IL DIRITTO ALLA PAURA

di Eppe Argentino Mileto

ROMA – Non è mai un dovere. Ma un diritto. Rivendico il diritto di avere paura. Anzi, è il più sublime fai i diritti, la paura. Da non confondere, nel tempo che stiamo vivendo, con la paura della morte e di morire. Sarebbe semplice quanto banale. Mi riferisco a ben altro. Appunto a quel sentimento davanti al quale ci sentiamo impotenti ed eccitati insieme. Perché la paura, oltre ad essere un diritto, è un sentimento. Provarlo è alla base del pensiero puro. Allora la paura è il più potente fra i sentimenti. Perché se saputa interpretare e vivere, intercettare come opportunità, diventa angoscia.  E l’angoscia è finitudine esistenziale. Heidegger parla appunto di quell’Angoscia che ci sovrasta di fronte al nulla. Di quel sentimento di impotenza di fronte ad una sorte orrifica che ci attende, di quella incapacità produttiva del ri-presentarsi diversi e rinnovati, di quel fogliame marcescente che non riusciamo a far germogliare innanzi ad una inevitabile quanto imminente catastrofe. La catastrofe di essere “per la morte”. È il più primordiale fra i sentimenti, la paura, anzi l’angoscia dell’essere- per- la morte. La morte è pericolo. È la percezione stessa del pericolo, la morte. Innanzi al quale rimaniamo estasiati, affascinati, sedotti. È il fascino dell’incontrollato, quell’appuntamento di cui subisci la data e il luogo, anche il come. Nella critica del giudizio lo stesso Kant ci parla dell’estasi degli stati d’animo che proviamo innanzi a un mare in tempesta. È appunto l’angoscia innanzi all’incontrollato, la paura della morte, ad eccitarci. La paura stessa di provare il sentimento di paura. E reca con sé, anzi in sé, le stimmate di una presenza che è la radice della nostra esistenza: la finitudine. L’incontrollato si impossessa di noi. Ci fa paura. Ma non è mancanza di coraggio, la paura. Anzi conosce il coraggio. Si nutre di coraggio. Il coraggio di avere paura significa respirare l’angoscia metafisica dell’essere per la morte. La paura è fondamento dell’essere. Sa essere attraente se vissuta con la libertà di provare angoscia. Davanti ad un mare in tempesta. Di scegliere l’angoscia quale sentimento. L’angoscia è la chiave che apre le porte al dubbio dell’esistenza. Ci consegna all’Oscuro Terrore del Buddha. Esplora la notte mistica dell’anima, che è una notte di paura. E mai di paure. La paura allora è fondamento dell’essere e non semplicemente una sensazione. Un sentimento appunto. Come tale è un’opportunità. Deve essere vissuta come opportunità. Ti fa scandagliare fondali mai visti della tua anima. Ti fa ridisegnare la mappa della tua esistenza. Ti convince che essere ed esistere sono facoltà antitetiche con la connotazione dell’aporeticità. Oggi tutti dicono di provare paura. Certo, il momento che viviamo invita, obbliga alla paura. Ma è sempre perdita, quella paura. Paura di perdere ciò che si è conquistati, uno status, una casa, una famiglia, un lavoro. Paura della miseria, del baratro, del vuoto. Paura di perdere la stessa vita. Ma è sempre una paura legata a. Riferita a. Una paura la cui unica soluzione è l’evento salvifico che la dissolva. La scoperta di una terapia, un vaccino, una cura per guarire. Ma la paura che regala opportunità è tutt’altro. È quella dell’incontrollato, è angoscia dell’esistenza, dubbio dell’esistere, è consapevolezza di finitudine. Come tale presuppone una educazione alla paura stessa, una sua disciplina, una gestione controllata e risolta, mai chiusa, una messa in parentesi della propria esistenza ed educa, prepara al pensiero. Se vissuta e interpretata, approcciata e gestita come un incamminarsi verso, la paura esibisce la sua potenza: quella di aprire la mente. È in quest’ottica, che rifiuta la gnome del dogma, che rivendico questo diritto. Quello di avere paura. Di provare angoscia.

 

 

 

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