da Dr. Alberto Di Muria
Padula-Un vero è proprio allarme, proveniente dalla Svizzera e rilanciato con un’inchiesta del noto quotidiano francese Le Monde, riguarda il farmaco Prolia prodotto dall’americana Amgen ed utilizzato nella cura dell’osteoporosi. Stando ad alcuni ricercatori svizzeri, il farmaco avrebbe degli effetti collaterali devastanti dopo l’interruzione del trattamento; alcuni pazienti, infatti, avrebbero avuto delle fratture vertebrali multiple quale conseguenza della sua sospensione.
Il farmaco consiste in una soluzione, iniettabile ogni 6 mesi attraverso siringhe preriempite, basata sul principio attivo denosumab e sembrava essere un farmaco “miracoloso” per la sua provata efficacia nella cura di questa particolare patologia caratterizzata da una rarefazione e da un indebolimento delle ossa.
Questo farmaco inibisce il riassorbimento osseo ed è usato sia per il trattamento che per la prevenzione dell’osteoporosi. Nello specifico, Prolia inibisce la formazione, l’attivazione e la funzione degli osteoclasti, le cellule responsabili dell’assorbimento osseo. Il lancio di Prolia è stato considerato un momento di svolta nel trattamento dell’osteoporosi, perché fino a quel momento venivano impiegati solo i bifosfonati. In base ai risultati degli studi, Prolia migliorava notevolmente la mineralizzazione ossea e, con essa, la densità ossea anche in pazienti in cui la terapia a base di bifosfonati si era dimostrata non sufficientemente efficace.
Al termine della terapia con Prolia, però, alcuni pazienti hanno sviluppato fratture vertebrali multiple. I ricercatori di Losanna e di Berna, attribuiscono queste lesioni all’effetto rebound: Prolia manda in letargo gli osteoclasti, ovvero le cellule responsabili del riassorbimento osseo. Di conseguenza, il riassorbimento osseo viene inibito durante la terapia con Prolia. Al termine della terapia gli osteoclasti riprendono però la propria attività distruttiva a un’intensità invariata. Bastano pochi mesi per annullare l’effetto di anni di terapia, riducendo le ossa in uno stato peggiore rispetto a prima dell’inizio della terapia.
Il problema, a detta dei ricercatori svizzeri, è dato dal fatto che lo studio su questo farmaco non è stato sufficientemente esteso sul periodo post somministrazione. Ossia, non sarebbero state adeguatamente verificate le potenziali conseguenze sui pazienti al momento dell’interruzione della somministrazione.
La società Amgen, produttrice del farmaco, nel frattempo si difende affermando che la percentuale relativa all’insorgenza dei casi è relativamente bassa, circa lo 0,2%, mentre i ricercatori di Losanna stimano un’ampiezza percentuale del fenomeno ben più vasta.