Aldo Bianchini
SALERNO – La sfida è antica, viene da lontano, da molto lontano. E più volte l’INPS non solo l’ha vinta quella sfida ma ha seriamente rischiato di stravincerla nei confronti dell’INAIL ed anche degli altri Enti Previdenziali che per un lunghissimo periodo del secondo dopoguerra hanno recitato soltanto una parte secondaria; fortunatamente l’INPS ha soltanto vinto alcune tappe di quella battaglia, ma non ha stravinto, e la democrazia di un Paese civile è salva ed oggi restituisce a tutti noi la grande capacità professionale dell’INAIL che per troppi decenni è stata sottovalutata, scartata, mal sopportata, se non proprio repressa da esigenze politiche molto ottuse che non trovavano e non trovano una spiegazione logica.
C’è stato un lungo periodo della nostra storia in cui con cadenza metodica e periodica l’INPS fagocitava tutto quello che trovava sul suo cammino fino a diventare un carrozzone enorme e dalle dimensioni tecniche e strutturali poco gestibili con serena serietà da chiunque sia andato al suo timone, tecnico o sprovveduto che sia stato.
Entrai all’INAIL con regolare concorso pubblico nel 1964 (allora si facevano ancora i concorsi) e in quell’Ente sono rimasto per circa quarant’anni e quello che sto scrivendo l’ho avvertito e vissuto sulla mia pelle; i dipendenti dell’INAIL da una posizione di privilegio degli anni ’60 sono scivolati in posizione di rincalzo, sempre nel cono d’ombra dell’INPS che cresceva a dismisura mentre sull’altare della patria venivano sacrificati tantissimi enti: ENPI, API, ANPI, ISPESL, IPSEMA, SINP, FEMAIA, ISP. Lavoro, DIR. PROV. Lavoro, ENPDEP, ecc. ecc., per non ricordare i vari centri sanitari traumatologici scippati all’Inail da una riforma sanitaria sbrindellata e poco produttiva; con un unico punto fermo: non riconoscere all’INAIL la sua capacità strutturale di valutare il rischio di ogni tipo di lavorazione esistente che poteva e doveva essere sfruttata in modo migliore attraverso i decenni.
Ricordo benissimo la storia legata al breve incarico come ministro del lavoro (luglio 73 – novembre 74) di Luigi Bertoldi (socialista) che si era ripromesso di unificare gli enti previdenziali restituendo all’INAIL la specialità della prevenzione per l’igiene e la sicurezza sui luoghi di lavoro proprio sulla base della centenaria esperienza, una specialità che l’INAIL molto distrattamente aveva lasciato nelle mani dell’ENPI che lo stesso Inail finanziava. Fu fatto fuori in pochi mesi perché gli interessi spartitori andavano in un’altra direzione.
Io facevo l’ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro e quando negli anni di servizio lavoravo, a volte, nelle task-force avvertivo questa specie di sudditanza dell’Inail nei confronti dell’Inps, dell’Ispettorato del Lavoro, della Finanza, dell’ASL, ecc. che cercavano di relegare sempre all’ultimo posto l’Inail, quando invece ogni tipo di ragionamento doveva partire (come io sostenevo in lunghe ed estenuanti battaglie dialettiche) proprio dalla valutazione del “rischio aziendale” che solo e soltanto l’Inail poteva offrire a tutti gli altri enti in campo.
Sono già passati venti anni dal mio pensionamento ma non nascondo, oggi, di essere orgoglioso del fatto che l’INAIL sia improvvisamente riuscito ad emergere nel pianeta previdenziale fino al punto di diventare in poche settimane l’ente più conosciuto e più stimato nel Paese e l’unico a sedere al tavolo del governo, proprio mentre una valanga di polemiche (alcune anche ingiuste) sta travolgendo l’INPS che, ripeto, è troppo grosso ed ha troppe competenze per poter essere governato al meglio.
Tutta l’Italia, in queste ore, aspetta i protocolli per la sicurezza che l’Inail dovrebbe licenziare per consentire a milioni di aziende di ripartire dopo la tragedia dell’emergenza coronavirus; tutti gli altri enti sembrano scomparsi e nessuno più li ricorda se non per criticarli.
Ma cosa è successo ?
E’ successo che l’attuale dirigenza nazionale, regionale e locale dell’INAIL ha saputo, con grande capacità comunicazionale, far capire a tutti che soltanto partendo dalla valutazione parcellerizzata del rischio aziendale si poteva arrivare alla costruzione di protocolli di sicurezza che, badate bene, estendono la loro peculiarità finanche a quelle cosine chiamate “mascherine” che essendo uno degli elementi primari della sicurezza hanno bisogno del marchio dell’Inail.
Peccato, un vero peccato che l’Inail non seppe cogliere l’occasione di primeggiare già dal 1998, epoca in cui a Napoli si celebrò il “convegno mondiale sulla prevenzione e sicurezza” organizzato dall’Ente; da quel successo organizzativo e mediatico partì, grazie all’allora direttore regionale dott. Goglia, un ampio progetto di comunicazione interna ed esterna dell’Inail che il suo successore dott.ssa Luigina Vietri seppe distruggere in pochissimi giorni.
Ha perso vent’anni ma, fortunatamente, ha prima capito e poi saputo sfruttare l’onda lunga della buona comunicazione che oggi l’ha lanciato nel cuore pulsante del tavolo governativo dove finanche il mondo scientifico aspetta, attonito, i suoi suggerimenti.
L’INAIL, per chiudere, deve stare attento comunque a non incartarsi nell’unico grande rischio che è costituito dall’abuso scientifico e mediatico della parola “sicurezza”, potrebbe costare molto caro.