Aldo Bianchini
SALERNO – Il 25 gennaio scorso nei locali della libreria “Imagine’s Book” di Salerno è stato presentato al pubblico l’interessante lavoro storico-letterario di Alfonso Mignone dal titolo: “Porto di Salerno – Una storia lunga dieci secoli” (D’Amico editore).
Per la presentazione il bravo giornalista Mirko Cantarella ha chiamato a se tre grossi docenti universitari: Amalia Galdi (docente di storia medievale), Stefano De Luca (docente di analisi dei sistemi di trasporto) e Alessandro Mazzetti (analista geopolitico e storico navalista); presente, ovviamente, anche l’autore Alfonso Mignone.
Questa, in sintesi, la notizia inerente un dibattito giusto e necessario che riguarda una delle principali fonti economiche,m se non proprio la prima, della Città di Salerno e dell’intera sua provincia: il porto commerciale di Molo Manfredi.
Una semplice presentazione di un libro che, nella fattispecie, doveva assumere il ruolo di un dibattito complessivo che avrebbe dovuto avvolgere la politica e le istituzioni dell’intero territorio provinciale e che, invece, è rimasto compresso in un nugolo molto ristretto di spettatori, fino al punto che verso la fine della serata insieme ai cinque relatori ero rimasto soltanto io seduto di fronte a loro. Una delusione terribilmente sconvolgente al solo pensiero di come la “comunità salernitana” si rapporta con il maggiore motore di sviluppo, di occupazione e di economia di tutto il territorio.
Quello del Porto sembra un discorso che interessa a pochissime persone se non proprio a nessuno, e questo sinceramente è avvilente perché dà la giusta misura della capacità, meglio sarebbe dire incapacità della politica di coinvolgere l’intera comunità in un discorso che riguarda davvero tutti e che rischia di perdersi nelle secche dell’apatia e dell’insipienza.
Il grido d’allarme per la depauperazione sistematica e inarrestabile del porto di Salerno è stato ben lanciato dai tre docenti universitari i quali, ognuno per l’aspetto scientifico di propria competenza, hanno spiegato con parole semplici, chiare ed inappellabili che se le istituzioni locali non si danno una rapida mossa il porto millenario di Salerno rischia seriamente di essere fagocitato dal mega porto di Napoli; e se questo non è ancora avvenuto è dovuto al fatto che quello partenopeo non ha mai potuto contare su una perfetta organizzazione (modello lavorativo) come quella evidenziata fino a poco tempo fa dal porto di Salerno.
Nessuno lo ha praticamente citato, ma nella libreria aleggiava l’immagine dell’avv. on. Andrea Annunziata, eccellente manager che ha gestito l’Autorità Portuale negli ultimi otto anni della sua esistenza. E mentre gli oratori parlavano anche io mi sono ritrovato a pensare alle incredibili difficoltà che Annunziata ha dovuto incontrare sulla sua strada (politiche, tecniche, economiche e giudiziarie) per poter vincere nell’affermazione di un suo personale “modello lavorativo” che ha rilanciato l’entità portuale salernitana a livelli di assoluto valore internazionale. E’ bene ricordare che per diversi anni nei meeting di Fort Lauderdale (Florida, USA) si è sempre e solo parlato del porto di Salerno e mai di quello di Napoli; e scusate se è poco. E come sempre accade Andrea Annunziata è stato sfrattato dal suo posto con troppa superficialità e con troppa velocità; ed eccoci di fronte al disastro che se non è ancora conclamato e sicuramente sulla buona strada per esserlo.
C’è da sperare che la Città nel suo complesso riapra rapidamente gli occhi per cercare di salvare, se ancora possibile, la sua principale fonte di ricchezza e di sviluppo.
Nel frattempo pubblico con piacere il pensiero che il prof. Mazzetti ha scritto per alcune riviste specializzate del settore; pensiero incentrato sul “sistema zes” che come al solito in questo Paese è stato ampiamente distorto e ridotto a mere piccole speculazioni paesane invece di essere inteso come un sistema di carattere generale, almeno per larghe fasce di territorio.
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PORTO: l’isola che non c’è, il sistema zes un pasticcio tutto italiano … parla il prof. Mazzetti
Non v’è dubbio alcuno che il mondo della navigazione marittima e del commercio stia mutando a velocità impensabili sino a qualche tempo fa. Naturalmente tali mutamenti assumono un carattere assolutamente dirompente anche nella politica – economica e in quella estera rese da questi molto più fluide e per taluni versi difficilmente decodificabili. In fondo non poteva essere altrimenti nel secolo della Blue Economy il quale s’innesta in un sistema neoliberista dove il commercio, in tutte le sue sfaccettature, è indubbiamente l’elemento di maggior importanza. Per cui l’assioma neoliberismo-shipping-politica internazionale se da un lato assume un valore d’eccezionale importanza dall’altro manifesta la sua sensibilità a fattori sia endogeni che esogeni. Infatti sono bastati i lavori del canale di Suez per imprimere mutazioni poderose non solo al sistema del trasporto internazionale, ma anche a quello politico. Basti pensare all’ecletticità e alla fluidità sviluppatasi in tutto il Mediterraneo e alle conseguenti necessità, insieme ad altri fattori, di accelerare il consolidamento delle rotte artiche. Per cui Suez, Belt and Road Initiative e le rotte artiche hanno agito come elementi di accelerazione commerciale, economica e politica tanto da determinare una considerevole diversità dallo stesso sistema neoliberista che sarebbe più opportuno chiamare, da Suez in poi, post-neoliberista. In questo complesso quadro le nazioni e le potenze che non si adegueranno alle nuove esigenze saranno condannate a svolgere ruoli sempre più marginali financo a raggiungere posizioni residuali. Un altro elemento di assoluto interesse, che traccia una linea di discontinuità con il passato, è il nuovo ruolo della logistica, non solo nel comparto commerciale e del trasporto, ma anche come vera e propria leva o elemento di pressione in politica estera. Insomma tutta una serie di sfide che l’Italia con le sue lunghe coste, con la sua industria navale d’eccellenza, ma soprattutto con le sue grandi capacità marittime storicamente provate è chiamata ad affrontare. Una sfida poderosa che potrebbe portare al rilancio non solo economico italiano, ma anche politico a livello internazionale. Infatti in questi anni qualcosa s’è fatto nella direzione di rimanere al passo con i tempi con l’istituzione e la realizzazione delle ZES, ossia delle zone economiche speciali (D.L. 91/2017). Per semplificare diremo solamente che sono una sorta di zone franche a legislazione speciale suddivise in aree geografiche chiaramente identificabili tese all’organizzazione, sviluppo ed incremento del commercio. Una struttura organizzativa e commerciale che è stata pivot dello sviluppo economico in molte aree del mondo e per molte realtà politico-economiche emergenti come la Cina, la Russia e la Turchia. Le Zes quindi divengono elementi e volani di sviluppo. Per cui in generale esse sono elementi indispensabili per rimanere in linea con l’economia e lo sviluppo contemporaneo. Allora per quali motivi la realizzazione e la prolificazione delle Zes in Italia non ha ancora dato i frutti sperati? La risposta vive, paradossalmente, proprio nella domanda. Infatti le Zes non sono degli organismi autonomi, ma delle strutture che si interconnettono ad altre strutture preesistenti. La realizzazione di queste zone economiche risponde quindi ad esigenze non solo locali o regionali, ma soprattutto nazionali o meglio internazionali. Per cui l’assenza di un vero piano di sviluppo nazionale che prevede l’inserimento e l’utilizzo di questo prezioso strumento ne inficia naturalmente il rendimento. In sintesi, per semplificare, le Zes sono un mezzo e non un fine. Ebbene sostenendo che sono strutture complesse che si interconnettono ad altre strutture complesse, non si fa altro che prendere coscienza del fatto che il mondo commerciale e quello del trasporto è divento una realtà altamente complessa dove l’innovazione tecnologica, la logistica e la programmazione su vasta scala sono elementi indispensabili per l’ottenimento dei risultati sperati. In sintesi oggi le zone economiche sono sistemi indispensabili, ma non sufficienti per affrontare le nuove sfide commerciali. Per renderle veramente operative esse abbisognano di due precondizioni indispensabili, ossia, una strategia centralizzata multidisciplinare che dal locale vada al nazionale per immettersi nel contesto internazionale e la connessione ad un sistema interconnesso del trasporto funzionale in linea con le esigenze attuali. È proprio per tali motivi che al momento le Zes italiane sono condannate a rendimenti residuali appunto per la mancanza di una strategia nazionale e per lo scarno sviluppo infrastrutturale italiano che nel Mezzogiorno d’Italia vive grandi deficit strutturali. Per cui tali infrastrutture divengono essenziali non solo per un mero principio di competitività, ma esse sono anche un fattore di crescita in un’ottica d’integrazione e di sviluppo delle attività economiche. Necessita, quindi una visione globale di reti interconnesse tra loro che superi la mera applicazione provinciale e nazionale. In pratica una visione di respiro internazionale che inibisca l’atavica abitudine italiana di agire solo in base ad esigenze locali determinate dall’emergenza del momento. Anche qui una mera strategia nazionale dei porti e delle ZES risulterebbe del tutto insufficiente, poiché questa deve essere naturalmente accompagnata dal potenziamento delle reti di trasporto. Reti che vanno accresciute e realizzate in base ad un piano ben preciso teso ad intercettare il traffico internazionale, aumentare le economie di scala non solo industriali, ma anche interportuali al fine d’essere competitivi sul mercato mondiale dove potenze economiche quotidianamente investono ingenti somme di denaro più simili a manovre economiche che a meri investimenti. Per cui le Zes divengono, sia punto di partenza del commercio, ma anche punto d’arrivo di una rete interconnessa appositamente studiata. Quindi un’analisi non può prescindere dalla valutazione infrastrutturale dei trasporti. Proprio su tale importantissima questione nascono le dolenti note poiché i parametri italiani, ma soprattutto meridionali, sono decisamente bassi e non corrispondenti non solo alla media europea, ma anche alle moderne necessità. Per cui se andiamo ad analizzare la rete infrastrutturale italiana nel suo complesso troveremo che il sud possiede solo 18 Km di autostrada per 1000 Km di strade in confronto ai 20 Km del centro e ai 30 Km del Nord (Germania 36 Km di autostrada per 1000 Km di strada). Ma il dato più preoccupante è determinato dalla mancanza di crescita della suddetta rete autostradale mentre in altri paesi europei questa cresce in modo costante già da diverso tempo come in Spagna 5,1% annuo e Danimarca 2,6%. Anche la rete ferroviaria risulta essere poco coerente con le nuove necessità del trasporto moderno e anche in questo campo il divario nord e sud è del tutto evidente (45 Km di strada ferrata per 1000 Km di strade a confronto con i 59 Km del centro ed i 65 Km del Nord). Un ritardo, per così dire, che si acuisce se si confronta con l’elettrificazione della rete che vede quella del sud raggiungere una modesta quota del 50% a cospetto dell’80% del centro-nord. Anche nella presenza della rete a doppio binario l’Italia, nel suo complesso, ha un ritardo nei confronti delle altre nazioni europee. Tale divario aumenta naturalmente nel rapporto centro-nord con una copertura che va oltre il 60% ed il sud con il suo 51%. Anche nel trasporto aereo vivono delle consistenti disparità e difformità tra nord centro e sud, così come nel suo complesso il sistema aeroportuale nazionale risulta anch’esso essere sottodimensionato in confronto alla media europea. Un piano di sviluppo organico nazionale ed il potenziamento del trasporto commerciale via aerea concorrerebbe a rendere coerente una strategia economica e commerciale in linea con le esigenze attuali. Naturalmente in questa dinamica assume grande importanza anche il cablaggio della rete internet, la quale non è per nulla uniforme su tutto il territorio nazionale. Proprio al sud questa deve essere potenziata e sviluppata viste le numerose e considerevoli zone d’ombra presenti sul territorio del nostro Meridione. Da qui bisognerà realizzare tutta una serie di strategie fondamentali per abbattere i tempi di percorrenza dell’accessibilità alle reti interconnesse, elemento quasi dimenticato dalla nostra classe dirigente, ma di fondamentale importanza sia industriale che commerciale. Solo dopo aver approntato un piano generale e nazionale sull’interconnessioni e potenziamento delle reti intermodali di trasporto e solo dopo la realizzazione strutturata ed intelligente di una rete d’interporti, vero tonico per l’economia depressa dell’entroterra italiano, si potrà realmente mettere mano ad un piano portuale teso ad eliminare la storica ed atavica concorrenza tra porti italiani. Tale studio, se condotto con lucidità, coerenza e lungimiranza dovrà non solo impedire che i porti si facciano concorrenza tra loro, ma specializzandoli potrebbe far nascere una sorta d’economia di scala interportuale creando quei benefici che queste portano alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti nell’economia classica o tradizionale. Ma per far ciò il piano, per sua natura, dovrà essere nazionale e fortemente interconnesso con il commercio internazionale. In questa dinamica proprio quella sorta di strano regionalismo che si sta pian piano determinando con la realizzazione delle varie Zes dovrà necessariamente scomparire. Quindi per propria natura dell’argomento sarebbe auspicabile la nascita di un’agenzia che dotata delle competenze necessarie non solo studiasse i piani programmatici di queste esigenze, ma che avesse anche l’autorità per la messa in opera di tali studi. In un mondo sostanzialmente dominato dal commercio internazionale e da quello marittimo in specie questa via assume più i toni d’indispensabilità che di quelli dell’opportunità. Allo stato attuale le Zes italiane si configurano come piccoli dipartimenti autonomi scarsamente connesse tra loro senza un piano generale. Il perdurare di questo stato di cose non potrà altro che far scomparire il sistema nazione e quello imprenditoriale italiano dalle rotte internazionali, condannandoci ad un ruolo marginale non solo economico, ma anche politico. Una semplice riprova di quanto affermato la si riscontra nell’enorme valore politico, ma sarebbe più opportuno parlare di geopolitico, che le reti logistiche nelle loro specializzazioni, ma anche nel loro complesso, assumono attualmente come proiezioni dinamiche esterne. Per semplificare il passaggio alla realizzazione di una sorta di unica Zes Italia, studiata, ragionata e realizzata sulle basi delle nuove esigenze del mercantilismo mondiale diviene l’unica via perpetrabile. Il Belpaese ha sia le energie economiche, la conoscenza scientifica, la capacità tecnica oltre che ad una struttura imprenditoriale capace di poterla realizzare, ora bisognerà solo comprendere se ci sarà la volontà politica per farlo. Parafrasando la locuzione latina ‘si vis pacem para bellum’ dobbiamo prepararci alla guerra economica in corso per ottenere la sopravvivenza e la pace economica per il nostro paese.
Alessandro Mazzetti
Trovo pregevole l’excursus storico-letterario compiuto da Alfonso Mignone per illustrare l’evoluzione nei secoli andati del Porto di Salerno, dalle origini fino ad oggi. Una ricostruzione fatta con numerosi riferimenti e con richiami a documenti spesso citati nella lingua originale, a conferma della loro autenticità.
Non poteva mancare il noto e popolare detto salernitano che ipotizzerebbe la morte di Napoli se solo Salerno avesse un porto con tutti i crismi. È chiaro che ha una valenza differente ed esprime una recondita aspirazione, non classificabile se non di “terzo tipo”. Eppure se ne trovano riscontri anche in altre realtà. Si dice ad esempio che Parigi sarebbe una piccola Bari, se potesse avere il mare (Si Parig avess lu mer, sarebb na piccula Beer). Espressioni invero paradossali ma in un certo senso significative di un sentire diffuso, sia pure a livello di desiderio onirico.
Nella lettura del testo ho trovato illustrato con dovizia di dati il vitale settore del sistema logistico con cui si interfaccia lo scalo salernitano, in particolare la rete infrastrutturale dedicata allo smistamento delle merci in transito.
Correttamente viene evidenziata da un lato la necessità inderogabile di migliorare i collegamenti stradali, oggi penalizzati da strozzature paralizzanti, e dall’altro è assolutamente strategico dotarsi di una rete retroportuale per ovviare alle ristrettezze di spazi all’interno del perimetro retroportuale. Non viene indicato come ciò possa avvenire, ma quanto meno denota una costruttiva dichiarazione di intenti.
Non mi appare convincente quanto riportato in altra parte del libro, dove si illustra la posizione del porto nel Sistema Logistico Campano. C’è un aspetto positivo rappresentato dal fatto che rispetto alla rete delle autostrade e delle strade statali della regione Salerno occupa una posizione direi baricentrica e quindi favorevole a consentire la movimentazione più che soddisfacente delle merci indicato per il tipo di trasporto su gomma.
Pochi cenni Invece vengono dedicati a quello che, dal mio punto di vista anche in base alle recenti tendenze che vanno soffermandosi in Italia e nel mondo, rappresenta un punto di debolezza della struttura portuale in tutte le sue articolazioni. Viene citata infatti la “struttura portante” rappresentata dal reticolo di importanti tratti tostradali e da altrettante strade statali e regionali, Poi però si dice che “per quanto riguarda il sotto-sistema ferroviario, il porto di Salerno non può contare su un collegamento diretto con la rete ferroviario, ma si inserisce in un sistema infrastrutturale non trascurabile”. Ritengo intanto non pertinente e poco comprensibile la definizione di sotto-sistema ferroviario, quasi a voler stabilire una graduatoria di importanza nella quale viene inserito in posizione arretrata il trasporto su ferro. Ugualmente meriterebbe una più chiara spiegazione l’asserzione che comunque il porto si trova inserito in un sistema infrastrutturale non trascurabile (strade?). Cioè implicitamente può fare a meno di una bretella di collegamento diretto con le linee ferroviarie nazionali, per utilizzare solo trasporti su gomma e rinunciare a quelli su ferro??
Da tempo vado evidenziando che sul tema si notano atteggiamenti elusivi e quasi rinunciatari, Sembra che si ignori che nel mondo e in Itala si stia prepotentemente affermando la diffusione dei trasporti ferroviari con fasci di binari che vengono portati fin sulle banchine per le operazioni di imbarco/sbarco. Se ne apprezza sempre di più la convenienza in termini di velocizzazione delle consegne, di riduzione dei consumi energetici, di abbattimento dell’inquinamento ambientale e in generale di economicità dei servizi.
Non vedo però una reale volontà a superare questo tabù, se non a livello discorsivo.