianti, impegni assunti con il giuramento e con il sorriso del profeta. Nel migliore dei casi la colpa, dicono, è della burocrazia. Questa però si è inchinata davanti alla costruzione del ponte Morandi a Genova, a significare che può essere elusa.
Avevo otto, nove anni e correvo la sera in piazza attratto dai comizi elettorali e da una precoce simpatia per coloro che venivano da fuori a promettere un futuro radioso. E battevo anche le mani forse per imitare gli adulti. Negli anni successivi conservai l’abitudine di ascoltare i comizi dei vari candidati declamare dal solito balcone lo stesso motivo “porremo fine alla emigrazione.” Altre chimere seguivano la parola “faremo”; ancora le ricordo in maniera sbiadita e non credo che quelle lusinghe si siano tramutate in realtà. Poi, dopo gli studi, per circa tre anni conobbi stralci di emigrazione nelle scuole della Sardegna. Lì, all’inizio degli anni ’70, venni a contatto con il polo nascente dell’industria dell’alluminio a Portovesme. Grande euforia e tantissimi giovani trovarono lavoro. Pensai che forse lo sviluppo nelle regioni del sud era iniziato, essendo esse circondate dal mare lungo il quale immaginavo una flotta di navi, pronte a sostenerlo. In arrivo le materie prime, in uscita i prodotti finiti. In quegli anni iniziò anche la costruzione del grande porto di Gioia Tauro. Quello di Salerno si ebbe negli stessi anni, fino ad essere proclamato a Lisbona nel 2010 il miglior porto per movimentazione merci e passeggeri rispetto allo spazio disponibile. E prima ancora l’autostrada che avrebbe “annullata la distanza anche economica tra nord e sud”. E la Cassa per il Mezzogiorno, fondata nel 1950 “per predisporre finanziamenti programmi ed esecuzioni di opere straordinarie dirette al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale entro un periodo di 10 anni (1950.1960).” Il programma fu poi più volte prorogato forse ad opera… della coppia dei signori di cui parlo. Senza dimenticare il Polo petrolchimico siracusano in Sicilia e l’ILVA a Taranto nata nel 1989 sulle ceneri dell’Italsider che avrebbero dovuto cambiare il destino del Sud. Nel 1971 esordirono le Comunità Montane (legge n. 1102) che annunciavano, negli articoli 1, 2 “l’eliminazione degli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale… l’esecuzione di opere pubbliche e di bonifica montana, l’incentivazione dell’iniziativa di natura economica, l’elevazione della condizione professionale e culturale delle popolazioni montane” Anche allora: “Forse nel sud finirà l’emorragia dell’emigrazione che da oltre un secolo lo priva delle forze più giovani”. Dalla loro entrata in campo sono trascorsi 50 anni! Che meriterebbero un’analisi e un giudizio storico, da tradurre in una Summa Theologiae.
Tornai nel mio paese, carico di entusiasmo sessantottino e mi buttai in politica, spinto dalla convinzione che è dovere di ciascuno, specie dei giovani, partecipare alla cosa pubblica e che anche nei nostri piccoli paesi ci sarebbe stata un’aria nuova. E fu allora che incominciai a conoscere l’onnipotente Immobilismo e l’allegro compare Ritardo e, giorno dopo giorno, appresi i motivi che li rendevano ineliminabili e i soggetti che li praticavano. Questi erano sì i politici, ma le classi della borghesia agiata, “sistemata in loco” ci mettevano la loro, immerse totalmente nel privato, con quelle più umili incolpevolmente a seguire la corrente, senza azionare le braccia per deviare e aggrapparsi alla riva e intraprendere la via sulla sponda sicura, in perenne attesa di Godot! Penso di aver fatto la mia piccola e modestissima parte nel combattere i due giganti, come tanti coraggiosi animati dallo stesso pensiero. Ma alla fine cedetti, troppo era il tempo impiegato e pochi i risultati che si ottenevano. Mi immersi nel mio lavoro, cercando di combattere il binomio malefico attraverso altre vie che non fossero quelle politiche ormai sclerotizzate solo nell’esercizio di un potere rivolto verso altri obiettivi, diversi dai miei ideali giovanili. Troppo forte era il magma nel quale Immobilismo e Ritardo progredivano; molteplici i soggetti che apparecchiavano le tavole per i pranzi pantagruelici dei due signorotti, compresi i figli dei contadini e dei ceti emergenti giunti al potere. Alcuni assuefatti al sistema che non percepivano distintamente; altri in mala fede perché faceva loro comodo. Altri ancora, più tenaci e determinati, ci provavano a stanarli. Le opere pubbliche che avrebbero dovuto mutare l’anima delle regioni meridionali e aprire nuovi orizzonti erano irrimediabilmente rallentate o bloccate dall’istituto della sospensione dei lavori, revisioni dei prezzi, modifiche dei progetti con varianti, lievitazioni di prezzi, pareri infiniti, collaudi rimandati, ecc. È un esempio eloquente la storia romanzata in più capitoli della strada di fondovalle del Calore iniziata nel 1986 di cui le proteste di recente o le arterie stradali Cilentana e Bussentina ultimate dopo alcuni lustri. Oppure il Museo Archeologico di Velia con un finanziamento del 1993 e nessuna prima pietra posta in essere. Solo alcuni dei mille casi per i quali Immobilismo e Ritardo sghignazzano ancora. Ora la U.E. conoscendo questa malattia antica dell’Italia, ha concesso i fondi del Recovery Fund e ha imposto limiti temporali improcrastinabili per progettazioni e realizzazioni di opere varie. I soldi devono essere spesi nei tempi stabiliti e senza alcun indugio. Staremo a vedere questa volta se Ursula von der Leyen e i suoi alleati riusciranno a sconfiggere e relegare in un angolo gli accigliati e ormai più che… obesi Immobilismo e Ritardo!
Tutto vero quanto scritto e documentato dal prof. Femminella per ricordarci la debole posizione che il Sud continua a mantenere nel consesso nazionale.
Trovo giusta l’affermazione che “taluni problemi” risalgono già agli anni post-unitari, indicati come punto di origine del binomio “Immobilismo e Ritardo”. E nell’aggettivo – taluni – includo sia quelli di minore entità che soprattutto quelli di ampio respiro, quali le grandi vie di comunicazione viarie e ferroviarie estese su tutto il territorio nazionale, i porti, insediamenti industriali, strade e ferrovie locali, La preferenze a farle o potenziarle era (e continua ad essere) sempre partendo da Nord.
C’è quindi questa doppia velocità che caratterizza le due Italie.
E c’è purtroppo il paradosso di Zenone: Achille e la Tartaruga. Il primo non riesce mai a raggiungere la seconda per evitare di averla come una palla al piede; la seconda che mai viene raggiunta e mai riesce ad agganciare il veloce convoglio che la farebbe entrare in Europa.
Alcuni hanno dimostrato che Zenone aveva enunciato solo un paradosso.
Speriamo che sia lo stesso per le due Italie e che il gap sia alla fine annullato!