Angelo Giubileo (avvocato – scrittore)
Perché definire “strano caso” il ritiro delle truppe NATO, e solo in primis statunitensi, dall’Afghanistan? Perché il caso afghano, che “strano” non è affatto – e quindi nient’affatto assimilabile alla vicenda che riguarda invece il protagonista del romanzo di Robert Louis Stevens, il dottor Jekyll e il signor Hyde -, dovrebbe invece interessarci e mettere sull’avviso, in particolare noi Occidentali, per la sua viceversa estrema normalità e banalità.
In un saggio (in italiano pubblicato con il titolo I tre imperi; n.d.r.: Usa, Europa e Cina) del febbraio 2009, Parag Khanna – giovane esperto di geopolitica indiano naturalizzato statunitense già allora considerato dalla rivista americana “Esquire” tra le settantacinque persone più influenti del pianeta – replicando la testimonianza di un diplomatico kazako pubblicata nel 2002 (capitolo 8, nota n. 16, nell’edizione italiana): “Sappiamo per esperienza che le potenze esterne non hanno certo a cuore i nostri interessi”, concludeva in proposito: “Prima i leader degli <stan> capiranno questo, più rapidamente finiranno per convergere anziché crollare come un castello di carte”.
Oggi, in Afghanistan, noi assistiamo evidentemente a questo: il crollo di un castello di carte. Il crollo di un paese che è parte integrante di un’intera area – quella dei paesi asiatici il cui nome termina per <stan> – priva di sbocchi sul mare e che per ragioni commerciali di accesso ai mercati internazionali ha dipeso e dipende dagli accordi protettivi sia NATO che SCO. La SCO è un’organizzazione che comprende otto paesi: Russia, Cina, India, Pakistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Tajikistan e Kirghizistan. In modo assai semplicistico, ma efficace, diremo allora che, nel corso dell’ultimo decennio, la forza militare ed economica della SCO è progressivamente aumentata, sia in sé e per sé che in contrasto alla corrispondente diminuita forza dei paesi della NATO.
Pertanto, il ritiro delle truppe NATO dall’Afghanistan e l’avanzata delle truppe talebane mostrano l’evidenza di uno, dello status quo dell’intera area centroasiatica: la mancanza di convergenza tra forze autoctone e di conseguenza il crollo di un castello di carte. L’evento odierno, riportato con grande clamore da tutti i media occidentali, per noi occidentali dovrebbe risuonare piuttosto come un monito.
A febbraio 2009, la crisi dei mutui subprime statunitensi aveva già causato numerose vittime anche in Europa per mezzo della crisi, derivata, di debito pubblico – allora emergente – degli allora PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). In questi anni, sia detto chiaramente, né gli USA né l’Unione Europea sono riusciti a mantenere le promesse – rivelatesi piuttosto illusioni – circa le prospettive globali, militari economiche e politiche, decantate dai governi dell’Occidente dopo la caduta del Muro di Berlino. Senza convergenze, il nostro destino di occidentali ed europei potrebbe rivelarsi simile a quello afghano: il crollo di un castello di carte.