Aldo Bianchini
SALERNO – Oggi sono sei anni, già sei lunghi anni da quel maledetto 28 giugno 2013 in cui tutto cominciò con un’onda anomala che tracimando dalla sua sede naturale travolse in pieno il direttore dell’APSA Mons. Nunzio Scarano con un arresto tra i più clamorosi della storia della Chiesa nella sua globalità planetaria.
Nei primi giorni, e nei mesi successivi, è stato scritto di tutto e di più; le semplici squallide veline diventarono subito capi d’accusa senza possibilità di appello: la stampa si trasformò in giuria popolare senza pietà, i giudici e gli investigatori in carnefici, la Chiesa si trasformò nelle tre scimmiette della Garzanti (non vedo, non sento, non parlo) e il malcapitato sacerdote salernitano Don Nunzio, assurto agli onori ed agli oneri del Vaticano, fu lasciato solo e quasi dimenticato nella sua casa di Salerno dove tuttora vive continuando a credere nella “sua Chiesa”. Una casa che, guarda caso ma non è un caso, è situata proprio di fronte al Duomo ed al campanile di San Matteo. Proprio di fronte al “palazzo arcivescovile” dal cui interno il sacerdote aspettava solidarietà, comprensione e aiuto concreto. Invece è stato soltanto un susseguirsi di azioni quasi persecutorie, ai limiti della lapidazione, per metterlo all’angolo e in condizioni di non nuocere attraverso una campagna mediatico-denigratoria tesa, secondo le intenzioni della Curia salernitana (spinta dalle alte sfere ?), ad una delegittimazione totale di ogni tipo di difesa credibile. Questo il messaggio che la Curia salernitana in tutti questi anni ha fatto passare nell’immaginario collettivo della gente, un messaggio diretto a polverizzare l’immagine di bontà di solidarietà e di altruismo che don Nunzio aveva distribuito a piene mani sia ai potenti che agli ultimi di questa benedetta città. Insomma Mons. Scarano per la Chiesa salernitana quasi come se non esistesse; fortunatamente quella romana incomincia a ricredersi.
Ma Don Nunzio esiste e come; e in un Paese civile sei anni di crocifissione sono assolutamente sufficienti a sentenziare la colpevolezza o l’innocenza di qualsiasi indagato, addirittura con sentenza passata in giudicato. In questo Paese dove la lentezza e l’inefficienza la fanno da padroni la riposta è NO, qui da noi si balbetta ancora nella vana ricerca di un qualcosa che possa mettere in discussione la verità sull’innocenza del prelato che si va facendo largo tra spintoni e resistenze, anche di tipo istituzionale, In questo Paese, purtroppo, l’indagato deve assumere le vesti di vittima sacrificale e deve penare e pietire nell’attesa del giudizio che quasi sempre è di assoluzione tardiva e, in molti casi, inutile. Ma si sa “la giustizia è sempre giustizia, anche se è fatta in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio” (George Bernard Shaw).
In questi ultimi giorni, visto che sto seguendo molto da vicino, la vicenda giudiziaria relativa al processo che potrebbe essere ricordato come il processo del secolo nella storia giudiziaria di questa circoscrizione (non fosse altro che per i rischi colossali che il processo paventa !!), ho provato ad immaginare come sarebbe stata la giornata del ricordo di sei anni di sofferenza per don Nunzio Scarano e per don Luigi Noli che da sempre lo accompagna in questo lunghissimo cammino verso un ipotetico Golgota (tanto per rimanere in tema religioso); non ci sono riuscito, nonostante la mia fantasia a volte superi la realtà.
Ed allora l’ho fatta alla grande ed ho deciso che era giunto il momento di ripercorrere la stessa strada che subito dopo quel maldetto 28 giugno 2013 avevano percorso diversi investigatori per spiare, registrare, ascoltare tutte le parole e tutte le mosse dei due prigionieri in casa: don Nunzio e don Luigi, passando poi tutte le veline alla stampa in maniera vergognosa e indegna di un Paese civile; chissà, ho pensato, forse scoprirò qualcosa di veramente interessante.
Ebbene, detto fatto, di nascosto ed alla chetichella sono entrato nella cinta muraria i cui sono ricompresi il palazzo vescovile, il campanile di San Matteo e il Duomo e poi mi sono inerpicato su per il campanile di San Matteo portando con me un bel binocolo portatile 10×50 (io non ho gli strumenti a raggi infrarossi in possesso degli investigatori) ed, infine, mi sono appollaiato e ben nascosto, quasi mimetizzato, negli angoli bui del piano campanario sottostante l’arcata dove sono installate le campane.
So di aver commesso un reato, so di aver violato l’extraterritorialità della Chiesa e, soprattutto, di aver tradito la bontà e la lungimiranza dei due arcivescovi (il terzo, Pierro, vive lontano !!), Luigi Moretti provvisorio che pensa di rimanere nel giro degli affari finanziari curiali e Andrea Bellandi aspirante che si trastulla con l’anello episcopale ricevuto a Firenze.
Sono certo che mi perdoneranno perché in definitiva l’ho fatto a fin di bene e soltanto per il raggiungimento della verità. Sicuramente non come fecero nel 2013, e negli anni successivi, gli investigatori che proditoriamente violarono l’extraterritorialità della Chiesa per spiare – registrare – filmare e ascoltare con l’intento di acquisire la prova regina della presunta colpevolezza di Mons. Scarano anche utilizzando speciali apparecchi agli infrarossi capaci di baipassare le pareti e quant’altro con il grave rischio di seminare all’interno della casa possibili e pericolosissime radiazioni che avrebbero potuto danneggiare ulteriormente la non fermissima salute di don Luigi. Ed anche questa volta, credo, i due arcivescovi, così come fece all’epoca Moretti, faranno finta di niente dichiarando che della mia intrusione non ne sapevano nulla ed alla fine si rifugeranno negli atteggiamenti discutibili ed inquietanti delle tre scimmiette della Garzanti.
Ed eccomi in tuta mimetica ad osservare dall’alto del campanile (pancia a terra) come si sta svolgendo sotto i miei occhi la giornata del sesto anniversario e, soprattutto, come sarà festeggiata dai due sacerdoti. Esploro, minuziosamente, attraverso i balconi e le finestre che non nascondono nessun segreto complotto se non una normalità assoluta; speravo di vedere un tavolo imbandito con caviale e champagne ma percepisco un silenzio assordante mentre scorgo la figura esile, ma ferma e decisa, di Mons. Scarano che passeggia nel lungo corridoio interno dell’abitazione; mi sembra che ogni tanto si fermi, ma non riesco a vedere bene perché un muro mi impedisce la visuale; mi sposto lentamente, sempre pancia a terra, e scopro che don Nunzio, nel suo andirivieni, si ferma dinanzi ad un piccolo altarino (appositamente allestito) per inginocchiarsi e pregare a mani giunte. Vado avanti per ore, la scena non cambia mai, eccezion fatta per una molto modesta colazione di mezzogiorno e una frugale cena; il resto della giornata è trascorso in preghiere, meditazioni e letture. Cerco di capire di quali letture si abbevera Mons. Scarano, ma non ci riesco, le mie attrezzature spionistiche sono molto limitate e non all’altezza di quelle degli inquirenti. La mia permanenza sul campanile può durare soltanto poche ore ed il mio campo di osservazione è molto limitato non avendo, io, la possibilità e l’autorità di irrompere in casa Scarano così come fecero gli investigatori per ben 980 volte nel giro di pochi mesi.
Sulla scorta di ciò che ho visto posso, però, affermare che don Nunzio e don Luigi hanno trascorso la giornata del ricordo (quella del sesto anniversario) in piena pace e tranquillità e con la mente sempre rivolta al Signore che, alla fine, farà in modo che la verità venga alla luce e che la giusta serenità ritorni nell’animo dei due sacerdoti che non hanno mai smesso di essere tali anche se la Chiesa (soprattutto quella salernitana) li ha letteralmente esiliati e confinati.
Per chiudere mi corre l’obbligo, ovviamente, di chiedere scusa ai due arcivescovi per non aver chiesto loro il regolare permesso di salire sul campanile violando l’extraterritorialità della Chiesa; ma non era il caso, perché come avrete ben capito quella intrusione è stata soltanto immaginaria.