Dr. Pietro Cusati
(Giurista – Giornalista)
ROMA – Il ruolo del Medico competente; la Suprema Corte di Cassazione, sezione IV penale, con la sentenza n.19856/2020, del 2 luglio 2020, ha affermato che non è prevista alcuna interlocuzione diretta da parte del medico competente nei confronti del medico curante del lavoratore. Il medico competente, quale titolare di un’autonoma posizione di garanzia, risponde delle fattispecie di evento che risultano di volta in volta integrate dall’omissione colposa delle regole cautelari poste a presidio della salvaguardia del bene giuridico, la salute dei lavoratori, sui luoghi di lavoro. Nella fattispecie, in primo grado, il Tribunale dichiarava il medico del lavoro responsabile del reato di cui all’art.590 del codice penale e lo condannava ad un anno di reclusione,pena sospesa e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili,da liquidarsi in separata sede,con l’attribuzione di una provvisionale di euro 50.000,00 in favore di ciascuna di esse. L’imputazione ascritta per aver cagionato, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza ed inosservanza delle regole che presiedono l’arte medica, la morte di un dipendente di un ditta,per avere omesso, nel redigere i certificati di idoneità lavorativa di effettuare un’adeguata valutazione dei risultati degli esami e per aver omesso qualunque informazione e comunicazione dell’esito degli esami al diretto interessato e al medico curante, determinando così un ritardo diagnostico della patologia (mielodisplasia) della quale il dipendente, era affetto da almeno due anni compromettendo così le possibilità di intervento terapeutico che avrebbero potuto allungarne la durata della sopravvivenza e migliorare la qualità della vita. In secondo grado la Corte di Appello , in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concesse le attenuanti generiche, ha ridotto la pena a mesi otto di reclusione. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito il medico del lavoro è incorso in un errore diagnostico per non avere correttamente valutato, per colpa, la gravità del quadro clinico emergente dalle visite periodiche eseguite in due anni e per non avere comunicato al lavoratore e al medico curante la situazione allarmante sul suo stato di salute che di lì a poco si sarebbe manifestata in forma conclamata,nella malattia che ne ha cagionato la morte, il cui ritardo diagnostico ha compromesso la possibilità di un intervento terapeutico che gli avrebbe quantomeno procrastinato l’esito infausto.
Viene rimproverato al medico del lavoro di avere sottovalutato le condizioni del lavoratore, quanto meno pre – patologiche, che imponevano lo svolgimento di ulteriori accertamenti sanitari e di non avere espresso un giudizio di inidoneità al lavoro. L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza lamentando, con un unico motivo, il vizio motivazionale e l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge. Nel contestare la sussistenza dei profili di condotta colposa addebitati a suo carico, sostiene la correttezza del suo operato per essersi accertato dello stato di salute del dipendente, nell’ambito dei compiti al medesimo assegnati, in relazione alla sua qualifica di medico competente, e di avere correttamente formulato i giudizi di idoneità al lavoro e di essersi premurato di avere riferito al dipendente di rivolgersi al medico curante per effettuare ulteriori accertamenti clinici. Rappresenta che la Corte di Appello non ha tenuto conto delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado che escludevano la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta dall’imputato e l’evento morte. Afferma che non gli è imputabile alcun errore diagnostico per non avere riscontrato la displasia midollare da cui era affetto il lavoratore (malattia ematologica e non oncologica).Inoltre, quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di Appello non gli ha concesso le attenuanti generiche in relazione all’avvenuto versamento della provvisionale in favore delle parti civili (il che non può essere considerato quale ammissione di responsabilità).La Suprema Corte di Cassazione ha proceduto all’esatta delimitazione del ruolo assegnato al medico competente nell’ambito dell’organizzazione aziendale. I compiti del medico competente si suddividono in compiti professionali, costituiti essenzialmente dal dovere di effettuare la sorveglianza sanitaria, ovvero l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionale e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Compiti collaborativi rappresentati dal dovere di cooperare con il datore di lavoro alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori ai rischi. Compiti informativi consistenti nel dovere primario di informare i lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività. Nella sentenza in esame la Suprema Corte di Cassazione delinea il ruolo assegnato al medico competente nell’ambito dell’organizzazione aziendale, quale collaboratore che coadiuva l’imprenditore nell’esercizio dei suoi obblighi prevenzionali, in quanto portatore di qualificate cognizioni tecniche e, dunque, nell’ambito di un rapporto di natura privata e, al contempo, con un ruolo contraddistinto da connotati di natura pubblicistica in quanto è tenuto ad operare con imparzialità nell’ottica esclusiva della tutela dell’integrità fisica dei lavoratori. Tra gli obblighi che incombono sul medico competente risulta di fondamentale rilievo la programmazione e lo svolgimento della sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari, calibrati sui rischi specifici, tenendo conto degli indirizzi scientifici più avanzati e dello stato generale di salute del lavoratore. In pratica si tratta di prevenire qualunque forma morbosa provocata dal lavoro ed è mirata alla formulazione di un giudizio di idoneità alle mansioni specifiche che tenga conto di tutte le caratteristiche psico – fisiche del lavoratore confrontate con il peculiare contesto ambientale. Nella fattispecie il medico competente aveva consigliato al lavoratore di recarsi dal medico curante per ulteriori approfondimenti diagnostici e quest’ultimo non aveva dato alcun seguito a tali indicazioni. Il medico del lavoro è imputato di aver cagionato, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza ed inosservanza delle regole che presiedono l’arte medica, la morte di un dipendente, per avere omesso, nel redigere i certificati di idoneità lavorativa di effettuare un’adeguata valutazione dei risultati degli esami. Per aver omesso qualunque informazione e comunicazione dell’esito degli esami al diretto interessato e al medico curante, determinando così un ritardo diagnostico della patologia della quale il dipendente era affetto da almeno due anni compromettendo così le possibilità di intervento terapeutico che avrebbero potuto allungarne la durata della sopravvivenza e migliorare la qualità della vita. |
La Corte di Cassazione sottolinea che “per quanto emerge dalle sentenze di merito, il (medico) aveva provveduto a consegnare i risultati delle analisi cliniche e in particolare degli esami ematologici al dipendente consigliandogli di recarsi dal medico curante per ulteriori approfondimenti diagnostici mentre quest’ultimo non aveva dato alcun seguito a tali indicazioni”. “E’ opportuno precisare che non è prevista, al riguardo, alcuna interlocuzione diretta da parte del medico competente nei confronti del medico curante del lavoratore, quindi nessun rimprovero a tale titolo può essergli addebitato”. La sorveglianza sanitaria è solo una parte dell’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, compito fondamentale del Medico Competente. Per quanto importante, è una forma di prevenzione secondaria (individuazione delle controindicazioni al lavoro specifico cui il lavoratore è destinato e diagnosi precoce di una patologia che ne compromette la specifica attività) e deve, quindi, essere integrata dalla attività di formazione/informazione e preceduta dalle attività di prevenzione primaria. L’attività di prevenzione primaria si articola in misure tecniche, organizzative e procedurali e nell’uso di idonei DPI (per periodi temporanei, lavori eccezionali e di breve durata, per ridurre la quota ineliminabile di rischio, etc.). La sorveglianza sanitaria si effettua quando, dopo l’adozione di tutte le misure di prevenzione primaria, si individua un rischio residuo di entità non trascurabile previsto dalle leggi vigenti. Rispetto al Medico Competente, è necessario illustrare la realtà tecnologica e organizzativa aziendale, sviluppare l’attività di sopralluoghi e di confronto, informare e fare partecipare all’attività complessiva di formazione e prevenzione, stabilire gli obiettivi e i limiti aziendali, stimolandone e favorendone l’interesse e le motivazioni verso i singoli lavoratori e l’intero contesto aziendale. Se non si perseguono e non si raggiungono progressivamente questi obiettivi l’attività del Medico Competente sarà vissuta come inutile o dannosa dall’Azienda e con grande diffidenza e fastidio dalle maestranze. L’attività del Medico Competente, deve inquadrarsi come un elemento capace di produrre frutti efficaci in termini di soluzione di problemi, gestione delle risorse, immagine aziendale, riduzione dei costi – diretti e indiretti – degli infortuni e delle malattie da lavoro. Il medico competente “…è tenuto ad operare con imparzialità nell’ottica esclusiva della tutela dell’integrità fisica dei lavoratori. La Suprema Corte di Cassazione ,sezione penale, con la sentenza del 2 luglio 2020 ha ritenuto che “…le argomentazioni sviluppate dai giudici di merito al riguardo meramente congetturali, illogiche ed inconferenti”, quando nel primo grado di giudizio si afferma che : “l’imputato avrebbe dovuto…non dare la piena idoneità lavorativa, non solo perché con una patologia così grave non si comprende come possa essere idoneo al lavoro (sic)” ed inoltre “così facendo avrebbe costretto il lavoratore a intraprendere i dovuti accertamenti diagnostici”; e nella sentenza di Appello si afferma che:” … il giudizio di idoneità lavorativa lo avrebbe indotto a riferire alla moglie che “era tutto a posto”. In conclusione la figura del medico competente, all’interno del panorama legislativo in materia di sicurezza, e all’interno del Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale, gioca un ruolo fondamentale affinché il servizio stesso risulti efficace e funzionale. Infatti il Medico Competente interviene direttamente nell’attuazione del servizio di prevenzione, al fianco del datore di Lavoro e del Responsabile del Servizio. Una volta il Medico Competente si limitava alla valutazione fisico sanitaria del lavoratore, ora è invece coinvolto fin dall’inizio del processo di prevenzione interno aziendale. Elabora in collaborazione con il datore di lavoro il Documento di valutazione dei Rischi, lo rivede periodicamente apportando suggerimenti e migliorie, effettua un sopralluogo agli ambienti di lavoro e partecipa in maniera attiva alla riunione periodica sulla sicurezza, istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria. In sostanza con la sentenza n.19856/2020 del 2 luglio 2020 la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che il medico competente è tenuto a dare un giudizio di idoneità lavorativa “specifico” che dovrà limitarsi alla valutazione dello stato di salute del lavoratore rispetto al rischio specifico cui è esposto nello svolgimento della mansione alla quale è adibito. Per la Cassazione questi risultano essere i confini entro i quali si estende la sorveglianza sanitaria prevista dalla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.