Aldo Bianchini
SALERNO – La vicenda giudiziaria legata alla progettazione ed alla costruzione del Crescent, di Piazza della Libertà, della deviazione del Fusandola, della ripavimentazione della piazza, dei lavori di consolidamento del sottostante garage, dello spostamento in avanti e in corso d’opera per aggiuntivi 8 milioni di euro, e per il nuovo spostamento che si annuncia per altri 4 milioni, è ancora tutta da definire e non finirà più di sorprendere, almeno per due motivi.
In primo luogo per la sua progettazione e realizzazione in base a delle norme e delle concessioni tutte discutibili ma mai decisamente contestate; e in secondo luogo per l’atteggiamento della magistratura (quella requirente e quella giudicante) che a mio sindacabile giudizio ha già commesso un grave errore di partenza incardinando diverse indagini preliminari, affidate a più pubblici ministeri, che hanno dato vita a più processi. Come dire che chi ha giudicato il Crescent non conosce cosa è accaduto per la piazza ed ancora per la deviazione del Fusandola, così come per le altre vicende che hanno caratterizzato anni di indagini per tutto il complesso rifacimento, in chiave moderna e funzionale, di quella zona del Fronte di Mare che, ad onor del vero, era stata abbandonata a se stessa per alcuni decenni.
Ma è giusto ritornare al Crescent ed a cosa è accaduto ieri, 23 marzo 2021, in sede di udienza (la dodicesima) dinanzi alla Corte di Appello di Salerno, dove i due pubblici ministeri Rocco Alfano e Guglielmo Valenti hanno richiesto alla Corte di “confiscare il Crescent e condannare De Luca” in chiara controtendenza di quanto accaduto in primo grado che aveva registrato l’assoluzione piena per De Luca e per tutti gli altri imputati. Alla base della richiesta i due pm avrebbero portato una nuova prova inerente una nota firmata da De Luca quando era sindaco di Salerno, nota che avrebbe dato origine all’accusa di falso non ancora prescritto; e quindi l’unico reato che potrebbe far cadere la scure della giustizia sulla testa di Vincenzo De Luca, Lorenzo Criscuolo, Matteo Basile, Giovanni Villani, Anna Maria Affanni, Eugenio Rainone e Rocco Chechile con pene leggermente diversificate tra l’uno e l’altro.
Non me ne voglia nessuno, ma di fronte a queste cose rimango più che mai perplesso e sempre per quella serie interminabile di motivi che non mi sono mai stancato di enunciare nel corso di questi lunghi anni da tangentopoli fino ad oggi.
La giustizia parte in quarta, blitz, sequestri, avvisi di garanzia, arresti, processi e infine assoluzioni o, nel peggiore dei casi con alcune piccole condanne iniziali che poi vengono cancellate tra appello e Cassazione. Perché ? Semplicemente perché le indagini preliminari costano milioni di euro, i processi costano moltissimo e alla fine se arrivano le assoluzioni chi paga ? Il pubblico ministero, il tribunale del riesame, il Tar, la Cassazione o il tribunale ordinario ?
La risposta è semplice; è sufficiente accendere un cerino e passarlo subito a chi viene dopo; alla fine tra questi ripetitivi passaggi il cerino si spegne e nessuno paga, se non pantalone.
Ecco, proprio questo, mi sembra di vedere per il Crescent alla luce dei fatti di ieri nella Corte di Appello. Non so cosa scriveranno oggi i giornali, l’articolo l’ho preparato ieri sera, mi auguro che non dimentichino il cerino e non enfatizzino troppo le richieste dei pm Alfano e Valenti; perché sicuramente con i cerini non si fa giustizia.