di Angela Casale e Manuela Di Domenico
“Mammaaaaaa”, qualche secondo di attesa e poi di nuovo “Mammaaaaaa”, la vocina squillante di Mattia rimbombava nella stanza come un tuono, erano le 7.00 di una meravigliosa domenica mattina e io desideravo solo dormire ancora un po’.
“Mammaaaa, Papaaaa svegliatevi, devo chiedervi una cosa importantissima”.
Mi sentii consolata a non essere l’unica a doversi alzare dal letto.
Fuori c’era un sole bellissimo e un cielo di un azzurro favoloso.
La Domenica, da qualche anno, era diventata per noi la scusa ideale per restare tutta la giornata fuori.
Organizzavamo spesso passeggiate in campagna, giri in bici, Pic-nic all’aperto.
Una volta decidemmo di portare Mattia alla mostra di Chagall. I colori forti delle sue opere lo avrebbero sicuramente trascinato in un mondo di fantasia e magia.
Ricordo che rimase estasiato, iniziò a chiedere alle persone cosa ne pensavano di quei quadri, mi chiese notizie della vita dell’artista così specifiche che pensai che l’arte da quel momento in poi gli sarebbe appartenuta per la vita.
Mattia, quattro anni di spensieratezza e curiosità. Un mix vincente, di quelli che ti fanno andare a letto tardi e ti svegliano presto.
Quella mattina aspettava me e Riccardo sull’uscio della porta, con le braccia conserte e il naso all’insù. Era buffo, sembrava un piccolo esploratore pronto a svelare l’ultimo enigma che lo avrebbe condotto al tesoro.
“Devo chiedervi una cosa importante, dai svegliatevi!”.
Ci alzammo dal letto, corse ad abbracciarci.
“Andiamo a fare colazione, ti faccio i cornetti alla crema”.
Quel sole mattutino ci accarezzava gli occhi ancora assonnati, non avremmo mai potuto immaginare dove ci avrebbe condotti quella domanda di Mattia.
“Allora Mattia, cosa c’è di così importante, che sei venuto a svegliarci?”, chiese Riccardo un po’ imbronciato, mentre si apprestava ad aiutarmi nella preparazione della crema. Intanto Balù, cominciava ad attorcigliarsi attorno alle nostre gambe. Ogni mattina, appena si accorgeva che qualcuno si stesse alzando, correva a prendere il guinzaglio. Balù era il nostro Labrador di quasi 5 anni. Lo accogliemmo poco prima di concepire Mattia. E la sua storia, si intreccia col destino del nostro piccolo ometto quattrenne!
“Papà aspetta, preparate prima i cornetti e poi quando ci sediamo con calma a tavola, lo dico a entrambi”. Guardai Sofia a dir poco incuriosito. Come avevamo fatto a mettere al mondo, un piccoletto così curioso, che a 4 anni ne dimostrava almeno il doppio per il suo modo di fare?
Preparammo caffè e spremuta d’arancio per noi, latte al cioccolato per Mattia. Per fortuna era ancora molto presto, quindi avremmo avuto tutto il tempo di farci una bella doccia, indossare qualcosa di comodo ed avviarci in montagna. Quella domenica avremmo partecipato ad un bell’incontro di esplorazione in gruppo, al quale sarebbero stati presenti istruttori cinofili e amanti degli animali. Almeno una volta al mese infatti, ci ritrovavamo tutti per lunghe passeggiate, lo facevamo per Balù, sapevamo di renderlo felice.
Era stato abbandonato in un momento delicato a soli pochi mesi di vita, quando per tutti gli esseri umani la presenza e l’affetto della famiglia è a dir poco fondamentale.
Il caffè fece il suo capolino nella Moka, intonando il tifo calcistico della nazionale, tipico di ogni partita importante.
Non so quanto abbiamo combattuto quel giorno, al momento dell’acquisto.
Io continuavo a dirgli che non mi sembrava una buona idea. Sarebbe stato imbarazzante, sentirlo “canticchiare” durante una cena con ospiti.
Riccardo invece lo trovava molto divertente e alla fine cedetti, accontentandolo.
Ma ecco che Mattia, cominciò a strattonarci, affinchè ci sedessimo tutti a tavola subito. Doveva farci una domanda importantissima. Proprio testuali parole, utilizzò, quel capolavoro di ricci biondissimi ed occhi verdi.
“Allora, ascoltatemi”, disse Mattia, passandosi una mano nei capelli, come faceva sempre quando era imbarazzato, ma curioso allo stesso tempo.
“Dicci tutto”, esclamammo all’unisono io e Riccardo.
“All’asilo alcuni miei amici dicono che ci porta la cicogna direttamente a casa, nella culletta che i nostri genitori hanno preparato per noi, altri che i genitori ci trovano un bel giorno, all’improvviso, nascosti sotto un cavolo in un campo coltivato”, cominciò a raccontare il piccolo. “Ecco” esclamò Riccardo guardandomi, dubbioso, chiedendosi dove volesse andare a parare ‘riccioli d’oro’ e lanciandomi uno sguardo che lasciava trasparire la fretta di avere la risposta pronta, qualunque cosa ci avesse chiesto Mattia.
“Io prima di chiedervi e di studiare come sono nato esattamente, mi chiedo ma come nascono i bambini? Cioè come fanno entrare nella pancia della mamma? E quando lo decidono la mamma e il papà di creare un bimbo?”, disse tutto di un fiato Mattia.
Non potetti evitare di scoppiare a ridere, tirando un sospiro di sollievo, perché anche questa volta, io e Riccardo, avevamo la possibilità di dare sfogo alla nostra fantasia per fornire una risposta plausibile, in attesa che il piccolo crescesse e capisse la verità.
“Bella domanda amore!”, esordii guardando entrambi.
“Devi sapere che io e papà già eravamo sposati da un po’, e ci eravamo da poco trasferiti nella nuova casa e avevamo accolto Balù. Tu sei arrivato in quel periodo, la notizia che eri nella mia pancia fu la più bella della nostra vita.
Purtroppo in quel periodo ci fu anche una brutta notizia, infatti, un giorno il Telegiornale diede notizia di un brutto virus: una cattiva malattia che si stava diffondendo ovunque e che piano piano cominciava a non farci più uscire di casa. Un giorno all’improvviso, ci ritrovammo tutti chiusi in casa perché il virus si diffondeva facilmente e le case erano i luoghi più sicuri.
Facemmo una spesa grandissima e chi aveva bimbi comprò tanti album da disegno, colori di ogni tipo, libri, figurine e giocattoli.
I grandi cercarono di organizzarsi per lavorare da casa, e si arrangiarono per mantenersi in forma, pur non uscendo.
Solo chi aveva cagnolini poteva uscire qualche volta al giorno”.
Riccardo mi guardò incupito. Ogni volta che ricordavamo quel periodo, riuscivamo purtroppo, ancora a provare quella strana sensazione di isolamento, di pericolo dinanzi un nemico invisibile, di regole, divieti e constrinzioni.
“Mamma mia, e come facevate?”, urlò Mattia, ancora più incuriosito.
“Non fu facile-proseguii io – perché non eravamo abituati a quella situazione. I primi giorni sembrava tutto un brutto sogno, ma ogni mattina ci svegliavamo ed era realtà. La mia pancia iniziava a crescere e tu mi davi tantissimi calci, quasi a volerci dire che non vedevi l’ora di uscire fuori.
Piano, piano cominciammo tutti a fare cose che da tempo non facevamo. Ci alzavamo senza aspettare di sentire la sveglia suonare e facevamo colazione con calma.
Cucinavamo manicaretti e provavamo a fare esperimenti di succulenti piatti fatti in casa.
Qualcuno cominciò subito a fare biscotti, torte e cornetti.
Tutti, davvero tutti, decisero che nessun sabato sarebbe trascorso senza pizza.
Così si fecero scorte di farina e lievito, tanto che a volte si doveva prenotare dal proprio alimentari di fiducia, altrimenti era difficile trovarlo disponibile sugli scaffali”.
(…continua…)