La redazione
SALERNO – In rete gira una meditazione sul Natale e su Gesù che merita di essere pubblicata; l’ha scritta S.E. Mons. Andrea Bellandi (arcivescovo di Salerno) e che è facilmente collegabile al “senso della natività”.
Meditazione:
C’è una frase sintetica di san Bernardo di Chiaravalle che riassume con stupore tutto l’avvenimento cristiano, evidenziandone e intuendone il metodo. San Bernardo scrive nel suo 3° Sermone per la Vigilia di Natale: «Venire voluit, qui potuit subvenire» (II,1). La traduzione italiana deve usare almeno il doppio delle parole: «Volle venire Colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci».
E questa, per san Bernardo, è la «miranda» – ammirevole, stupefacente – misericordia di Dio, che ci riempie di stupore più ancora della sua potenza. «Magna est ista potentia: sed plus est miranda misericordia, quod sic venire voluit, qui potuit subvenire – Grande è questa potenza: ma ancor più mirabile è la misericordia, poiché così volle venire Colui che si poteva accontentare di aiutarci».
Sì, Dio avrebbe potuto accontentarsi di soccorrere la nostra miseria, il nostro bisogno. Avrebbe potuto salvare tutta l’umanità con un solo pensiero, con una sola parola. Come all’inizio ha detto: «Sia la luce» e la luce fu, avrebbe potuto dire: «Sia la salvezza», e tutti saremmo stati salvi. Non era necessario che entrasse nel tempo, nella storia che Lui stesso ha creato, che il Creatore entrasse nella creazione, che si accompagnasse ad essa; non era necessario che il Verbo che poteva realizzare tutto con una sola parola si facesse carne, uomo, vita di un uomo, non solo per trentatré anni, ma per tutto il tempo della Chiesa, suo Corpo, per tutto il tempo del dipanarsi ecclesiale, eucaristico, apostolico, della sua Presenza. Ma ha voluto cosi, lo ha fatto. Si è fatto Fatto: è avvenuto, è accaduto come Avvenimento.
Questo non dobbiamo, non possiamo “capirlo”, perché è una sorpresa assoluta. E’ con sorpresa, è con stupore che san Bernardo esclama, e certamente ripete a se stesso continuamente: «Venire voluit, qui potuit subvenire». Non sta “capendo” qualcosa, sta guardando un fatto, un avvenimento incredibile. Sta ammirando la «mirabile misericordia», è preso da stupore di fronte alla misericordia di Dio che si manifesta in Cristo. E’ come quando qualcuno ti fa un piacere enorme, che non era tenuto a farti, e gli ripeti continuamente: “Ma no, non dovevi disturbarti!”. Come quel centurione: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente”. Gli disse: “Verrò e lo guarirò”, Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (Mt 8,6-8).
Di fronte al suo bisogno, Gesù agisce subito, proprio per il mistero che incarna: “Vengo a guarirlo!”. Sì: «Ha voluto venire Colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci». E l’altro, appunto, non si sente degno di tanto avvenimento. “Ma no, basta una tua parola, non disturbarti!”. E’ anche un atto di fede, come Gesù fa notare a tutti: «In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!» (Mt 8,10). In fondo, la fede consiste nel credere che in Cristo la Salvezza ci raggiunge anche attraverso una sua sola parola, perché dal momento che Lui è venuto, dal momento in cui l’Eterno è venuto, l’Infinito è venuto, tutto di Lui e tutto in Lui diventa segno e strumento del suo avvenimento.
E’ bello vedere Gesù stupirsi di chi si stupisce di Lui. II centurione è stupito che Gesù si muova subito per andare da lui, in casa sua, nella casa di un pagano, di un romano pagano! «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto» (Mt 8,8). Non sono degno che tu venga, quando basta, e infatti basterà, l’aiuto di una parola. Ma ormai, anche quella sola parola non può essere altro che “Dio che viene”, perché ha già voluto venire, è già venuto, è già qui a salvarci.
O nell’episodio della risurrezione della figlia di Giairo. Anche lì, Gesù si muove subito in forza dell’avvenimento che è: «Giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: “Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà. Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli» (Mt 7, 18- 19).
La sobrietà di Marco fa risaltare ancor più lo “scatto” di Gesù a farsi avvenimento: «Andò con lui» (Mc 5,24). In Marco e Luca la figlia di Giairo non è ancora morta quando il padre chiama Gesù, ma muore prima che Gesù arrivi, così i servi vengono a dire di «non disturbare più il Maestro» (Lc 8,49; Mc 5,35). Allora è Gesù che invita Giairo a continuare ad avere fede (cfr. Mc 5,36; Le 8,50). E la fede qui significa continuare a lasciar venire Cristo in casa nostra, nella nostra vita, nella vita dei nostri cari, nella vita del mondo, per salvarci. La fede è rendere metodo di vita lo stupore per il fatto che abbia voluto venire quel Dio a cui sarebbe bastato aiutarci da lontano, senza incontrarci, senza mostrarci il suo volto, senza toccarci, senza prenderci per mano. La fede incomincia quando ci si arrende a questo stupore, e si fa come i bambini che quando sono di fronte alla bellezza spalancano gli occhi, la bocca, le narici, allargano le braccia, tendono le mani, in un aprirsi, in un farsi capienza di ciò, di chi ci sorprende, per lasciarsene riempire, per lasciar venire in noi la bellezza buona che ci sorprende.
«Venire voluit, qui potuit subvenire». Ha voluto ciò che avrebbe potuto non fare: tutta la libertà di Dio è espressa da questi due verbi. Dio è onnipotente: può tutto ciò che vuole. Ma qui ha voluto il dono di Sé, un dono di tutto se stesso, perché è venuto verso l’altro, è venuto fuori di Sé, è venuto nel mondo, è venuto nella carne, è venuto nel tempo. Non si è limitato a sovvenire, si potrebbe tradurre: a dare una sovvenzione, un’elemosina gettata dall’alto in basso. E’ venuto Lui stesso!
Perdere lo stupore di fronte a questo fatto è quindi per noi il massimo dell’immoralità, dell’immoralità come mancanza di gratitudine, di riconoscenza. E’ il peccato del debitore cui è stato rimesso tutto e che non rimette al suo compagno; è il peccato dei nove lebbrosi che non tornano a ringraziare Gesù; è il peccato di tutti quelli che abbandonano Gesù proprio quando Lui annuncia che il suo venire a noi arriva fino a farsi carne da mangiare e sangue da bere; è il peccato di Pietro quando si oppone alla Croce, o quando ha la presunzione di dare lui la vita per Cristo invece che lasciarsi lavare i piedi e lasciar morire Gesù per lui; è il peccato del rinnegamento, il peccato come rinnegamento, come non riconoscimento di Cristo.
Ma il rinnegamento inizia dal non stupirsi più dell’essenziale, di fronte al semplice e pur sconvolgente fatto che Lui è venuto, che ha voluto impegnare la sua onnipotenza nello svuotarsi di sé per venire incontro all’uomo fino in fondo, fino alla periferia estrema dell’umanità, fino alla nascita, fino alla quotidianità umana, fino alla morte in Croce.
Le “periferie” verso le quali ci rimanda papa Francesco non sono da definire a partire da noi stessi, mettendo al centro noi stessi, o i cattolici ancora fedeli, o i ricchi, o i potenti, o che so altro, ma contemplando l’avvenimento di Cristo, con stupore per il suo venire a me, a chi mi sta vicino, a chi mi sta lontano, a chi mi è nemico, a chi dimentico, a chi trascuro, a chi censuro… Solo uno stupore per l’avvenimento di Cristo ci può mandare, anzi: portare, attirandoci, verso tutte le periferie in attesa della Salvezza.
Pietro ci insegna che il peccato di non stupirsi di fronte al venire di Cristo, cioè il rinnegamento, è sempre possibile. Lo vediamo, ne siamo coscienti, è la nostra miseria quotidiana. Semmai il problema è che pensiamo che la miseria sia altro, che la miseria siano appena le conseguenze del rinnegamento e non il rinnegamento stesso, e non il dire, quasi senza accorgerci, che «non conosciamo quell’uomo» (cfr. Mt 26,72).
Siamo allora chiamati a riprendere coscienza dello stupore che rinneghiamo, a recuperare con umiltà una capacità di stupore e quindi di passione che giace sotto le ceneri della nostra coscienza, del nostro vivere quotidiano, del nostro fare e parlare, del nostro impegno o della nostra pigrizia. «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). La conversione è un ritorno ad un cuore capace di stupirsi di fronte all’avvenimento di Dio nella nostra vita. Con che stupore Pietro si deve essere trovato di fronte al Risorto che gli chiedeva, chiamandolo per nome e cognome: «Mi ami tu?» Quello che stupisce nella Risurrezione di Cristo non è tanto il fenomeno eccezionale, “paranormale”, ma che Cristo ritorni a noi, che Cristo venga a noi, personalmente. Infatti, i discepoli non hanno creduto al fenomeno, ma all’ incontro col Risorto.
Dico cose che già “sappiamo”. Ma lo scopo di un momento come questo, di un radunarci in preghiera, è proprio semplicemente quello di risollecitare un incontro e quindi lo stupore di fronte a Cristo che viene, e che poteva non venire, non tornare, non rinnovare l’incontro con noi. Gesù poteva non rinnovare l’incontro con Pietro. Invece lo rinnova al centuplo. Mai, prima del rinnegamento, Gesù aveva mendicato l’amore di Pietro come ha fatto sulla riva del lago. Prima gli chiedeva delle cose da fare, gli dava degli incarichi, gli insegnava i precetti del Vangelo, tanto che Pietro aveva creduto che la sua vocazione e la sua missione fossero tutte lì, in quelle cose da fare, in quelle responsabilità supreme, in quelle parole imparate a memoria, in quel tener in mano le cose lui, in quel maneggiare la spada in difesa di Cristo e della sua causa.
Tutto crolla quando l’avvenimento di Gesù nella sua vita arriva al culmine. Gesù voleva e vuole solo conquistare il cuore di Pietro, riempirlo di amore per Lui, di amore grato per una amicizia che è tutta grazia.
«In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani [le tue mani vuote, senza spade e tese, aperte per abbracciare Cristo in tutti, in tutto, anche nella morte], e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio [glorificare Dio vuol dire corrispondere alla sorpresa di Dio che si rivela, che si dà. Nella morte, nel martirio, Pietro corrisponderà allo stupore per la venuta di Cristo a dargli la vita, la Sua vita divina, la Sua vita che è totale dono di Sé per la salvezza del mondo]. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
La sequela è proprio un lasciarci trascinare dal venire di Cristo nel mondo. Uno che si stupisce perché Dio ha voluto venire quando si sarebbe potuto accontentare di mandarci degli aiuti, segue. Cosa può fare d’altro che seguire? Che seguire questa Presenza nel suo continuo, gratuito e incondizionato venire al mondo, venire a salvarci e non solo ad aiutarci? La vocazione non è solo un volontariato per fare qualcosa di buono, di bene. La vocazione è lasciarsi liberamente trascinare dalla venuta di Cristo, dall’avvenimento di Cristo. Questo produce anche l’opera, e le dà consistenza. Ma se l’opera non segue Cristo, se non è espressa lasciandosi trascinare dal Suo venire, prima o poi l’opera tradisce Cristo, Lo rinnega, e crolla amaramente. Invece, se l’opera, l’impegno, il dono di sé, si lasciano trascinare dal Suo venire, daranno frutto anche quando verranno distrutte, dalla nostra fragilità o dall’ostilità del mondo. Pensiamo ai martiri, a san Paolo…
La Chiesa stessa, quando non guarda stupita al venire di Gesù, finisce per decomporsi sovvenzionando il mondo, le opere del mondo, le idee del mondo, la beneficenza del mondo, il potere del mondo. E’ un sale che perde sapore.
Il metodo cristiano è la venuta di Cristo a salvare i peccatori, ed è questa la misericordia che Dio vuole. Dire che Dio ha voluto venire invece di sovvenire soltanto, coincide col dire che Dio ha voluto la misericordia. Non solo l’ha voluta da noi – che è una conseguenza – ma da Se stesso.
La misericordia del Padre è la venuta di Cristo, la presenza di Cristo incontro ai peccatori, in mezzo ai peccatori. Ed è così che siamo chiamati a riconoscerla, ad accoglierla, e viverla.
Vi leggo tutto il paragrafo di san Bernardo che culmina nella frase con cui egli si stupisce della misericordia come avvenimento. Ricordiamoci che dice queste cose nella Vigilia del Natale:
«Voi che giacete nella polvere, svegliatevi e lodate, poiché viene il Medico per i malati, il Redentore per coloro che sono in schiavitù, la Via per coloro che si erano perduti, la Vita per i Morti. Viene Colui che getterà nel profondo del mare tutti i nostri peccati, che risanerà tutte le nostre malattie, che sulle Sue spalle ci riporterà all’origine della nostra dignità. Grande è questa potenza, ma ancora più mirabile è la misericordia, poiché così volle venire Colui che si poteva accontentare di aiutarci». (Serm. Vig. Nat., 3,1).
È questo il compimento dei tempi, è questa Presenza che inserisce tutto il tempo e tutti i tempi nel loro senso, nella loro pienezza. Ma se la pienezza del tempo è l’avvenimento di una presenza personale, ciò vuol dire che ormai la pienezza del tempo si realizza, si vive, in una relazione. Cristo, nel quale «abita corporalmente tutta la Pienezza della Divinità» (Col 2,9), facendosi uomo ci permette di vivere in una relazione personale con Lui e tra noi, ci permette di vivere la nostra relazione con il tempo che in Lui si è compiuto. La pienezza di ogni istante della nostra vita non è più alla fine dei tempi, ma già adesso nella comunione con Dio in Gesù Cristo. È questa la condizione filiale di cui parla san Paolo: «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). Il tempo che viviamo trova la sua pienezza nella nostra relazione filiale col Padre, in Cristo e attraverso lo Spirito. Poiché «lo Spirito del Figlio è nei nostri cuori», il nostro cuore diventa il luogo in cui i tempi dell’universo e della storia trovano la loro pienezza nella Relazione d’amore trinitaria che è origine e fine di ogni cosa.
La prima testimone di questa pienezza dei tempi vissuta nel cuore è la Vergine Maria. In lei la pienezza dei tempi diventa pienezza di umanità, pienezza di relazione, pienezza di amore e di preghiera. Per prima, ella testimonia nello stupore che «volle venire Colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci». Dall’annuncio dell’angelo, ella non è vissuta che testimoniando la presenza incarnata di Dio nel mondo. Una testimonianza senza molte parole, ma che dal suo cuore trasfigurava e trasfigura tutta la sua persona. La relazione con Gesù, e in Lui con il Padre attraverso lo Spirito, era nel suo cuore la sorgente e la pienezza di tutte le altre relazioni.
«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc2,19). La comunione con il Dio presente dilatava il suo cuore per vivere ogni relazione e ogni circostanza, ogni tempo, nella loro pienezza. Tutto, per lei, era occasione per rinnovare lo stupore e l’adorazione della Presenza del Figlio. La visita e la testimonianza dei pastori, per esempio, approfondiscono in lei la coscienza che, nel suo Figlio, Dio era venuto veramente per salvare il mondo. Ed in questa coscienza, approfondiva la conoscenza di se stessa, la coscienza di essere la Madre del Dio che viene a salvare il suo popolo, di Dio che è presente per salvare tutti gli uomini, incominciando dai più piccoli e perduti.
Maria ha un cuore che lascia venire il Signore e lascia così agire la sua Presenza nel mondo. Non è Madre di Dio perché Lo mette al mondo, ma perché Lo riceve nel mondo. Mediante la sua comunione con Lui, nella preghiera e nella carità, permette a tutti di entrare in relazione con suo Figlio e di trovare in Lui la pienezza della loro vita e del tempo da vivere, e di diventare come lei degli uomini che generano in sé la Pienezza dei tempi, accogliendo nel loro cuore e nella loro vita Colui che è voluto venire mentre si sarebbe potuto semplicemente accontentare di aiutarci.
Preghiamo la Madonna, che ci renda partecipi del suo stesso stupore, custodendolo nel nostro cuore.
Le colte, profonde ed intense meditazioni di Sua Ecc.Monsignor Ballandi ci confortano e ci sommergono di sublime spiritualità cristiana ripagandoci delle offese, delle umiliazioni ,del costante, pervicace attacco che il laicismo e certa “intellighenzia”si compiacciono di lanciare contro la nostra Fede soprattutto in questo periodo ,quando più ci aspetteremmo, se non espressioni di adesione universale alle nostre celebrazioni, almeno forme di rispetto,quel rispetto che invece profondono a iosa ad altre religioni e proprio a quelle che esprimono valori e concezioni del mondo in netta e palese antitesi con una visione laica dell’ esperienza umana.Accolgo con cristiana gioia le bellissime parole di Monsignor Ballandi che non scivola mai nel sociologismo ,tanto caro anche a vasti settori del clero,che ci commuove semplicemente parlando di Gesù e della Santa Vergine, che ci conforta senza ricorrere agli “ismi” del momento che parla al nostro cuore ESCLUSIVAMENTE” con il Mistero straordinario di quel Bambino che ha dato inizio alla nostra storia .Grazie davvero Monsignore !Grazie al Quotidiano di Salerno!