Aldo Bianchini
SALERNO – Quella di venerdì 12 luglio 2019 è stata un’udienza abbastanza complessa e carica, anche, di tensione; un’udienza che il presidente del collegio giudicante Paolo Valiante ha saputo condurre con l’eccezionale maestria dell’uomo al servizio della legge e, soprattutto, della giustizia. Insomma una garanzia di equità e di equilibrio come è raro apprezzare.
Il processo, incardinato nella 2^ sezione penale del tribunale di Salerno, è quello a carico di Mons. Nunzio Scarano ed altri; un processo che non esito a ribadire passerà alla storia della circoscrizione giudiziaria salernitana come il “processo del secolo”, molto più avanti del “processo Fondovalle” che pure segnò in negativo la storia politica dell’intera provincia di Salerno ai tempi di tangentopoli.
Per chi non avesse seguito o letto i miei precedenti articoli è giusto ripetere che la sostanza vera del processo a Scarano è incentrata sull’ipotesi accusatoria relativa al “riciclaggio di denaro sporco” che il prelato avrebbe (sempre secondo l’accusa) messo in atto grazie ai suoi buoni uffici in nazionali e internazionali attraverso dazioni di molto superiori alle donazioni che sarebbero state, quindi, attuate a copertura delle provviste accumulate all’estero e fatte rientrare in Italia con condotte illecite.
La Procura di Salerno, attraverso l’azione della pm Elena Guarino, ha svolto indagini giudiziarie molto serrate andando alla ricerca della famosa “prova a carico” partendo, però, da quel “fumus” consentito dalla legge per accuse del genere per inchiodare in maniera incontrovertibile sia “don Nunzio Scarano” come autore materiale dell’illecito che il famoso “D’Amico Group” come principale datore di somme notevoli; per beneficienza dicono gli imputati, no per riciclaggio afferma la Procura che chiede e addirittura ottiene anche l’adozione di misure restrittive della libertà personale.
Le principali prove a carico dovrebbero scaturire, sostiene la Procura, dall’escussione in aula di alcuni testi tra i quali i coniugi che vendettero la casa di Via Guarna a Mons. Scarano e l’esponente principale della Famiglia D’Amico, Paolo, che avrebbe accumulato all’estero numerose provviste da far rientrare in Italia.
Venerdì scorso in aula c’erano i coniugi che hanno venduto la casa a don Nunzio; doveva essere una testimonianza decisiva, è stata a mio parere un primo clamoroso flop della Procura in quanto i due coniugi non sono stati in grado di confermare le fantasiose accuse ipotizzate dagli inquirenti e, tra molti non ricordo, hanno anche smentito loro stessi (il marito non ricordava cosa fosse la legge n. 60 sul riciclaggio che aveva citato in un interrogatorio della Guardia di Finanza) provocando un chiaro innervosimento della pubblica accusa.
Prima, durante e dopo le deposizioni dei due in aula si è registrata, quasi fossero in sintonia, piena convergenza di intenti di tre noti avvocati penalisti: Cecchino Cacciatore, Federico Conte e Riziero Angeletti che hanno calcato la mano sull’inaffidabilità delle testimonianze dei due coniugi ovvero; e prima ancora sull’inutilizzabilità degli interrogatori palesemente forzati dei due durante le indagini preliminari.
Il presidente del collegio Paolo Valiante (a latere Cioffi e Rossi), dopo una lunga camera di consiglio sull’eccezione di inutilizzabilità di alcuni atti mossa da Cacciatore e Conte, ha risolto con molto equilibrio tecnico-giuridico-giudiziario la vicenda non ammettendo la richiesta dei legali ma consentendo agli stessi di approfondire le loro tesi nel corso dell’esame dei due testimoni.
Nel corso del lungo controesame dei testi da parrte dei due avvocati salernitani è intervenuto a sorpresa l’avvocato Riziero Angeletti, presente in aula nella sua qualità di difensore di fiducia di don Nunzio; il penalista romano ha posto una domanda specifica ai testi sul fatto che i due dopo aver ricevuto i primi 75mila euro (questo l’importo inserito dal notaio sull’atto di vendita) al momento della firma del contratto quale sicurezza avevano di ricevere la restante parte di 250mila euro. In questo i due testi sono stati precisi e sicuri: “Posso anche aver sbagliato sul piano fiscale –ha detto la parte maschile della coppia di venditori- per aver accettato di inserire nell’atto un importo inferiore ma ero certo, così come è stato, che don Nunzio avrebbe onorato tutto l’impegno e lo ha fatto con assegni circolari che io ho depositato in banca”.
Dunque fin dalle prime battute il noto avvocato Angeletti è uscito allo scoperto, è riuscito a far dire la verità positiva ai testi ed ha lasciato intravedere quale potrà essere la sua strategia nella conduzione del processo quando, l’8 novembre prossimo, sarà ripreso dopo la pausa estiva con l’escussione del teste a carico Paolo D’Amico che a questo punto potrebbe anche avvalersi della facoltà di non rispondere essendo stato assolto a Roma, in un procedimento connesso, dall’accusa degli stessi reati per i quali, invece, a Salerno si trova nella posizione di teste a carico.
La cosa principale che è, però, emersa dall’udienza di venerdì 12 luglio è la circostanza che caratterizza il modo molto sbrigativo con cui le Procure confezionano le prove a carico; in aula ho avuto la netta percezione che qualcosa non andava tra la conduzione degli interrogatori preliminari e la formulazione dei capi di imputazione; dalla deposizione di uno dei due coniugi venditori della casa (la vendita della casa è stata portata come una prova regina del riciclaggio per la differenza dell’importo registrato nell’atto e la somma realmente pagata) sono venute fuori molte incertezze tra le quali quella di non ricordare cosa fosse la “legge 60” sul riciclaggio che pure aveva espressamente citato nell’interrogatorio della Guardia di Finanza; delle due l’una, o il teste è uno smemorato oppure quella citazione specifica gliela suggerita qualcuno per accrescere il valore giudiziario della deposizione.
Un vizietto antico, questo, di inserire citazioni forbite che alla fine, se ben seguito e perseguito dagli avvocati (come hanno fatto in aula Cacciatore, Conte e Angeletti), porta inevitabilmente alle clamorose assoluzioni che tanto scalpore suscitano nell’opinione pubblica. Purtroppo non si riesce a far capire a tutti gli inquirenti (magistrati e suoi delegati) che nei verbali di interrogatori va messa soltanto l’esatta risposta data dagli inquisiti, anche se sgrammaticata e poco coerente; l’interrogatorio deve sempre essere lo specchio di quello che è accaduto. E’ chiaro che l’indagato dinanzi agli inquirenti delle indagini preliminari ha più paura che stare di fronte al collegio giudicante; ma così facendo non si fa giustizia e si continua a perseverare nell’affannata ricerca della colpevolezza. Purtroppo a vincere è sempre il vizietto che denota una altrettanto antica passione degli investigatori di scrivere con i loro interrogatori delle sentenze anticipate; e così non può essere.
(uno dei social più devastanti).
Alla fine una citazione estiva me la dovete consentire. L’udienza del 12 luglio scorso è stata un’udienza molto importante e peculiare alla continuazione del processo ed al suo esito; fa specie apprendere che qualche avvocato della lunga schiera di difensori di fiducia (il processo è contro Scarano + 50) invece di essere presente in aula ha preferito abbronzarsi al sole cocente di luglio postando addirittura le foto su face book
Si riprende l’8 novembre prossimo, come dicevo, con l’escussione del teste Paolo D’Amico che pur essendo un teste a carico (cioè indicato dalla Procura) sarà anche controinterrogato dalla difesa e più specificamente dall’avv. Riziero Angeletti, difensore di fiducia di don Nunzio Scarano; e ne vedremo sicuramente delle belle.