da Dr. Alberto Di Muria
Padula-L’ipertensione cronica in gravidanza, fenomeno in crescita probabilmente collegato all’aumentare dell’età media delle gestanti e dell’obesità, è definita come la presenza di ipertensione arteriosa preesistente la gravidanza o che insorge prima della 20a settimana di gestazione. Per poter porre diagnosi di ipertensione cronica in gravidanza è indispensabile il riscontro di valori pressori elevati in più di una misurazione, a distanza di almeno 4-6 ore. I disturbi ipertensivi in gravidanza interessano il 5-10% delle gravidanze e rimangono una delle principali cause di mortalità e morbilità fetale e neonatale.
Per questo i farmaci antiipertensivi sono impiegati frequentemente all’inizio della gravidanza e i beta-bloccanti sono tra i farmaci più prescritti. Ovviamente devono essere valutati i potenziali rischi per il feto del trattamento ipotensivo, bilanciandoli con quelli che l’ipertensione non trattata può dare a madre e figlio.
A tal fine è stato condotto dai ricercatori del Brigham and Women’s Hospital e dell’Harvard Medical School di Boston un ampio studio per determinare l’associazione tra l’esposizione, nel primo trimestre, ai beta-bloccanti e il rischio di gravi malformazioni congenite, comprese le malformazioni cardiache, la labio-palatoschisi e le malformazioni del sistema nervoso centrale. Lo studio è stato pubblicato online sugli Annals of Internal Medicine.
Per il loro studio, i ricercatori hanno analizzato i dati dei registri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti, esaminando le donne con ipertensione che sono state esposte ai beta-bloccanti durante il primo trimestre e le cui gravidanze avevano portato alla nascita di un bambino nato vivo. Ciò ha permesso di prendere in considerazione 3.577 gestanti nei paesi nordici e 14.900 negli USA con diagnosi di ipertensione cronica. Di queste, 2350 sono state trattate con beta-bloccanti nel primo trimestre. Le donne che hanno ricevuto beta-bloccanti erano di età più avanzata, con maggiore incidenza di diabete.
La ricerca ha dimostrato che l’uso di beta-bloccanti nel primo trimestre di gravidanza non è associato a un rischio significativo di gravi malformazioni congenite.
Viceversa, un altro amplissimo studio, basato sui dati di un’assicurazione statunitense, la Medicaid, ha dimostrato che l’uso di beta-bloccanti, in particolare quelli più datati come l’Atenololo, nelle fasi avanzate di gravidanza comporta il rischio di ipoglicemia e bradicardia neonatale, che potrebbero esporre il feto ad episodi di ipossia con danni nello sviluppo cerebrale. Il più recente Labetalolo, che è un alfa-beta-bloccante, sembra porre meno problemi. Quindi, se possibile, dopo il primo trimestre di gravidanza meglio usare calcio-antagonisti o l’alfametildopa.