Nota della direttrice editoriale
L’articolo del dr. Alberto Di Muria (titolare della omonima farmacia sita al Bivio di Padula) viene pubblicato in forma gratuita e, trattandosi di dati scientifici, sotto la totale responsabilità dell’autore.
da Dr Alberto Di Muria
Padula-L’ipertrofia prostatica benigna è una condizione che fisiologicamente compare con l’avanzare dell’età e consiste nel progressivo ingrandimento della parte centrale della prostata, con la formazione del cosiddetto adenoma prostatico. Questa sindrome colpisce già il 5-10% degli uomini a 40 anni di età e arriva sino all’80% di quelli ultrasettantenni. Però soltanto nella metà dei soggetti l’ipertrofia prostatica benigna diventa sintomatica, costituendo quindi un vero disturbo.
I sintomi dell’ipertrofia prostatica benigna possono essere di tipo ostruttivo e di tipo irritativo. Tra i sintomi dovuti all’ostruzione troviamo la difficoltà ad iniziare la minzione, l’intermittenza del flusso, l’incompleto svuotamento della vescica, il flusso urinario debole. I sintomi irritativi, invece, sono legati ad uno stato infiammatorio in atto, e sono la maggiore frequenza della necessità di urinare, soprattutto di notte, la necessità indifferibile di urinare e la sensazione di bruciore durante la minzione.
In caso di ipertrofia prostatica benigna, la terapia farmacologica risulta indispensabile, al fine di evitare la progressione dei sintomi, e prevenire le complicanze. Tra i più usati ci sono i farmaci antiandrogeni, come dutasteride e finasteride, che sono inibitori specifici della 5-alfa reduttasi, l’enzima coinvolto nella metabolizzazione del testosterone in diidrotestosterone, un potente ormone androgeno molto attivo sulla prostata. Anche gli alfabloccanti sono largamente impiegati, poiché agiscono rilassando la muscolatura liscia, inducendo un incremento significativo del flusso urinario e migliorando i sintomi da ostruzione.
Un recente studio, condotto da ricercatori britannici e taiwanesi, è però giunto alla conclusione che i pazienti trattati con gli inibitori della 5-alfa reduttasi avrebbero un rischio più elevato di sviluppare un diabete di tipo 2. La parte inglese dello studio ha rilevato l’incidenza di diabete su oltre 50.000 uomini trattati con dutasteride, finasteride o con l’alfabloccante tamsulosina, mentre la parte taiwanese ha condotto lo stesso studio su quasi 100.000 pazienti. Dai dati conclusivi dei due filoni dello studio è emerso che c’era un aumento significativo del rischio diabete, valutabile intorno al 30%, per i pazienti trattati con dutasteride e con finasteride rispetto alla tamsulosina, mentre non sono emerse differenze tra i due farmaci antiandrogeni.
Gli esperti spiegano che quanto scoperto non vuole assolutamente consigliare agli uomini di smettere di assumere il farmaco indicato per i problemi di prostata, ma semplicemente consiglia di porre più attenzione ad eventuali sintomi legati al diabete di tipo 2 così da poter intervenire sul trattamento, in caso di necessità.