di Giuseppe Lamberti
(Chief Executive Officer – CEO di start-up)
SALERNO – << Le imprese non possono solo guardare ai valori espressi dal bilancio, ma devono distribuire cultura, ricchezza, futuro>>. In una società che si evolve a ritmi frenetici in termini di innovazione e di sviluppo sociale, le imprese non possono non focalizzare la propria attenzione sul ruolo di responsabilità sociale che essere ricoprono, responsabilità sociale intesa non soltanto nei rapporti con gli stakeholders diretti (management, dipendenti, fornitori, clienti, ecc.), ma intesa anche nei rapporti con gli stakeholders indiretti, ovvero l’ecosistema sociale all’interno del quale le stesse operano. Tale visione, al netto di isolati casi di eccellenza, appare ancora rivoluzionaria nel nostro paese, dove la cultura alla cooperazione, tra aziende e tra aziende ed ambiente sociale, stenta a decollare e a proporre un valido modello di Corporate Social Responsability in grado di creare e poi ridistribuire ricchezza e soprattutto valore sociale. L’evoluzione dei modelli di business e della percezione degli utenti ai prodotti e ai servizi proposti dalle imprese, pone risalto a quella che viene comunemente definita “brand identity”, ovvero l’immagine che l’azienda comunica al mondo esterno. Tale aspetto, oggi più di ieri, determina una connessione fisiologica tra l’azienda e il ruolo sociale che la stessa riesce a svolgere all’interno della comunità, ristretta o ampia che sia. Dalla settimana di quattro giorni lavorativi sperimentata in Giappone, con incremento del 40% della produzione, fino alle iniziative intraprese per migliorare il benessere dei collaboratori e delle loro famiglie adottate nel nostro paese, queste possono e devono essere riviste in tema di “produzione di valore sociale” incentivando tutte le componenti aziendali ad apportare il loro contributo nella società, come ad esempio delle ore retribuite svolte dai dipendenti in azioni di volontariato locale. Si andrebbe a definire così, un nuovo concetto di immagine aziendale non legata più ai prodotti, ma alle persone, passando quindi da “azienda di valori numerici” ad “azienda di valori umani” dove il prodotto è percepito dal potenziale consumatore non soltanto in base al suo prezzo, ma anche in base al suo valore sociale. Tutte azioni da considerare però, non come mera campagna pubblicitaria, ma quale innesco di processi più complessi in grado di generare dei risultati reali e tangibili andando, inoltre, a ridefinire lo scopo per il quale l’azienda pone in essere le azioni per una coesione più responsabile tra essa e l’ambiente esterno.
Per quanto concerne la situazione in cui oggi versa il tessuto economico della Provincia di Salerno, c’è anzitutto da dire che è ancora molto marcata la cultura secondo la quale ogni operatore economico è impegnato alla cura del proprio orticello e che questa, secondo la stragrande maggioranza, sia l’unica strada per essere competitivi sul mercato, mercato che è visto soltanto in termini numerici e locali, e non secondo valori e grandezze più ampie che magari consentirebbero di sfruttare meglio le potenzialità delle stesse imprese. Manca una visione oggettiva e complessiva che vada a sfruttare in maniera ottimale le risorse del territorio, risorse umane e culturali in grado di generare un valore aggiunto quale componente essenziale di un vantaggio competitivo che oggi è sempre più difficile realizzare e che può essere ottenuto ponendo attenzione alle necessità della società inseguendo oltre al profitto, anche il valore sociale. La guerra dei prezzi al ribasso con il vicino di bottega è oramai da tempo una pratica obsoleta, le imprese facciano di più coesione sociale.