Aldo Bianchini
SALERNO – Tutta l’impalcatura accusatoria a carico di “Mons. Nunzio Scarano + 50”, sembra ormai essere stretta in uno spazio temporale di tre settimane; ventuno giorni in tutto che potrebbero restituire al mondo tutta la verità, soltanto la verità, nient’altro che la verità.
Bisogna tener conto, prima di andare avanti con i ragionamenti giornalistici più o meno bislacchi, che il processo “Scarano” è assolutamente sovrapponibile al processo “Fondovalle Calore” (1993-1994) in una ideale scala di valori processuali che hanno caratterizzato l’intera attività giudiziaria esercitata nella giurisdizione salernitana dal secondo dopoguerra ad oggi.
Oltretutto hanno una specifica caratteristica in comune; entrambi poggiano su basi indiziarie e su improvvisi ritorni di memoria di alcuni testimoni a carico che puntualmente in aula finiscono per deludere gli stessi pubblici ministeri.
Ho seguito molto attentamente, per quanto consente la pessima acustica delle aule della cittadella giudiziaria, l’ultima udienza del processo Scarano e grazie all’ottimo controesame di un teste chiave fatto dall’avvocato Riziero Angeletti (difensore di Mons. Scarano) ho appreso che la fase delicatissima delle indagini preliminari a cavallo dell’arresto del sacerdote (28 giugno 2013) ha subito un pesantissimo trasformismo di Massimiliano Marcianò che a giusta o errata causa fin dal 2013 è stato considerato “il teste chiave della pubblica accusa” a carico del principale imputato che è e rimane “Don Nunzio Scarano”.
Oltretutto nel corso del controesame l’avv. Angeletti, rivolgendosi direttamente al collegio giudicante, ha parlato di una lettera anonima sulla vita personale del Marcianò e di una telefonata dello stesso per parlare con il maresciallo della Guardia di Finanza Attilio Acconcia (tra gli investigatori impegnati nelle indagini preliminari) e di un rapporto di quest’ultimo indirizzato niente meno che alla dott.ssa Elena Guarino (titolare di quelle indagini ed ora pubblica accusa nel processo). Ma di questo cercherò di scrivere quando avrò elementi più concreti; si tratta comunque di un accadimento molto delicato che potrebbe addirittura cambiare l’esito del processo.
Ma torniamo al trasformismo di Marcianò, o almeno al suo cambio di passo, verificatosi tra il 12 giugno 2013 (primo interrogatorio) e il 3 luglio 2013 (secondo interrogatorio); 21 giorni che hanno rafforzato le presunte prove nelle mani della PM che si presentò dinanzi al GIP per la convalida dell’arresto di Mons. Scarano (avvenuto il 28 giugno 2013) con un castello accusatorio ancora più probante.
Lascia perplessi il fatto che in 21 giorni Massimiliano Marcianò passa da una dichiarazione quasi asettica ad una dichiarazione pesantissima nei confronti del prelato che era già stato arrestato e che, forse, dal carcere avrebbe potuto pretestare le sue ragioni chiamando direttamente in causa lo stesso Marcianò che poteva rischiare anch’egli l’accusa di “riciclaggio” e finire, quindi, in carcere.
Nel tempo breve di 21 giorni Marcianò, come ispirato sulla Via di Damasco, racconta:
- Da dove provenivano i soldi che i D’Amico donavano a Mon s. Scarano, con bonifici estero su estero;
- Di avere, per caso, “sbirciato” sul conto Ior di Scarano mentre questi parlava con Massimo Tulli;
- Ricorda la assicurazione di Tulli (vice direttore dello Ior) che tutto era in regola sui movimenti bancari;
- La storia dei cosiddetti “plichi diplomatici” con cui i D’Amico ma anche gli Agnelli facevano rientrare in Italia capitali da Montecarlo;
- Ed afferma che a suo modo di vedere i soldi dei D’Amico donati a Scarano erano il frutto di evasione fiscale;
- Ed aggiunge che “Ho sempre percepito che queste operazioni di rientro di capitali nascondessero qualcosa di poco lecito”;
- Di avere ascoltato una telefonata nel corso della quale “Nunzio riferì a memoria un codice e riferì i nominativi di personale che sarebbe stato presente su un volo privato che trasportava alcuni plichi diplomatici … vaticani”;
- Ed infine, per non parlare dei borsoni con tre o quattro lingotti d’oro, il capolavoro: “Per quanto di mia conoscenza la Casa degli Anziani di Salerno è gestita dal Comune e quindi il sindaco di Salerno poteva essere una persona di un certo rilievo per testimoniare le attività e le donazioni fatte da Nunzio SWcarano a favore della Casa degli Anziani. So che, tramite il Comune di Salerno, Nunzio ha sistemato un suo nipote, tale F.S. anche se non conosco la natura dei rapporti che Nunzio Scarano abbia con il Sindaco di Salerno”.
E le prove ?, niente di niente, solo indizi anche superficiali vincolati ai ricordi personali di un teste che prima dice di non sapere niente e poi, folgorato, svela tutto ma senza portare il minimo straccio di una prova.
A meno che quella vicenda della lettera anonima, della telefonata al maresciallo e del rapporto steso da quest’ultimo non vada ad incastrarsi, con una valenza incisiva, nel bel mezzo di quei benedetti 21 giorni intercorsi tra il primo e il secondo interrogatorio; ed allora davvero i giochi potrebbero radicalmente cambiare.
Ma chi è Massimiliano Marcianò ?, lo scopriremo nella prossima puntata.