Tourette: la sindrome neurologica della politica infantile

 

Felice Bianchini junior

(corrispondente e notista politico)

 

ROMA –

Informazione e imparzialità

 

Quasi un’ora di trasmissione per Bagnai dalla Annunziata, un’ora e mezza circa di discorso per Savona da vertice della Consob: cosa riporta come “notizia” l’informazione mainstream? Da un lato, “Bagnai dice che c’è un rischio di atteggiamento mafioso da parte dell’UE”, dall’altro, “Savona dice che l’Italia potrebbe permettersi un rapporto debito/PIL del 200%”.

 

Vi è un puntuale, quasi programmatico, “tecnico” (visto che ci piace andare ripetendo questa parola e i suoi derivati) modo di gettare in pasto all’indignazione popolare ciò che più può saziarla, o forse sarebbe meglio dire ciò che più può farle venire l’acquolina in bocca. È scontato che di fronte a un titolo, ad una “sentenza”, come può essere indifferentemente uno dei due virgolettati trascritti sopra, il target di riferimento di chi quel virgolettato lo trasmette si indigni. E questo poiché quei virgolettati sono frutto di “tagliuzzamenti” di discorsi o dichiarazioni in generale, confezionati ad hoc per il pubblico (target si diceva prima) di riferimento. Pensare, infatti, che sia indifferente fare “zapping” nell’orario di trasmissione dei Tg tra l’”uno” e il “sette” è pura ingenuità. Ogni “ceppo” di informazione ha il suo pubblico, che conquista e mantiene seguendo una linea “politica” ben precisa. Pensare, infatti, che si possa essere “apolitici” è una falsità, o un’altra convinzione ingenua, se preferite. Anche chi si ostina a dirsi disinteressato, in realtà, suo malgrado, segue una linea “politica”, che si potrebbe riassumere con un semplice (prima ancora che famoso) principio: “laissez faire”.

 

Controcorrente, voglio riportare anch’io un mio “taglio”, estrapolato dall’ora e mezza di discorso di Savona, piena di tanti spunti di riflessione, tra cui uno in particolare che credo sia rilevante:

 

In passato, quando il debito sovrano godeva fiducia per l’esistenza di meccanismi in grado di garantire il rimborso (come crescita reale, risparmio positivo), l’esistenza di un prestatore di ultima istanza e moneta di denominazione controllata dallo Stato emittente, una sua parte considerevole era tenuta dalle famiglie. Poiché gli accordi europei hanno scambiato la stabilità del debito pubblico con quella dei cambi e dei prezzi, sono venute meno le guarentigie di cui i titoli di stato avevano goduto in passato. La percentuale tenuta dalle famiglie è andata riducendosi, cadendo a fine 2018 a 5,9% del totale in essere (138 mld su 2322). La gran parte è ora nelle mani degli intermediari nazionali, come banche, assicurazioni e fondi comuni, e in minor misura dall’estero. Il potere di valutare il rischio di rimborso si è trasferito al mercato, senza un adeguato contrasto alla speculazione, che non di rado trova alimento nell’attitudine delle autorità a usarla come vincolo esterno per indurre gli stati a rispettare i parametri fiscali concordati a livello europeo: questo è il quadro.

 

In questo passaggio, l’ex ministro fa luce su due argomenti che dominano spesso il dibattito economico “televisivo-giornalistico”, ossia debito pubblico e spread. Sul primo viene ricordato come vi fosse una fiducia (ora mancante), da parte degli italiani, riposta nei titoli del debito pubblico. La perdita di fiducia, o se preferite il crescente “disinteresse” delle famiglie verso la detenzione di debito pubblico, è dovuta alla decadenza di quelle “guarentigie”, in sostanza le garanzie che dava l’investimento nei titoli del debito pubblico. Il perché ciò sia accaduto è molto semplice: è stata scambiata “la stabilità del debito pubblico con quella dei cambi e dei prezzi”. Poi ci si sofferma sulla valutazione del rischio, che è stata lasciata al mercato, il quale sappiamo si muova spesso per “intercessione” degli animal spirits, o, se preferite, per sentito dire, o ancora, come si diceva prima (e il cerchio si chiude), attingendo dal proprio ceppo di informazione, che assume dunque carattere autoreferenziale.

 

Il continuo richiamo dello spread e del debito pubblico fa emergere due aspetti che ormai viziano il sistema in cui viviamo: in primo luogo, non vi è un’adeguata lotta alla speculazione; in secondo luogo, la speculazione e lo spread divengono strumenti politici con cui “indurre gli stati a rispettare i parametri fiscali concordati a livello europeo”. Per l’ennesima volta, ciò che viene definito come innocuo/neutrale è in realtà un forte strumento politico-ideologico.

L’ideologia in questione è quella che vuole svuotato lo Stato di senso e potere, che vuole lo “Stato azienda”, in “un mondo di oligopoli: di imprese nazionali, con fatturato superiore ai bilanci di interi raggruppamenti di stati; di forme di integrazione che procedono con velocità diversificate di realizzazione e di concretezza.” (“ritaglio” più che attuale di F.Caffè)

 

 

Stato Sì, Stato No

 

In primo luogo, occorre non perdere di vista che è il modo in cui si risolvono i problemi del momento a influire in maniera determinante sugli sviluppi di periodo lungo. F.Caffè

 

Quella che nel secolo passato fu definita “rivoluzione keynesiana” fu innanzitutto un movimento culturale, alla cui base stava un principio molto semplice, eppure così potente, tanto da essere considerato rivoluzionario: vengono prima gli obiettivi. Questa priorità degli obiettivi si legò ad un altro principio, altrettanto importante, ossia il principio dell’azione. Intervenire era ed è importante semplicemente perché “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Incrociare le dita e fare il tifo per il mercato non era nell’orizzonte di chi in quella rivoluzione ci credeva. Oggi, al contrario, complice anche un declino culturale, questa posizione pare detenere l’egemonia (culturale).

 

Eppure, ciò che non quadra, il paradosso di questa congiuntura storica, è che se a parole viene diffusamente, addirittura generalmente predicato il “tifo per il mercato”, o comunque la sua (del mercato) gerarchica superiorità rispetto alle realtà nazionali (o, meglio, Statali), si nota nella realtà fattuale che solo in Europa avviene un pedissequo rifacimento a quei principi. Si potrebbe essere ancora più maliziosi e dire che anche all’interno dell’Europa ci sia chi predica Mercato e razzola sovranità Statale (Francia e Germania), mentre noi ritualmente continuiamo a seguire la religione. E questo non tanto perché gli altri sono stati e sono più bravi di noi e hanno diritto a premi, quanto più perché sono stati più forti di noi politicamente.

 

Per essere più chiari: è noto che attualmente nel mondo chi domina (leggi Cina e Stati Uniti) interviene e anche massicciamente nell’economia, sia pure in modi diversi e con un diverso apparato politico e culturale – come ad esempio si evince dalla pluralità partitica, in Cina assente. La domanda dunque sorge spontanea: perché “gli altri” hanno delle “armi” in economia e noi no? Perché noi siamo sempre così fragili, mentre gli altri no? C’è chi ne fa una questione di “dimensioni”, mentre pensieri critici, pensieri pensanti come quello di Paolo Savona mettono in luce problemi “funzionali”, dunque il “come” e non il “quanto”.

 

In ogni caso, alle persone servono soluzioni, al breve termine servono interventi, e “visto che il mercato è un’invenzione dell’uomo, l’intervento pubblico è necessario”.

 

 

Il nuovo modello di sviluppo

 

In verità, l’unico livello di guardia di cui occorrerebbe farsi carico è quello della disoccupazione; ma i tempi, chiaramente, non sono maturi, malgrado tutto, perché questo diventi acquisito. M.Salvini…Pardon!!! F.Caffè

 

Rispolverando quei principi della “rivoluzione keynesiana”: prima ancora di parlare di “mezzi”, occorre parlare di obiettivi. Ad oggi il primario obiettivo di politica economica secondo l’UE è “ridurre il debito pubblico”: strano, sia la Costituzione italiana sia i Trattati parlano di piena occupazione. Si dirà: “conciliate i due obiettivi”, ma è davvero possibile? Se ora devo ridurre, avrò bisogno di entrate straordinarie, e ho solo due modi per racimolare soldi: o alzo le tasse agli italiani, o vado a chiedere soldi sul mercato. L’alternativa è tagliare le spese. Alla luce di questo quadro, è chiaro cosa si intende quando si parla di “coperta corta”. La logica che guida questo modus operandi è lineare, se non fosse che costringe all’autolesionismo chi si ritrova in una situazione di difficoltà.

 

Si può chiedere ai responsabili della politica economica che, nelle loro scelte quotidiane, ricordino più spesso (in verità, imparino a ricordare) che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitino di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini? F.Caffè

 

È forse questo “ritaglio” ancora più importante, poiché ribadisce – sia pure indirettamente, domandandosi se sia lecito ricordarlo – quale debba essere la logica non tanto etica dei “responsabili della politica economica”, quanto, prima di tutto, costituzionale. E, come si ricordava, da questa logica, ossia quella della piena occupazione (e sviluppo sostenibile) come obiettivo, non è svincolato nemmeno chi si trova a Bruxelles, essendo il tutto racchiuso nei principi fondamentali dei Trattati, nero su bianco. Quando si dice che vanno rispettati gli impegni, bisogna ricordare per bene cosa è stato sottoscritto.

 

Dunque, come si diceva, prima di parlare di mezzi, occorre avere chiari in testa gli obiettivi, poiché i mezzi, a prescindere dall’essere o meno giustificati a priori dal fine, si devono mettere al suo servizio, e a nient’altro. Questo per dire che, al di là di tutte le proposte concrete, ossia quelle che comunemente vengono dette “misure” o “manovre”, vuoi una riforma della BCE, vuoi l’istituzione di un ESA (European Safe Asset), come ad esempio propone Savona, la prima operazione da fare è ricordare. L’amnesia porta a voler cercare un qualcosa di nuovo, quando in realtà basterebbe realizzare ciò che ci eravamo riproposti di fare, virare verso la rotta che avevamo inizialmente deciso di seguire. Con le parole dell’ultimo ritaglio:

 

Così, oggi, ci si trastulla nominalisticamente nella ricerca di un “nuovo modello di sviluppo”. E si continua a ignorare che esso, nelle ispirazioni ideali, è racchiuso nella Costituzione F.Caffè – e nei Trattati, aggiungerei io.

 

 

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