Aldo Bianchini
SALERNO – Nelle rispettive strategie giudiziarie del processo del secolo, incardinato in danno della figura quasi ascetica di Mons. Nunzio Scarano (sacerdote salernitano salito al governo dell’APSA – Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica) mi sembra di intravedere, in molti momenti e aspetti processuali, le mitiche “convergenze parallele” evocate dal compianto Aldo Moro nel congresso D.C. (Democrazia Cristiana) del 1959 in relazione alle possi bili future intese politiche tra il centro e la sinistra dell’epoca.
Convergenze e parallele, due termini difficilmente conciliabili tra loro; difatti l’accostamento dei due termini è indubbiamente un ossimoro: secondo la geometria euclidea, infatti, due rette parallele non possono mai convergere. Proprio per questo l’espressione è spesso usata in politica per indicare che due partiti convergono su alcuni punti, pur mantenendo una sostanziale distanza nella linea politica.
E potranno, come appare, convergere anche nelle strategie diversissime e apparentemente inconciliabili tra la pubblica accusa e il robusto collegio difensivo nel famoso processo (che ha più diramazioni tra Salerno e Roma).
Perché ?, la risposta è semplice, perché c’è un minimo comune denominatore chiamato “verità”.
Ma cosa c’entra un processo giudiziario con la politica, e soprattutto cosa c’entra la verità nel “processo Scarano” con le convergenze parallele.
C’entrano, c’entrano; e la spiegazione è abbastanza semplice perché in entrambi i casi richiama alla luce un fattore comune: il dovere.
Da un lato c’è la pubblica accusa che, per legge, ha il dovere di andare alla ricerca della verità e non soltanto caparbiamente della colpevolezza (cosa che molto spesso i PM dimenticano, ma non è il caso della PM Elena Guarino che ha da sempre dimostrato molta attenzione verso la giusta verità), dall’altro lato c’è la difesa chiamata a provare l’innocenza dell’assistito attraverso la ricerca della verità, a parità di condizioni con la pubblica accusa. Una parità che, purtroppo, fin dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale dell’89 è rimasta una lontana chimera che neppure le successive modificazioni hanno ripianato.
Dunque se in politica la denominazione di “convergenze parallele” sta a significare la ricerca di ogni possibile intesa (la verità) pur mantenendo le rispettive posizioni, in un processo quella denominazione sta a significare non solo la parità di condizioni (le parallele) ma anche, se non soprattutto, la ricerca comune della verità che molto spesso può anche venire dalla vita vissuta, dagli atteggiamenti caratteriali, dalle relazioni interpersonali, dalle caratteristiche professionali e dall’immagine concreta che ognuno riesce a far passare nell’immaginario collettivo della gente.
Cosa voglio dire con questo; voglio semplicemente affermare che un magistrato requirente o, meglio ancora, un magistrato giudicante deve sempre e comunque alzare lo sguardo dalle carte, dai fascicoli e dai faldoni e guardare negli occhi, in maniera diretta e penetrante, chi gli sta di fronte. Capisco che la giustizia non si muove su sensazioni visive e psicologiche ma è anche vero che queste sono importantissime per definire bene il quadro negativo o positivo di chi deve essere indagato e giudicato.
Ed è appunto in quest’ottica che va inquadrata la deposizione del dr. Paolo D’Amico prevista per venerdì 21 giugno prossimo dinanzi alla 2^ sezione penale del Tribunale di Salerno (presidente dr. Paolo Valiante); una deposizione attesa finanche dal Tribunale di Roma che proprio qualche giorno fa ha rinviato una decisione importante (nell’ambito dello stesso caso Scarano) al fine di poter acquisire le dichiarazioni (si spera illuminanti e risolutive) che il teste del PM si accinge a fare di fronte ad uno dei collegi giudicanti più scrupolosi mai apparsi sulla scena giudiziaria salernitana.
Qualcuno ben informato, dopo aver letto il mio ultimo articolo, ha sussurrato che il suo contenuto avrebbe messo il teste D’Amico nelle condizioni di avvalersi della facoltà di non rispondere; ci credo poco, essendo Egli un teste del PM equivarrebbe ad una sconfessione del lavoro svolto fin qui molto attentamente dal Pubblico Ministero.
Aspettiamoci, quindi, un’udienza vibrante e significativa che i due difensori di Don Nunzio Scarano, gli avvocati Riziero Angeletti e Silverio Sica, sapranno sicuramente condurre alla grande nell’ambito di quello che per Salerno è “il processo del secolo”.