di Franca Cancro
(docente di Teggiano)
SALERNO – Ogni momento della nostra storia passata e recente ha i suoi riti, i suoi simboli, i suoi scatti fotografici più emblematici e questi nostri giorni non fanno eccezione. Potevano e DOVEVANO bastare le bandiere patrie simbolo di orgoglio, coesione e fratellanza, sarebbe stato meraviglioso il senso di quella italianità esposta e testimoniata da ogni finestra, ogni cancello ma poi … poi sono arrivati gli arcobaleni, i cori dai palazzi, le canzoncine rap sulle regole da rispettare, fatte cantare ai bambini ma scritte dalle mamme e ancora … ancora protagonismi di ogni genere che affollano i collegamenti dei talk … forme estreme di un fenomeno che un po’ rudemente, potrebbe definirsi sciacallaggio sui sentimenti, sul dolore, sulla morte.
Sì, è vero, viviamo nel mondo delle immagini, dell’esposizione mediatica di ogni attimo di vita, di ogni battito di ciglia, un mondo, il nostro, in cui il dolore e la morte stessa, privati del loro intrinseco pudore che ne esalta la dignità, divengono materia e fonte inesauribile di audience.
Ma quel che mi turba di più è l’ossessiva presenza in ogni dove di quell’ “andrà tutto bene”.. Mi spiego, l’ augurio che tutto migliori è sacrosanto, ma in quelle tre parole, non riesco a non avvertire un po’ d’egoismo, un mettere solo se stessi al centro del problema e quel disegno infantile universalmente propagato quale messaggio beneaugurante, in realtà è troppo lieve, troppo fashion, troppo poco adeguato al momento e alla tragedia. Messaggio deliberatamente neutro, ma autoreferenziale nella sua capacità di veicolare una convinzione: i colori dell’arcobaleno basteranno ad asserire che “ andrà tutto bene“.
No, non bastano quei colori a far andare tutto bene perché per migliaia di persone e È GIÀ ANDATA COSI MALE.
Ma qualcuno potrebbe obiettare: “cosa dovremmo dire allora?“. Forse: “che Dio ci aiuti!” … o “Signore salvaci” … o: “Padre non ci abbandonare” … dolci accorate espressioni imparate da bambini e che molti di noi coltivano ancora, e non quell’ assertiva certezza così perentoria, così confidente. Sebbene capace, come tanti, di ottimismo e spirito positivo, oggi le tragiche temperie del nostro vivere Mi inducono solo a pregare: “Signore, per quanto immeritevoli del Tuo aiuto, mostrarci, ancora una volta, la Tua misericordia “.
E se la preghiera non si addice a chi è, a buon diritto, troppo ateo, troppo agnostico, troppo qualunque cosa, sarebbe bastato uno “speriamo” messo davanti a quelle tre parole. Un’ idea di speranza avrebbe sottinteso una maggiore consapevolezza della realtà e il non ritenersi estranei ed indenni nella immane sciagura che sta decimando intere aree del nostro paese.
Bastava dire “speriamo“.