Dr. Michele D’Alessio (giornalista-agronomo)
Le città e i paesi che nascono sui fiumi hanno molto da raccontare ai viaggiatori più attenti, che amano scoprire mete inedite, magari anche centri più piccoli e meno conosciuti rispetto alle grandi città. Le prime civiltà si sono sviluppate lungo i fiumi perché l’acqua è un’importante risorsa per la vita dell’uomo. Innanzitutto la sua presenza rendeva i terreni fertili e particolarmente adatti ad essere coltivati. Inoltre i fiumi consentivano la navigazione e, quindi, gli spostamenti e gli scambi commerciali. Infine, lungo le rive dei fiumi, la presenza dell’argilla permetteva la costruzione di mattoni, vasi ed altri utensili. L’uomo imparò a sfruttare l’acqua dei fiumi realizzando imponenti opere di canalizzazione. Ciò favorì lo sviluppo dell’agricoltura determinando un aumento della disponibilità di cibo. Di conseguenza, le popolazioni confluirono nelle vicinanze dei corsi d’acqua. Il Tevere lo fu per i Romani e il Tanagro lo è stato per i Valdianesi, come ci racconta lo scrittore, ricercatore e nuovo depositario di Storia antica e attuale di Polla e del Vallo, il Dottore Vitantonio Capozzi. “….Il territorio di Polla che viene descritto da T. A. De Felice nella leggenda de “Il Solitario della Polla” oggi è totalmente diverso. Perché, al mutare delle stagioni, mutava anche il suo habitat e il suo assetto idrogeologico. Con la distanza storica e con gli occhi di oggi si vuole ricostruire questo faticoso cammino dell’acqua, che ha governato il suo territorio, modificandolo continuamente. La causa era da ricercare nel fatto che, quando le precipitazioni scarseggiavano, il fiume Tanàgro scorreva tranquillo, mentre nei mesi piovosi s’ingrossava fino a formare un vasto lago che in lungo si estendeva ai piedi del centro abitato. Il fenomeno, oggi quasi inesistente, affonda le sue origini nella notte dei tempi, quando nessun essere umano era ancora apparso a testimoniarne l’esistenza, a stupirsi e a cercare di interpretarne il meccanismo. Erodoto (Alicarnasso, 484 a.C. – Thurii, 425 a.C.), il grande storico greco, sosteneva che il Nilo avesse le sue sorgenti nelle nuvole. Ora che conosciamo il percorso, che l’acqua fa nel nostro Pianeta, possiamo affermare che non si sbagliava poi tanto. Senza l’acqua non c’è vita…L’acqua è uno dei quattro elementi individuati dalla filosofia greca quale principio fondatore dell’universo. Fu proprio Empedocle (ca. 450 a.C.), a parlare dell’esistenza di quattro elementi (terra, aria, fuoco e acqua), definendoli rizòmata (“radici”, rizoma al plurale) di tutte le cose, immutabili ed eterne. E l’acqua è un elemento necessario ad ogni tipo di vita, vegetale o animale, come l’aria. Ma fra aria e acqua c’è una rilevante differenza: l’acqua è distribuita in modo diseguale sulla terra, ci sono regioni ricche di precipitazioni e regioni aride. Per lo sviluppo degli insediamenti umani era necessario che l’acqua fosse al posto giusto nel momento giusto: dapprima gli uomini spostarono i loro campi alla ricerca dell’acqua; successivamente, con lo sviluppo dell’agricoltura, i campi diventarono stabili. Allora l’uomo cominciò a lavorare anche per ridistribuire l’acqua: toglierla dove ristagnava e portarla dove mancava…Questo lavoro di regimazione delle acque per drenare e irrigare i terreni può essere sintetizzato solo con un termine: bonifica. Bonifica, dal latino medievale bonum facère, significa migliorare la qualità dei terreni attraverso l’allontanamento delle acque. Ne discende che la corretta regimazione in montagna e in pianura, volta a far defluire in modo ordinato le acque meteoriche in canali e fiumi fino al mare, è condizione essenziale per la vivibilità del territorio. Il sistema drenante ha radici antiche; a partire dagli Etruschi e dai Romani, nel corso dei secoli, ha beneficiato di importanti interventi che costituiscono oggi delle solide fondamenta per il controllo delle acque superficiali. Del resto, il tema della bonifica ha sollecitato una produzione storiografica particolarmente ricca. Dall’età antica a quella contemporanea, la necessità dell’uomo di modificare il territorio per adattarlo alle proprie esigenze ha rappresentato un veicolo di cambiamenti istituzionali, economici e tecnici. E così, molto spesso, la bonifica è diventata un fattore di modernizzazione e sviluppo, e come tale ha richiamato l’attenzione di studiosi di diversa formazione. La storiografia poi ha affrontato l’argomento da varie angolazioni, perché la storia della lotta dell’uomo contro le acque è storia istituzionale, dell’agricoltura, del pensiero politico, del diritto, dell’impresa, della cultura igienico-sanitaria: aspetti questi che sono utili per individuare solo alcuni dei principali ambiti interpretativi.
A lungo gli storici si sono soffermati sugli aspetti istituzionali della bonifica, ossia sui processi politici di elaborazione degli interventi sul territorio, innescati da mutamenti di assetto, contese territoriali, o relazioni fra gruppi d’interesse, con varie alchimie nel rapporto fra pubblico e privato. Parallelamente, sono stati approfonditi, nel tempo, gli aspetti di carattere tecnico, sia perché la bonifica è proceduta sull’onda di importanti innovazioni, che hanno via via consentito una migliore gestione delle acque, sia perché i saperi legati agli aspetti di controllo idrogeologico del territorio raramente sono rimasti confinati in questo ambito, e hanno conseguentemente influito, positivamente, sul progresso di attività protoindustriali e industriali.
E ancora, sono stati analizzati, in varie epoche, gli esiti dell’attività di prosciugamento e irreggimentazione delle acque, in termini di progresso agricolo, di antropizzazione, o di crescita delle aree urbane. Infine, dato che l’azione dell’uomo poteva modificare in maniera significativa il paesaggio, anche solo con un’arginatura, un taglio o una disalveazione, le dispute idrauliche fra le comunità locali limitrofe furono accesissime, e fonte di tensioni, conflitti, particolarismi.
Questa situazione, comune a quella del Vallo di Diano, fece sì che nel corso del settecento e della prima metà dell’ottocento venissero eseguiti un gran numero di interventi, anche di natura locale, ma che non si fosse trovata mai una concordanza fra le popolazioni interessate ad un progetto di ampia portata. È toccato, quindi, all’uomo il tentativo di dare un ordine a questo caos idraulico, con interventi di arginatura, di escavo degli alvei e raddrizzamento dei tragitti, in modo da rendere più facile il deflusso delle acque.
Quello che oggigiorno è il Vallo di Diano, in tempi preistorici, era un vasto lago pleistocenico, il quale, prosciugatosi in seguito ad eventi di natura idrogeologica, lasciò come traccia il fiume Tanàgro, detto anche Negro, che l’attraversa per tutta la sua lunghezza. Secondo la tesi più accreditata, il lago dovette prosciugarsi per colmata, ovvero per progressivo riempimento durato nei secoli, della depressione con i materiali che in esso si rovesciarono dai monti circostanti. Ne rimangono traccia gli enormi depositi alluvionali. La grande opera idraulica, come sopra ricordato, che ebbe inizio verso la fine del 700’ ad opera della dinastia borbonica e che portò gradualmente al prosciugamento del lago preesistente, continua, ancora oggi, a sollecitare, per la sua straordinarietà, gli interessi scientifici di molteplici comparti disciplinari, in particolare di quelli geografici. Grazie a un percorso sintetico, viene ricostruita la storia del lago e del suo collettore sotterraneo, delle sue caratteristiche, dei suoi valori semeiotici.
Di questi ultimi, in particolare, si dà conto attraverso alcune pagine di letteratura odeporica, in cui si propongono le osservazioni di viaggiatori illustri che descrissero il territorio valdianese. La storia del Vallo di Diano andrebbe, comunque, riletta in relazione al rapporto che il fiume ha avuto, da sempre, con il paesaggio e con le vicende umane. La rilettura ci potrà essere utile per recuperare, da un lato, la nostra identità storica, dall’altro, per meglio capire la dinamica di un habitat, pur tuttavia ancora fragile, che richiede interventi di bonifica senza soluzione di continuità. Il lago e il fiume immaginiamoli, con il pensiero e lo sguardo rivolti al passato: l’inesistenza di argini ordinariamente definiti, con alvei scomposti e sponde disordinate.
Oggi quelle stesse coordinate spaziali disegnano un ambito territoriale totalmente diverso: pianeggiante, simmetrico e regimentato, che si apre, in tutta la sua maestosità, al piacere degli occhi. Il principale immissario del lago è il fiume Tanàgro-Calore, che origina dalla Serra Malombra del Serino e si immette nella vallata nei pressi di Casalbuono. Il fiume, poi, ha dato vita a quel nuovo corso fluviale denominato Tanàgro, le cui acque scorrono a cielo aperto, attraversando, in tutta la sua lunghezza, il Vallo di Diano. In questa ampia vallata il fiume è stato il vero protagonista di una storia molto antica e faticosa, in cui l’uomo è riuscito a controllare e a dominare le forze della natura, costruendo la pianura come un pianalto diluviale e precipitando in basso conoidi recenti e più in basso facendo scaturire fontanili. Lavoro immane di secoli, di ere, eterna vicenda di azione e reazione, su cui nulla forse come l’acqua in movimento ci fa meditare.
Ed è questo il suo fascino, croce e delizia dell’uomo da quando ha imparato a scrutarla per volgerla ai suoi fini. Del resto, l’evidenza di quanto si afferma sta proprio nel fatto che l’uomo, sin dai tempi remoti, ha tentato di modellare il proprio territorio e il proprio habitat, attraverso interventi di bonifica degli stessi, con metodologie e mezzi che, nel tempo, sono andati, via via, modificandosi.
La parola bonifica assume così il significato di un insieme di azioni e di interventi, voluti dall’uomo, che mirano al prosciugamento di un’area ricoperta dalle acque stagnanti con lo scopo di recuperare terreno e migliorare le condizioni igienico sanitarie di quell’ambiente. L’idea della bonifica delle terre del Vallo di Diano, tranne qualche modico tentativo fatto dai Pelasgi, nasce in epoca Romana, nel II secolo a.C., anche se può essere considerata solo una prima fase interventistica in difesa del territorio dalle acque, ancorché ancora lontana da un organico progetto che renderà definitivi la regimazione e il controllo di un sistema idrografico. Dunque, i primi a tentare di bonificare la vallata furono i Romani, i quali, assimilate e perfezionate le conoscenze idrauliche etrusche, sfruttando e modificando strutture naturali (dossi, spalloni, conidi di terra) e costruendo piccoli canaletti artificiali per far passare le acque (tramite paratie di legno a saracinesca), tentarono di convogliare il surplus delle acque del fiume Tanàgro in naturali depressioni opportunamente arginate, dette comunemente Crive o Clive, situate nella zona denominata Cappuccini del territorio di Polla. Testimonianze tangibili dell’attenzione romana sono la realizzazione dell’antico Ponte costruito tra il I e il II secolo a.C., ubicato nel centro del paese, e la Via consolare Regio-Capua che attraversa in tutta la sua lunghezza il Vallo di Diano. Da quel momento e fino al periodo medioevale poco o nulla si è concretizzato. Nel Medioevo, trascurati i lavori di bonifica, si vennero, di nuovo, a formare aree paludose e laghetti, il maggiore dei quali presso Polla, destinato a rimanere per lunghissimo tempo e, comunque, fino al principio del secolo XVIII. Ridotto alla condizione di valle asciutta, esso era stato coltivato per tutto il corso dell’età moderna, ma le periodiche inondazioni del fiume Tanagro compromettevano, talvolta, sia la produzione agricola, sia la salubrità dell’aria: le acque, infatti, non erano smaltite con sufficiente rapidità, tanto da poter perdurare nel vallo anche tre o quattro mesi, fino a creare un lago di acque putride e stagnanti. Le prime teorie igieniste di fine Ottocento e l’alto tasso di mortalità nel Mezzogiorno, dovuto alla malaria, imposero alle classi dirigenti di verificare quali fossero le reali condizioni del Paese e di trovare opportune soluzioni, benché si rendesse necessario scegliere tra il bene comune e le attività produttive locali. Si cominciò a vedere qualche iniziativa di bonifica del suo territorio sotto il regno di Napoli, a partire dal tempo dei viceré spagnoli, fra i quali merita particolare menzione il conte di Lemos (1548-1601). Questi infatti ebbe a realizzare la bonifica dei Regi Lagni (l’antico Clanius), che mirava a irreggimentare le acque, per prevenire le inondazioni e tenere a disposizione le acque in caso di siccità, dettando a tal fine il primo regolamento per la loro manutenzione. Furono però i re Borbone, in modo particolare Ferdinando I (1751 – 1825), che dettero nel regno un grande impulso alle opere di bonifica, intervenendo dapprima nell’hinterland napoletano e successivamente nel Vallo di Diano, nel Fucino e nel territorio di Paestum. Anche le riforme che vennero introdotte nel decennio francese non giovarono alle condizioni del territorio: furono infatti liberati da vecchie esazioni feudali contadini, braccianti e fittavoli che ora guadagnavano una maggiore possibilità di sfruttamento della terra, talvolta esercitata anche attraverso il disboscamento, per ottenere una più cospicua estensione. L’azione di disboscamento non fu, nella realtà dei fatti, particolarmente distruttiva, ma all’interno di equilibri naturali precari potevano verificarsi esiti non controllabili. Poi fu la volta di Ferdinando II^ (1810 – 1859), il quale, spinto sull’argomento da Carlo Afan de Rivera (1779 – 1852), fece sì che la Consulta dei reali domìni affrontasse, previo uno studio approfondito dei territori interessati, l’annoso problema della bonifica delle terre paludose e sterili, non trascurando quello, molto sentito tra le popolazioni locali, del rimboschimento dei monti, del ripopolamento delle pianure, della pubblica salute, dello sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, della crescita dell’industria e del commercio. Compiuto lo studio preliminare di fattibilità, il re promulgò in data 11 maggio 1855 il “real rescritto”, un provvedimento specifico che pose le basi dell’amministrazione generale della bonifica e che, senza dubbio, può considerarsi come l’immediato precedente della legislazione del regno d’Italia in tale materia. La lunga storia del prosciugamento del Vallo di Diano, che ebbe inizio nel 1786, fu reso difficile dall’enorme quantità di materiali depositati, in modo quanto mai irregolare, dai torrenti e dall’assenza di pendenza del fondo, specie al di là del ponte Romano di Polla. I lavori, ripresi due volte nel sec. XIX, essenzialmente consistettero nel canalizzare il Tanàgro, arginandolo e, approfondendone il letto, con l’abbassamento del suo sbocco a valle; nello stesso tempo furono sistemati con dighe e briglie i torrenti minori, con l’intento di fermare in tal modo i materiali di trasporto…”. Per adesso chiudiamo qui, la prima parte riguardo al Fiume Tanagro, che nei secoli ha rappresentato un’importanza vitale per il territorio, ma a volte con le piene e straripamenti mette anche tanta paura e preoccupazione, come è accaduto in questi giorni.