Aldo Bianchini
SALERNO – Mai come questa volta il “mondo del tessile” è stato scosso fin dalle fondamenta; le aziende façoniste dell’abbigliamento, già nella tempesta per altri versi, stanno vivendo ore sicuramente non facili perché tutti sono stati nuovamente proiettati nelle polemiche, a volte anche strumentali, delle misure di sicurezza e dei presidi personali che dette aziende secondo la superficialità di molti non avrebbero adottato.
Alla base di questo sconvolgimento due casi terribili di morte sul lavoro di due giovanissimi:
- Luana D’Orazio, 22 anni, stritolata da un orditoio mentre lavorava il 3 maggio 2021 in un’azienda tessile di Montemurlo (Prato);
- Sabri Jaballah, 23 anni, schiacciato sotto una pressa mentre lavorava il 2 febbraio 2021 in un’azienda del tessile di Montale (Prato).
Due infortuni mortali sul lavoro, a distanza di poche settimane l’una dall’altra, che almeno per questa volta hanno riguardato due giovanissimi che, quasi agli esordi di una lunga carriera lavorativa, ci hanno rimesso la vita sul posto di lavoro che doveva e deve essere sempre, e ad ogni costo, tenuto ad altissimi livelli nel massimo rispetto della vita e del lavoro. Il vescovo di Pistoia, S.E. Mons. Franco Tardelli, ha dichiarato che nel 2021 non si può morire così sul posto di lavoro.
E’ vero; e proprio dalla dichiarazione del Vescovo, stringata e lucida, vorrei partire per cercare di abbozzare una spiegazione logica a quanto è successo, tenendo ben presente che di fronte a casi di infortunio mortale sul lavoro è molto difficile trovare spiegazioni logiche.
La prima cosa che mi viene da dire è che i due giovani erano entrambi giovanissimi ed avevano assoluto bisogno di essere seguiti con molta attenzione per svezzarli al lavoro da compiere in sicurezza; perché il maggior rischio di infortunio mortale o invalidante il lavoratore lo corre proprio quando si avvicina al lavoro e comincia a conoscerne i segreti; gli capiterà la stessa cosa quando sul finire della carriera lavorativa allenterà le sue difese psicologiche e fisiche sentendosi “maestro del mestiere”. L’irruenza e la baldanzosità giovanile vanno di pari passo con la rituale abitudiniaretà di chi si sente ormai arrivato.
Tutto questo, ovviamente, non lo dico io anche se parlo da esperto della materia; lo dicono gli studiosi della sicurezza che poi determinano le condizioni per predisporre le macchine operatrici e per formare i lavoratori ai fini di una possibile totale sicurezza e igiene sui posti di lavoro.
In Toscana da decenni esiste e si è consolidato il “quadrilatero del tessile” con imprese italiane ed estere che realizzano una percentuale stratosferica dell’abbigliamento italiano, europeo e mondiale; e proprio in quel quadrilatero operano anche le due imprese nei cui capannoni industriali si sono verificati i due tremendi infortuni mortali di Luana e Sabri.
E per una necessità di produzione e di garanzia di migliaia e migliaia di posti di lavoro sono nate e cresciute le piccole e medie “aziende façoniste” della cui natura giuridica e dei cui contratti collettivi di lavoro ho già scritto alcuni articoli; soprattutto in merito all’organizzazione ed alla tutela dei diritti dei lavoratori assicurati dalla LAIF con sede nazionale a Salerno e presieduta dal dr. Carmine Traversa.
Ma cos’è l’azienda façonista ? Le “aziende façoniste” (dal francese ‘façon’) curano, indirizzano e piazzano la merce prodotta dalle numerosissime piccole e medie aziende artigiane del settore dell’abbigliamento che soltanto così riescono a sopravvivere in un mercato globale che tende a distruggere qualsiasi iniziativa privata medio-piccola. In pratica le piccole e medie aziende del tessile rientrano tutte nel mondo del façon e vengono disciplinate con attenzione alla predisposizione di tutte le misure di sicurezza, generali e personali, innanzitutto dei lavori e poi del mondo produttivo.
E perché, allora, accadono gli infortuni ? Accadono perché nel nostro Paese manca la cultura di base della prevenzione dell’infortunistica sul lavoro; e purtroppo manca non perché siamo indietro rispetto ad altri, piuttosto perché non entra nel nostro immaginario nella maniera giusta. Le norme ci sono e sono state addirittura stabilite, in assoluta anteprima rispetto a tutto il resto del mondo, fin dal 1898 quando nacquero i primi presidi di prevenzione antinfortunistica nel pieno della seconda rivoluzione industriale.
Ma la ricerca delle responsabilità quando si verificano gli infortuni, purtroppo, viene quasi sempre incentrata sulla figura del datore di lavoro, e soltanto su di essa; capisco che è molto facile e redditizia, ma lo sguardo investigativo dovrebbe anche essere allargato altrove.
La ridotta cultura della prevenzione nasce dal vertice, non dalla base; nasce cioè nel preciso momento in cui una macchina operatrice (come nel caso dell’orditoio e della pressa) viene concepita dai tecnici delle grandi industrie che le producono. Infatti il primo obiettivo da dare ad una macchina è quello di produrre – produrre – produrre in modo da garantire il prodotto da collocare sul mercato anche a garanzia del mantenimento dei posti di lavoro; ovviamente a questo primo profilo realizzativo si aggiunge subito la sicurezza finalizzata ai sistemi protettivi da innestare sulla macchina, ma arriva sempre dopo e forse in ritardo.
Questo è un gap che ci portiamo dietro fin dal 1955 (quando fu varato il DPR del 27 aprile che raccoglieva tutti i vecchi Regi Decreti)) e che neppure l’Europa con le sue linee direttive del 1994 è riuscita a sanare; insomma fino a quando la macchina viene ideata e costruita per produrre sempre di più, la sicurezza degli operatori viene esposta ai gravi rischi evidenziati nel quadrilatero del tessile; ed è in questo leggerissimo squarcio che si inserisce la fatalità che nei casi gravi non manca mai. Dico questo perché il mondo del tessile del predetto quadrilatero sviluppa una mole di lavoro ed un altissimo tasso di occupazione senza i quali l’economia dell’intero Paese ne risentirebbe.
E tutti, dico tutti, dovremmo impegnarci con tutte le nostre forze per garantire ai lavoratori (vecchi e giovani che siano) la massima sicurezza sul luogo di lavoro; per evitare che le tragedie di Luana e Sabri possano ripetersi.