Prof. Nicola Femminella
(umanista – scrittore)
VALLO di DIANO – Riprendo a scrivere note sparse per continuare a dire la mia, aggiungendo a quanto detto nel precedente articolo, sommessi suggerimenti per il settore turismo nel Cilento, ritenendolo un comparto per il quale si possono ipotizzare iniziative da portare in porto in tempi non biblici, anche alla luce delle risorse straordinarie di cui dispone la Comunità Montana Vallo di Diano con il progetto finanziato delle Aree Interne, dell’annunciato piano delle Ferrovie Italia (urgono fervide preghiere!) e delle risorse finanziarie del Ricovery Fund dalle quali aspettiamo che qualche rivolo giunga anche nelle aree a sud della Regione Campania.
Le comunità del Cilento, in particolare del Vallo di Diano, ritengono opportunità da utilizzare in modo proficuo anche l’elezione a consiglieri regionali di C. Matera, T. Pellegrino e A. Pierro, che, insieme, costituiscono una rappresentanza delle nostre terre, mai espressa nel passato per l’istituzione regionale. Sono consapevole che i progetti volti a introdurre cambiamenti epocali esigono tempi superiori ad una legislatura, ma sono anche del tutto convinto che taluni traguardi per un futuro radicalmente innovativo esigono che vengano piantati i primi paletti per una strada da percorrere senza farsi prendere dal sonno profondo, che nelle regioni meridionali non si limita alle ore notturne. Fra l’altro sono al corrente di consistenti investimenti nelle infrastrutture destinate ad altre parti della Regione.
Se posso concedermi un bisbiglio, invocando l’affetto che mi lega ai nostri due consiglieri regionali, rivolgo loro l’invito a costruire un piano generale, una cornice nella quale inserire proposte e iniziative a fronte delle impellenze non più procrastinabili che pesano sul futuro delle nostre giovani generazioni, individuando gli indirizzi giusti per approdare, con determinazione, ai risultati possibili. Chiamino a collaborare il Senatore Francesco Castiello, il collega Pierro, le governance degli Enti comprensoriali, i Comuni dell’intero Cilento, per declinare e condividere insieme una visione complessiva, da perseguire con strategie ben concertate, determinazione, coesione e unità, empatia per i quattro comprensori che costituiscono il Cilento, che tutti ci unisce con la sua storia, i suoi ritardi e le sue criticità ormai vecchie e logore.
Utilizziamo Facebook e i social per innervare nel magma attentivo delle popolazioni, dei giovani questi vessilli e costruiamo tutti un’era nuova fatta di collaborazione e unità di intenti. Dalla U.E. ai nostri governanti si proclama che le risorse del Ricovery devono segnare un momento “trasformativo”. Il Covid, aggiungono i sociologi e i filosofi, ci avverte drammaticamente che nulla potrà continuare ad essere come prima. Io ne sono assolutamente convinto. E dobbiamo fare presto perché dopo i danni della pandemia ci aspetta, minaccioso, il gravoso indebitamento pubblico accumulato, che imporrà al Paese angustie e sacrifici, quando ci verrà chiesto di onorarlo.
Inizio con il ricco giacimento, sepolto nel territorio di Caselle in Pittari che definisco oro prezioso, dopo aver avuto più di un colloquio con l’archeologa Antonia Serritella, docente di Archeologia presso l’Università degli
Studi di Salerno, che dirige dal 1914 le operazioni di rilevazione e scavi con la stessa passione e amore per il Cilento con cui operano i suoi studenti della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici. Più volte mi ha ripetuto che il sito conserva, quasi sicuramente, una piccola Pompei dell’epoca lucana, collocabile nel IV secolo e abbandonata nel successivo, forse per la presenza e la preminenza data dai Romani a Buxentum.
L’équipe dell’Università degli Studi di Salerno ha effettuato campagne sistematiche di ricognizione di superficie per individuare l’estensione dell’abitato, compreso tra due corsi d’acqua, sul pianoro di Laurelli, poco distante da Caselle in Pittari.
Si costruisce sempre meglio l’identità del sito, utilizzando il gran numero di resti ceramici sui quali compaiono iscrizioni, relativi a numerali e antroponimi riportati in lingua greca e in osco, la prima dovuta ai contatti con le colonie greche, la seconda usata dai Lucani.
Finora sono emersi chiari e inequivocabili segni di un insediamento molto vasto che appare, fra l’altro, abbastanza conservato, con abitazioni sparse in un’area di quasi trenta ettari e un sistema viario composto e ben disegnato, con un reticolo di strade che convergono su due arterie larghe che tagliano l’abitato.
Si sono evidenziate una piccola struttura di servizio e parti eloquenti di cinque case di grandi dimensioni, ampie fra i 400 e 700 metri quadri, particolarmente curate che hanno stupito non poco gli archeologi.
Da qui l’ipotesi di un agglomerato abitato da gente facoltosa che evidentemente tesseva rapporti commerciali significativi con le colonie greche sullo Ionio e sul versante del Tirreno. L’ipotesi è suffragata anche da diciotto monete d’argento emesse nelle città di Taranto, Heraklea, Crotone e una in bronzo di Velia tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., conservate all’interno di un vaso a vernice nera rinvenuto.
Con il Sindaco di Caselle Giampiero Nuzzo e l’assessore di Roccagloriosa Anna Maria Nardo, che di certo non si risparmiano per la piena e desiderata valorizzazione dei due importanti siti, abbiamo organizzato poco prima che scoppiasse la pandemia un incontro con Matera, già Assessore al Turismo della Regione Campania e la professoressa Serritella, che ha spiegato nei dettagli l’importanza del patrimonio su cui si lavora e che merita di affermare per intero il proprio valore e pregio sul palcoscenico dell’archeologia in Italia.
La città di Laurelli (mi piace eleggerla a tale titolo) insieme a Roccagloriosa, di pari dignità, potrebbero tradursi per il Cilento in una prospettiva concreta per un grande balzo in avanti a favore di uno sviluppo certo, capace di introdurre elementi di crescita sociale ed economica, pari a quella che ha assunto nel tempo Paestum. Non esito a dire che si creerebbe un volano straordinario per elevare di molti gradi le opportunità lavorative, a cui è legato il destino delle nostre giovani generazioni. L’assessore Matera nell’occasione che ho ricordato, attento alle dichiarazioni accorate della prof. Serritella (uno dei maestri di cui ho parlato in un articolo precedente) decise di programmare insieme alle autorità locali un importante convegno con l’Università e la Soprintendenza (sospeso solo per la pandemia sopraggiunta, ma è da riprendere) per accendere un faro da proiettare sui due siti, volto a inserire il tema nel calendario degli investimenti che la Regione Campania e il Ministero dei Beni Culturali sottolineano con il colore rosso nella propria agenda. Sarebbe un viatico per le comunità dell’intero Cilento, dilaniate dallo spopolamento. Se si vogliono mettere in campo iniziative concrete e arrestare tale fenomeno e non indurre migliaia di giovani, compresi i laureati, all’abbandono dei paesi natii o alla rassegnazione, bisogna pure ipotizzare linee di sviluppo nei vari settori di cui si compone il quadro dell’economia di un territorio! A partire da ciò che si ha. O no?
Ricordo che ben sessanta anni sono trascorsi da quando J. de La Géniere individuò a Caselle il sito limitato ai resti di una necropoli monumentale, per cui è auspicabile che i tempi lunghi vengano definitivamente messi da parte per introdurre quelli opportuni della celerità, se le analisi che si continuano a fare sul sito confermano quelle già realizzate e le tesi autorevoli della prof. Serritella, raccolte sul campo.
A Roccagloriosa, invece, tracce sfavillanti dell’oro coperto hanno vinto la gravità dei terriccio soprastante, portato dal tempo che incede e dai fenomeni e accadimenti della natura. I ritrovamenti a Pianoro Sud (una vasta area destinata a necropoli) e a Pianoro Centrale (un’ampia villa signorile e un abitato ben organizzato, fortificato da mura possenti) già concedono ai visitatori un carico di impatto emotivo che resta indelebile nella memoria di ognuno. Gli scavi diretti dall’archeologo Maurizio Gualtieri, a capo di un gruppo di lavoro dell’Università di Alberta (Canada), iniziati negli anni ’70 (sono trascorsi 50 anni!), hanno portato alla luce i reperti scoperti in quattro tombe e volutamente hanno omesso di continuare con le altre (in tutto sono trenta). I tesori da recuperare, a detta dello studioso, sono ben più rilevanti di quelli sottratti al buio delle aree interessate e nelle stesse tenuti nascosti, per proteggerli da eventuali danni e furti. Per tale motivo parlo di oro e, in base alle notizie raccolte, non credo di esprimere una iperbole dovuta solo alle emozioni che provo sempre davanti alle vetrine, visitando i due musei di Roccagloriosa. Amici tedeschi e francesi, appassionati di arte, quando li ho accompagnati negli antiquari, si sono soffermati a lungo davanti alle bacheche che racchiudono il corredo completo di monili d’oro, i vasi a figure rosse e altre preziosità che ostentano la loro stupefacente bellezza.
Mi sono reso conto del valore inestimabile del patrimonio archeologico, visitando più volte la necropoli in località Scala (Sella), dove dal V al III secolo a. C. fu disegnato un vero e proprio piano regolatore per le sepolture. Ma sono gli oggetti recuperati che segnalano una civiltà giunta a espressioni artistiche di sommo livello. Visitando uno dei due antiquari, quello intitolato ad Antonella Fiammenghi, si resta stupefatti di fronte al tesoro rinvenuto nelle tombe 6 e 9, risalenti al V secolo e nelle tombe 19 e 24, datate intorno al 330 a.C.
È stato rinvenuto su un letto di pietra Il corpo di un uomo di circa quarant’anni adagiato per il sonno eterno, con grandi vasi in ceramica a vernice nera e figure rosse, vasellame e strumenti in bronzo per la cottura delle carni. Un altro corpo, quello di una nobile donna molto giovane, adorno di un corredo completo di monili d’oro, terrecotte a figure rosse e altre preziosità di inestimabile bellezza rivelano la cifra del grado di civiltà a cui erano giunti gli abitanti del luogo. I gioielli per la loro bellezza hanno fatto il giro del mondo, esposti in mostre prestigiose. Oltremodo di rilievo è il ritrovamento di un frammento di tavoletta bronzea con iscrizione in lingua “osca” e in una variante dell’alfabeto greco, che riporta alcune notizie relative alla organizzazione in uso nella comunità.
Il secondo antiquarium, ubicato sotto i resti del castello, di fronte alla chiesa di San Giovanni, espone tre grandi vasi, che sorprendono non solo per l’ornato a figure rosse, ma per la ricercatezza della forma e dei dettagli ottenuti da vasai, i quali vollero suscitare lo stupore del committente. Altri preziosi oggetti, riferiti al corredo completo per un cavallo, suggeriscono l’appartenenza del defunto a un ceto di rango elevato.
In altri luoghi della località sono stati rinvenuti resti di selci e lame risalenti al Neolitico, con presenze rilevate anche per l’età del bronzo (II millennio a.C.) e quella del ferro (intorno all’VIII seca. C), a testimoniare il lungo tragitto che ha percorso nei secoli la storia di Roccagloriosa.
Quando finanziamenti idonei permetteranno la musealizzazione dell’intero patrimonio, Roccagloriosa diventerà un’importante stazione archeologica del Meridione e sede privilegiata per lo studio della civiltà lucana. La sua valenza storica e artistica è degna di splendere tra i musei più importanti della penisola, non solo per gli studiosi che vogliono colmare il vuoto tra la civiltà greca e quella romana con quella lucana (ben dieci secoli di storia eminente), ma anche per i numerosi turisti che sempre più sono attratti dal Cilento e che potrebbero aumentare a dismisura, seguendo il trend di crescita di Paestum.