Aldo Bianchini
SALERNO – Difficile rispondere alla domanda “Quanto costa la verità ?”, anche perché la verità in astratto non esiste; se alludiamo ad una delle tre verità possibili, cioè quella giudiziaria, dobbiamo subito affermare che costa moltissimo. Non soltanto sul piano materiale ed economico con il dispiegamento di uomini e mezzi impressionante, ma anche sul piano più squisitamente di natura intellettuale e psicologica. Non ne parliamo, poi, se a queste peculiarità, nella ricerca della verità, si aggiunge la “perversione psico-professionale” degli uomini deputati a ricercarla e che evidenziano fin dalle prime battute, anche nella compilazione di un semplice atto di accesso, la tendenza a scrivere già una sentenza; non ne parliamo, infine, quando l’addetto (sia esso vigile urbano, poliziotto o magistrato) è chiamato ad interrogare i soggetti indagati ed a formulare i successivi capi di imputazione, e che invece di attenersi scrupolosamente al rispetto dei confini dell’incarico ricevuto pensano già di scrivere sentenze anticipate e passate in giudicato.
Ecco, questo potrebbe essere il costo più alto della verità, al di là di quello grandissimo sul piano economico con il dispendio di denaro pubblico con la scusa dell’autonomia e dell’indipendenza della giustizia e di chi la gestisce. Pensare che un semplice poliziotto o che un PM possa già avere la possibilità di scrivere una sentenza prima che l’inchiesta approdi in un’aula dibattimentale è la cosa più aberrante.
Purtroppo lo vediamo e lo tocchiamo con mano tutti i giorni, e non solo nelle aule di tribunale ma anche, se non soprattutto, sui giornali costretti a scrivere “la volontà degli investigatori”, pena la rarefazione delle notizie e, quindi, l’impossibilità di riempire le pagine e venderle, semmai a basso costo ma venderle. Un pubblico ministero ora a Potenza, dr. Vincenzo Montemurro, qualche volta mi ha detto che la mattina era costretto a leggere il mio giornale prima degli altri perché non sapeva mai cosa scrivevo, e la cosa bonariamente lo infastidiva; e mi aggiunse che gli altri li leggeva comodamente nel corso della giornata perché tanto già sapeva cosa avrebbero scritto.
Questo è il meccanismo investigatori-pubblici ministeri-stampa che non funziona e che non mi piace; un meccanismo infernale che per il noto processo “Scarano + altri” viene praticato spregiudicatamente fin da quel 28 giugno 2013 quando l’alto prelato salernitano Mons. Nunzio Vincenzo Scarano venne arrestato dalla procura di Roma e poi anche da quella di Salerno per presunta corruzione e riciclaggio di denaro in nero proveniente dall’estero, dove una nota famiglia di armatori aveva (a loro dire !!) costituito un patrimonio illecito mascherandolo con gesti di beneficienza; un meccanismo che ho visto affermarsi anche dopo l’ultima udienza del processo, quella riservata alla requisitoria che la PM Elena Guarino ha legittimamente, secondo il suo punto di vista, depositata in maniera scritta a causa del covid e preceduta da una breve dichiarazione (circa 10 minuti) che non ha reso giustizia agli otto anni d’inferno vissuti del sacerdote in quanto incentrata su una ricostruzione storica dei fatti molto lontana dalla verità processuale.
La cosa più grave è accaduta il giorno dopo, quando i giornali hanno eclatato la notizia delle clamorose richieste del PM sommando errori ed orrori ad errori e orrori, finanche nella determinazione della pena richiesta e indicata in 9 anni; tutto falso e tendente ad influenzare non soltanto la pubblica opinione ma anche indirettamente il collegio giudicante (semmai possa essere influenzato) che, comunque, si vede stretto tra un attacco mediatico pubblica accusa-stampa senza precedenti e la sete di giustizialismo della gente comune che viene esasperatamente influenzata dalle false notizie che appaiono sulla stampa scritta e quella radio-televisiva. Sparare in faccia alla gente che l’accusa ha chiesto 12 anni (questa è la pena annunciata in aula) di carcere per don Nunzio, senza dire che la stessa pubblica accusa in apertura di requisitoria ha ammesso di non essere stata in grado di dimostrare la corruzione e il riciclaggio e di basare la sua accusa su una sentenza romana di secondo grado, a me appare a dir poco come una preventiva pronuncia di condanna; quando tutti sappiamo (e lo sa benissimo anche il PM) che don Nunzio è già stato assolto dalla Cassazione con sentenza passata in giudicato dalle accuse che a Salerno il PM pretesta come ancora sussistenti. Posso anche capire l’eventuale pressione che gli investigatori potrebbero aver esercitato sulla stampa, non comprendo come quest’ultima debba puntualmente e scrupolosamente pubblicare soltanto una parte del pensiero processuale (quello del PM e degli investigatori) e non anche l’intera storia. La verità è che la stampa ha fretta giorno dopo giorno di pubblicare ciò che riceve in maniera velinata e senza alcuna possibilità di interpretare e commentare.
Per oggi mi fermo qui; nel prossimo articolo esaminerò le sentenze romane di assoluzione che l’attenta difesa di don Nunzio, assicurata dall’ottimo avvocato vaticanista Riziero Angeletti, ha già depositato agli atti processuali nelle mani dell’autonomo e indipendente collegio giudicante presieduto dall’imperturbabile Paolo Valiante.
Non sono un pastore, sono un umile giornalista di provincia; avverto però la necessità di consigliare a tutti (giudici, pm, investigatori, giornalisti e gente comune) di rileggere spesso, e di farne tesoro, una frase molto cara ad un uomo in santità: “Ama la Verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paura e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento , e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio” (beato Giuseppe Moscati, il medico dei poveri)