“A Kind of Blue”: un cult Jazz sessant’anni dopo

dr. Vincenzo Mele


ROMA – Era il 1959 quando il 33enne trombettista Miles Davis, negli studi della Columbia Records sulla 30° strada a New York, si riunì insieme al contrabbassista Paul Chambers, al batterista Jimmy Cobb, ai due sassofonisti Julian “Cannonball” Adderley e John Coltrane e al pianista Bill Evans, per registrare un album che divenne, negli anni a venire, un pilastro della storia del Jazz: “A Kind of Blue”.
Registrato tra Marzo e Aprile di quell’anno, la produzione del LP fu curata da Irving Townsend e dal musicista Teo Macero, che produrrà dieci anni dopo “Bitches Brew” dello stesso Davis nella sua fase elettrica. I pezzi presenti nell’album erano tutti originali e, la maggior parte di questi, erano frutto di improvvisazioni, tra cui la fantastica “So What”, “Freddie Freeloader” e “Blue in Green”, dove Davis si avvalse della collaborazione di Wynton Kelly al pianoforte. L’album fu uno dei primi esempi di Jazz modale, dove gli accordi suonati sia dal pianista Bill Evans che dallo stesso Miles Davis, riprendono progressioni di accordi su scala modale: un esempio è nell’ultima traccia “Flamenco sketches”, composta da Davis ed Evans.
L’album diede una svolta radicale alla musica Jazz e divenne un punto di riferimento anche per musicisti del Rock, in particolare il chitarrista Duane Allman degli Allman Brothers Band e il tastierista Richard Wright dei Pink Floyd, durante le sessioni di registrazione di “The Dark Side of the Moon” nel ’73.
Miles Davis riscriverà la storia del Jazz dieci anni dopo, nel ’69, con “Bitches Brew” che porterà alla nascita del Jazz d’avanguardia.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *