di Eppe Argentino Mileto
BUONABITACOLO – I Costumi popolari del ‘700 del Vallo di Diano e del Cilento, in mostra a Buonabitacolo per tutta l’estate, presso la Biblioteca M.Parascandolo, rappresentano una speranza chiamata memoria. Le Associazioni Culturali I.R.S.A.B. e Infantes, in collaborazione con il Comune e il Forum dei Giovani, offrono al visitatore un viaggio interessante attraverso la storia del Costume. Ma c’è altro. Molto di più, dietro questa mostra. A cominciare dall’effigie scelta per la locandina: una donna del Paese di Buonabitacolo, sola. Mette i brividi, perché recita “Paese di Buonabitacolo”. Personalmente ho sempre odiato e detestato le città. I loro sfarzi, gli imperi conquistati a suon di sangue e spade, la volontà di sottomettere qualcun altro, di imporre religioni, lingua, usi, costumi, credo politico, di storpiarne le architetture, di violentare templi di altri dei, di issare bandiere che non sanno di niente, che non hanno memoria né condivisione con i paesi conquistati. Ecco perché detesto le città. Sono sinonimo di tutto ciò che non sopporto: imperi, chiese, regni, signorie. Ed anche la parola signoria mi fa orrore. La donna del Paese di Buonabitacolo è una signora, ad esempio. Sola nella sua compostezza, nella antica dignità del suo costume, nello sguardo posato sul Vallo di Diano. Donne importanti, quelle lì. Con mariti e figli. Sofferenti in solitudini domestiche. Abituate a tacere, a crescere figli, a sfamarli, a preoccuparsi delle loro vite, del loro futuro, tese ad allevarli, a istruirli o a farli istruire. Donne dalle bocche chiuse e dal cuore aperto. Non sappiamo se felici, forse sì, forse no. Ma serene. Vivere serenamente ed essere sereni sono due cose completamente diverse. Opposte. Si è sereni quando si ubbidisce al progetto divino che è dentro ciascuno di noi. Quando si ascolta la propria vocazione, il proprio talento, la propria inclinazione naturale. Quasi mai le persone serene vivono serenamente. Perché chi ascolta il Dio che ha dentro, la voce del divino, non ha tempo per ascoltare le aporie del mondo, con le sue rivolte e le sue defezioni, i fiaschi e i fallimenti di chi non ascolta e non sa ascoltare la voce divina dell’anima. La donna di Buonabitacolo, del Paese di Buonabitacolo sì. Lo fa. Ascolta, contempla, percepisce. E tace. Sa tacere. Che non significa non avere voce. Al contrario. Il silenzio è la più sublime delle voci, la più soave, il canto più vero dell’anima, l’unico possibile. Quante cose possono farsi con il silenzio. Si può condividere o no, con il silenzio. Si può amare con il silenzio. Si può dissentire con il silenzio. Mostrare approvazione o disapprovazione, restando in silenzio. Il silenzio compie il miracolo degli opposti. La parola no. È quella lì. E spesso è una pietra. Il silenzio, al contrario, apre la mente poiché ti lascia aperto ogni dubbio, ogni interrogativo, lascia il campo all’interpretazione. È una sciarada, il silenzio. Un logaritmo, un’equazione. E devi pensare per interpretarlo. Devi sudartelo, il silenzio. Visitare la mostra impone dunque del silenzio. Fatelo da soli. Nelle ore più calde ed assolate. Quando non c’è nessuno per le strade. Quella e le altre donne potrebbero essere state le vostre madri, le vostre nonne, i padri, i figli. È la storia in mostra. È la memoria che impone un sacrificio, quel memento d’orgoglio, rabbia e dolore insieme. Io amo i paesi, anche per questo. Amo le periferie perché massaggiano le meningi. Sanno esplorare l’anima, scandagliare i fondali della memoria, investigare nelle rughe. Sanno tacere, per poi esplodere in opere che ci consegnano alla storia. Di più: la mostra di Buonabitacolo rappresenta uno scatto di reni, il colpo di tosse che espelle i muchi dell’indifferenza, il respiro dell’interrogazione davanti al verdetto della storia. È un capolavoro di studio, la mano esperta che ricama al tombolo la memoria senza farne un ricordo. Amo i paesi per la solitudine che ti regalano. Il clangore dei tram, le metropolitane, il chiasso sono nemici del silenzio. Di più ancora: il silenzio e la solitudine li ritrovi solo sui monti. Francesco di Assisi scelse il Subasio. E gli dei scelsero l’Olimpo. In nessuno di questi luoghi c’è il mare. Nè mi pare che qualcuno riposasse in spiaggia. Perché il silenzio dell’ascolto lo ascolti solo in cima, lassù. Cosa si vede conta poco. Cosa si ascolta è tutto: il battito del cuore dell’anima. Avvertii la stessa sensazione visitando la Ferdinandea, sull’Aspromonte. E allora, visitare questa mostra di Buonabitacolo è un dovere che impone l’atteggiamento giusto: richiede investigazione, curiosità, rispetto, cultura dei luoghi, armonia e tanto, tanto silenzio. Lo sforzo nell’allestirla, delle scelte operate, è enorme. Non si tratta di appendere quadri o foto ai muri. Una mostra non è questo. Si tratta di dare un’anima alle pareti. Di rivestire con il sangue della memoria un parato bianco. A Buonabitacolo ci sono riusciti, a mettere in scena la memoria. La storia e tanta, tanta verità.