Aldo Bianchini
SALERNO – Prima di cominciare chiedo, ovviamente, scusa per il termine forte che ho utilizzato nel titolo per descrivere i politici di centro destra, ma non ho trovato di meglio per rendere più plastico il ragionamento che non ho fatto io ma addirittura Antonio Di Pietro, il mitico magistrato di “mani pulite” che diede l’avvio alla tangentopoli nazionale.
L’occasione di questo ennesimo approfondimento sull’amministrazione della giustizia nel Bel Paese me l’ha offerta la cronaca, di qualche ora fa, inerente l’arresto dei due fratelli (Aniello e Raffaele, entrambi già coinvolti in un’altra inchiesta su presunte collusioni con la camorra) del senatore di F.I. Luigi Cesaro e l’indagine aperta a carico dello stesso senatore della repubblica che un mese fa era stato raggiunto da una richiesta di arresto per corruzione che dovrà essere discussa in sede di “commissione per le autorizzazioni a procedere” del Senato prima che il gip possa procedere all’arresto.
Ora la richiesta di misure cautelari per i tre fratelli Cesaro e indagine anche a carico del figlio del senatore; alla base di tutto l’eterno problema del “voto di scambio politico mafioso” tra i noti imprenditori Cesaro e i clan camorristici dei Puca. Verde e Ranucci, attivi nella zona di Sant’Antimo, nella periferia settentrionale di Napoli. Un reato, quello del “voto di scambio politico mafioso” utilizzato sempre come grimaldello (anche ingiustamente) dai magistrati inquirenti per dare l’abbrivio ad accuse ancora più pesanti come: associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione elettorale, estorsione e turbata libertà degli incanti.
Un reato che la politica ha lasciato inopinatamente nelle mani degli inquirenti e che spesso ha sconquassato le amministrazioni locali e nazionali buttando letteralmente alle ortiche le vite dei protagonisti, per finire poi e troppo spesso in un nulla di fratto.
Non mi pronuncio, ovviamente, sulla qualità e sulla credibilità dell’inchiesta da parte della DDA di Napoli (pm Giuseppina Loreto e Antonella Serio), piuttosto metto le mani avanti su un’altra considerazione che ritengo ovvia dopo tanti anni di esperienza di cronaca giudiziaria spesso condizionata da sommovimenti politici e malavitosi.
E la domanda che vado ponendo da oltre trent’anni è sempre la stessa: “possibile che tutti i malfattori siano rintanati nelle file politiche del centro destra; ovvero quelli di centro destra tutti mariuoli e quelli di centro sinistra tutti angioletti innocenti ?”. Sinceramente io la penso in maniera diversa: di fronte alla marea incalzante dei soldi non c’è legalità che tenga. Il mio sarà anche un pensiero qualunquista, ma uno dei proverbi più antichi recita proprio in questo senso: “i soldi fanno venire la vista ai ciechi”.
Poca roba, però, se queste cose le dico io da tanto tempo; altra valenza è, invece, se scende in campo un personaggio del calibro dell’ex PM di “mani pulite” Antonio Di Pietro che nel corso della trasmissione televisiva “Quarta Repubblica” di lunedì 8 giungo 2020, condotta da Nicola Porro sulle frequenze di Rete/4, ha reso di dominio pubblico il suo pensiero decisamente negativo sulla magistratura e su quanto in essa si sta verificando grazie o a causa di Luca Palamara; tra le tante cose dichiarate ha lanciato un concetto davvero graffiante per il luogo comune che vuole la magistratura sempre e soltanto all’attacco del centro destra, soprattutto quando si avvicinano le campagne elettorali; un concetto che come d’incanto ha smantellato il luogo comune di cui prima.
“Quando indagavo quelli del centro destra non facevo neppure in tempo a porre la prima domanda che già si squagliavano tra le mie mani, quando mettevo sotto torchio quelli del centro sinistra mi trovavo subito di fronte ad una scientificità che rendeva insondabile il fenomeno. Rubano tutti, sia a destra che a sinistra e purtroppo rubano anche quelli dell’estrema sinistra e dell’estrema destra”; questo in sintesi il pensiero di Antonio Di Pietro che io personalmente condivido parola per parola.
Solo che quelli del centro destra sono più coglioni degli altri; ma questo lo aggiungo io.