RAPPORTO ANNUALE ISTAT 2020 : IL COVID -19 HA ACCENTUATO I DIVARI ESISTENTI. La pandemia ha avuto un impatto in modo disuguale.

 

Dr. Pietro Cusati

dr. Pietro Cusati (giurista-giornalista)

Roma, 4 luglio 2020, ieri a Palazzo Montecitorio, il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha presentato il  Rapporto annuale 2020. La situazione del Paese venutasi a creare con l’emergenza sanitaria. Il Covid -19 ha allargato i divari esistenti. Il mercato del lavoro si restringe, il 12% delle imprese pensa di tagliare, proprio per le fasce più deboli, giovani e donne. La didattica a distanza vede in svantaggio bambini e ragazzi del Mezzogiorno che vivono in famiglie con un basso livello di istruzione. La natalità potrebbe scendere ancora, eppure gli italiani i figli li desiderano.  L’ISTAT  invita a guardare alla criticità strutturali del Paese come “leve della ripresa”. L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili, come testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19, sostiene l’Istat.  Una bassa  fecondità, in costante calo dal 2010, ma un diffuso ed ancora elevato desiderio di maternità e paternità.  La ventottesima edizione del Rapporto annuale  2020  mette al centro  l’impegnativo percorso della ripresa, con  il contributo della statistica ufficiale  che l’Istat garantisce da sempre .Durante il lockdown, l’Istat ha lanciato in tempi ridottissimi due indagini dirette, presso le famiglie e presso le imprese, che hanno fornito dati aggiornati sui comportamenti nel corso della pandemia e in particolare, con riferimento agli operatori economici, sulle sue criticità e le prospettive di sbocco. Inoltre, l’ISTAT ha avviato con il Ministero della Salute l’indagine di siero-prevalenza su un campione di 150 mila individui per stimare le dimensioni e l’estensione dell’infezione nella popolazione e descriverne la frequenza in relazione ad alcuni fattori, quali il sesso, l’età, la regione di appartenenza, l’attività economica. L’Italia è uno dei paesi coinvolti più intensamente dalla pandemia dovuta al COVID-19. I contagi registrati finora sono stati circa 240 mila e hanno causato poco meno di 35 mila decessi. Il numero di casi segnalati ha raggiunto il suo massimo nel mese di marzo  2020  (113.011), iniziando lentamente a diminuire ad aprile 2020  (94.257), per poi calare nei mesi di maggio e di giugno 2020. La diffusione dei contagi è stata relativamente contenuta nelle Regioni del Sud e nelle Isole, più marcata in quelle del Centro, e in particolare nelle Marche, e decisamente più elevata nelle Province del Nord, soprattutto in Lombardia. Dall’analisi condotta dall’Istat e dall’ISS su 4.942 decessi di persone positive al test SARS-CoV-2, il virus è risultato la causa diretta della morte nove volte su dieci. Tuttavia, il COVID-19 ha agito come unica causa solo in poco più di un decesso su quattro. Per molti deceduti positivi al COVID-19 si è certificata la presenza di cardiopatie ipertensive (18 per cento), diabete mellito (16 per cento), cardiopatie ischemiche (13 per cento) e tumori (12 per cento). A livello nazionale le morti in complesso hanno conosciuto un rapido e drammatico incremento nel mese di marzo 2020, arrivando a 80.625: il 48,6 per cento in più rispetto alla media nello stesso mese del quinquennio 2015-2019. Gli incrementi percentualmente più marcati si sono registrati in Lombardia, seguita da Emilia-Romagna, Trentino Alto-Adige e Valle d’Aosta. Ad aprile 2020 i deceduti per il complesso delle cause sono stati 64.693, ancora superiori di un terzo alla media di aprile 2015-2019. Tuttavia con il mese di maggio 2020 si è entrati in una nuova fase: i casi e i decessi attribuiti al COVID-19 sono calati rapidamente e l’eccesso di mortalità si è ridotto drasticamente fino ad annullarsi, nel mese di giugno2020, in quasi tutte le aree del Paese. In generale, l’eccesso di mortalità più consistente si è rilevato tra gli uomini settantenni e ottantenni, per i quali i decessi cumulati dal primo gennaio al 30 aprile 2020 sono aumentati di oltre il 52 per cento rispetto alla media dello stesso periodo 2015-2019, segue la classe di età 90 e più, con un incremento del 48 per cento. Per gli uomini più giovani (50-59enni) l’eccesso di mortalità è stato del 26 per cento. L’incremento della mortalità nelle donne appare più contenuto in corrispondenza di tutte le classi di età: nel complesso prevalgono le ultranovantenni, seguite dalle ottantenni e dalle settantenni. |  Il  Sistema Sanitario Nazionale (SSN), che la pandemia ha investito con compiti e responsabilità talvolta ai limiti della sua stessa tenuta, ha saputo reagire con ammirevoli impegno e competenza, anche se talvolta in affanno e con difficoltà, al richiamo dell’emergenza. Gli ospedali sono stati sottoposti a una pressione senza precedenti e l’effetto si è riverberato, in termini statistici, sulla diminuzione di ricoveri per malattie ischemiche del cuore e per le malattie cerebrovascolari, anche se per queste patologie, una volta ospedalizzate, è in ogni caso rimasta immutata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato.  Il  SSN è stato interessato da un forte ridimensionamento sul piano delle risorse. In particolare, dal 2010 al 2018 in media annua la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2 per cento e il numero di posti letto è diminuito dell’1,8 per cento. Si è ridotta anche la spesa per investimenti delle Aziende Sanitarie, scesi da 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 nel 2018. La modesta crescita della spesa sanitaria è dovuta principalmente alla diminuzione del personale sanitario. Nel periodo 2012-2018, con riguardo al solo personale a tempo indeterminato, il comparto sanità ha fatto registrare una riduzione di 25.808 unità. L’Italia dispone di circa 40 medici ogni 10 mila residenti, inferiori a quelli della Germania, 42,5 ogni 10 mila residenti. Al 31 dicembre del 2019 l’Italia poteva contare su 66.481 medici specialisti nell’area dell’emergenza, delle malattie infettive, di quelle dell’apparato respiratorio o cardiovascolare e della medicina interna, questi professionisti costituiscono circa il 35 per cento del totale dei medici specialisti. Nel corso degli anni è anche diminuita notevolmente l’offerta di posti letto ospedalieri: nel 1995 erano 356 mila, pari a 6,3 per 1.000 abitanti e nel 2018 sono scesi a 211 mila, con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti.  La TV e la radio sono stati un indispensabile canale di aggiornamento sull’evoluzione della situazione oltre che di intrattenimento, soprattutto per la popolazione più anziana. Un forte incremento si è visto tra quanti si sono dedicati alla lettura: si arriva al 62,6 per cento della popolazione, con il 26,9 per cento che ha letto libri e il 40,9 per cento quotidiani. Molte attività creative sono aumentate per lo meno del 50 per cento: cantare, suonare, scrivere, disegnare, pitturare. Il lockdown ha rappresentato una restrizione, che ha accresciuto le difficoltà di molti soggetti vulnerabili, specie disabili e malati mentali, ma anche un’opportunità per svolgere attività rimandate per mancanza di tempo, imparare a fare qualcosa di nuovo, oppure cogliere l’occasione per esprimere la propria creatività. Un giusto sistema sociale non possa prescindere da un equo e appropriato sistema sanitario, declinato a partire dal territorio, a garanzia e tutela della vita dei cittadini e della loro salute. Il nostro è tra i paesi più evoluti del mondo in termini di longevità, ma questa conquista, come l’epidemia ha ben messo in evidenza, non è affatto irreversibile. La pandemia ha avuto un impatto dal profilo specifico sull’Italia, sul suo territorio colpito in modo disuguale, sulla sua struttura demografica e sociale, sulla vita quotidiana delle famiglie, sull’economia e in particolare sulle imprese e sul lavoro, sulla rete dei servizi, a partire da quelli sanitari e della scuola.

 

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