CARIELLO: il trojan e il famigerato “cavallo di Troia”

 

Aldo Bianchini

Il dott. Massimo Cariello, sindaco super votato dalla gente

SALERNO – Nell’antichità i greci ebbero bisogno di una furbata di Ulisse (meglio sarebbe dire porcata !!) per distruggere Troia e i troiani (città inespugnabile e popolo di coraggiosi arcieri) e per porre fine ad una guerra che durava da dieci anni tra falsi miti e presunti eroi; soltanto così fu possibile per i greci vincere, anche se al di là della leggenda è sempre rimasto in piedi l’innocenza dei troiani e il loro coraggio nel difendersi dall’invasione voluta e cercata dai nemici di sempre che si mascherarono dietro la favole di Elena e Paride, uniti e vinti dall’amore.

Tranne l’amore tra Elena e Paride, nella vicenda giudiziaria che ha travolto Massimo Cariello (ex sindaco della gente di Eboli) ci sono tutti gli elementi, seppure in forma metaforica, addotti dai greci per aggredire i troiani; tanto è vero che tutto l’attuale impianto processuale si fonda sull’improprio utilizzo del “trojan horse” (quell’invisibile e famigerato cavallo di troia informatico) che sotto forma di un “file utile” viene iniettato nei computer e nei cellulari degli indagati al fine di trarre dagli stessi, con l’inganno, tutte le notizie e le conversazioni che interessano per le indagini preliminari dei pubblici ministeri. Guarda caso la scoperta e l’utilizzo dei trojan horse è dovuta alla criminalità organizzata che l’ha utilizzata per decenni per le sue malefatte (file malware) e che molte procure della Repubblica stanno utilizzando da qualche tempo a questa parte per la lotta alle associazioni criminali (mafia, ndrangheta, camorra, sacra corona unita, ecc.). Facile, infine, la loro trasposizione in chiave politica, tanto un’accusa preliminare di “scambio politico mafioso” non la si nega a nessuno.

Nel caso di specie il trojan horse ha effettuato intercettazioni a strascico, ma negli atti processuali mancano, ovviamente, tutte le conversazioni integrali che di fatto impediscono una visione complessiva e più aderente alla realtà dei fatti tratti a giudizio. Per non parlare del merito: un abuso di ufficio consumato con una discussione in consiglio comunale (ma nessuno dei consiglieri è imputato e neppure indagato), e una corruzione per la quale manca la prova del patto tra favori reciproci (offerti e/o ricevuti). Per queste due accuse Cariello è già stato condannato in primo grado alla pena di 6anni e 4mesi di reclusione. Una sentenza che può aggravare concretamente la posizione degli altri 12 indagati per il “caso Eboli” perché la decisione del loro eventuale rinvio a giudizio potrebbe arrivare prima che la condanna di Cariello possa essere esaminata in appello; e questa è un’altra distorsione forzata della giustizia.

In ogni caso, tenere Cariello ancora oggi agli arresti domiciliari è davvero troppo rispetto alla concreta e attuale possibilità che possa reiterare il reato: si è dimesso subito dopo aver stravinto le elezioni del 20-21 settembre 2020, è arrivato il commissario prefettizio, e non è neppure più ricandidabile per gli effetti della Severino; praticamente, non ha più la minima possibilità di interferire nelle modalità quotidiane di amministrazione del Comune di Eboli. Ma neppure questo è sufficiente, è un criminale incallito e deve rimanere agli arresti domiciliari. Veramente assurdo.

Ma nella fattispecie c’è, ovviamente, di più e per comprendere questo di più è necessario andare all’analisi dell’ultimo provvedimento di rigetto della libertà in cui si afferma che “per l’effetto di altri procedimenti in corso e per la mancata resipiscenza si ritiene ancora adeguata la misura cautelare”. Quasi come a dire che in mancanza “della consapevolezza del proprio errore, per lo più seguita da ravvedimento” non si può disporre la liberazione dell’imputato Cariello. Davvero fantomatica la motivazione del riesame per il diniego della richiesta di liberazione; difatti, mi chiedo, come può fare un imputato (che ritiene di essere innocente e che intende dimostrarlo) per mostrare la sua resipiscenza verso il mondo esterno senza compromettere i cardini principali della sua strategia difensiva che non può essere negata a nessuno, men che meno allo stesso Cariello. Insomma, per assurdo, Cariello per tornare libero dovrebbe ammettere di essere colpevole, dovrebbe sostanzialmente accreditare come verità assoluta la sentenza di condanna e dovrebbe, infine, accusare tutti gli altri coimputati nel processo madre. Mi sembra, sinceramente, un po’ troppo.

E ancora; per gli altri procedimenti in corso va precisato a chiare lettere che essi sono ovviamente sottratti alla cognizione del giudice che non li conosce, e che in verità non dovrebbe sapere nemmeno che vi siano (in ogni caso quelli che riguardano gli imprenditori di Eboli sono archiviati); il giudice in effetti non può e non deve essere mai condizionato, neppure da altri processi, nell’analisi e nel giudizio su un fatto che è portato alla sua attenzione con versioni contrapposte tra accusa e difesa.

La storia continua.

 

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