Aldo Bianchini
CAPRI (NA) – La stampa, drammaticamente distratta, ormai si limita soltanto ad annunciare gli eventi (quando essi fanno notizia !!) senza mai, o quasi, porre il giusto interesse sugli esiti, sulle proposte e sui risultati finali di un evento che, come quello tenutosi a Capri nei giorni 9 – 10 e 11 maggio 2019, ha toccato problemi serissimi inerenti la salute di almeno 3.000 persone ogni anno (di cui l’80% di donne) in Italia.
Difatti il famoso “Fifth focus on pumlonary hipertension”, organizzato e diretto dal notissimo medico del Vallo di Diano “Michele D’Alto” ha chiuso i suoi battenti con risultati davvero prestigiosi e di notevole interesse scientifico che le riviste specializzate non hanno mancato di annunciare e non mancheranno di commentare a tutto il mondo sanitario nazionale ed internazionale, non fosse altro che per il calibro dei convegnisti accorsi sull’isola di Capri.
Prima di andare avanti con l’analisi dei risultati dell’ottimo convegno è necessaria, però, una fondamentale premessa inerente il rapporto medico-paziente che ha attraversato decenni di assoluta sudditanza del paziente e che, fortunatamente, sta migliorando verso un più corretto equilibrio; nel frattempo sta lievitando in maniera pericolosissima il rapporto paziente-internet a tutto vantaggio della rete.
Quando qualche anno a causa di personali primi seri disturbi cardiaci mi trovavo ricoverato presso la Torre del Cuore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” (meglio nota come “Ruggi”) ed avevo con me, da buon giornalista, il personal computer che utilizzavo per continuare, anche i quei giorni poco felici, la mia attività. Ricordo che molti coinquilini di quel reparto venivano a turno da me per consultare internet ed aggiornare la loro conoscenza della malattia dalla quale erano afflitti e delle medicine che assumevano al fine di analizzare a fondo la loro diversa composizione, quasi fossero stati tutti laureati in medicina e specializzati in cardiologia.
Questo ossessivo difetto, nel quale non sono mai caduto e dal quale mi tengo ben lontano anche oggi, è una delle principali cause della lentezza nella guarigione delle diverse patologie e del cattivo rapporto con la medicina in generale e con i medici in particolare.
Perché ?, semplicemente perché internet è pieno zeppo di fake-news come dice Vittorio Vivenzio (past president dell’Associazione Malati di Ipertensione Polmonare onlus – AMIP) quando afferma che “è bene stare alla larga dalla rete delle fake news e dalle terapie fai da te perché adesso in campo è sceso anche dottor Facebook ovvero il passaparola tra non addetti ai lavori che rischia di provocare danni molto seri”.
L’altro aspetto importante è il rapporto medico-paziente che deve essere rivisto, ridisegnato e molto più umanizzato; altrimenti non si va da nessuna parte. L’epoca dei “professori”, soloni e baroni, finalmente è finita e quei codazzi sconcertanti di allievi e personale paramedico al loro seguito si sta sciogliendo come neve al sole.
L’ultimo elemento, ma solo in ordine numerico, è la diffusione della cultura della malattia per ridurre il ritardo nelle diagnosi con cui viene accolta dalla Società civile.
In merito, a margine dei lavori capresi, il dott. Michele D’Alto ha dichiarato che: “In questo ultimo anno non abbiamo novità che ci fanno gridare al miracolo, ma qualcosa sembra cambiare, soprattutto a livello di cultura della malattia. Registriamo un numero maggiore di pazienti che vengono indirizzati ai Centri per un sospetto di ipertensione polmonare. Molte volte si tratta di un falso allarme, altre volte no. Ma ben vengano i controlli, meglio di quando la malattia era sconosciuta”.
Un altro aspetto molto importante della malattia, venuto fuori nel corso dei lavori, è lo studio del “Fluid Challenge test” (una sorta di prova da sforzo a fermo con speciali applicazioni fisiologiche) pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica CHEST – firmato da Michele D’Alto e, tra gli altri, da Emanuele Romeo e Paola Argiento – che rappresenta un’importante novità nel campo della definizione diagnostica e segna un passo in avanti proprio nella ‘sfida diagnosi’ che sappiamo essere così importante per i pazienti. Uno studio, ripeto, compiuto da Michele D’Alto e dai suoi due colleghi nell’ambito della loro attività di ricerca scientifica nel Centro Diagnosi e Terapia dell’Ipertensione Polmonare presso l’Azienda Ospedaliera “V. Monaldi” di Napoli. Insomma uno studio che nel campo scientifico internazionale ha segnato un passo in avanti nella diagnosi differenziale che viene fuori proprio dalla “Scuola Napoletana” e che aveva già suscitato grande interesse in occasione del 6° Congresso Mondiale sull’Ipertensione Polmonare che si è recentemente tenuto a Nizza.
“La malattia resta un nemico difficile e molto pericoloso (ha dichiarato Michele D’Alto, responsabile del Centro Medico e Terapia Ipertensione Polmonare del Monaldi, membro del gruppo di studio sull’ipertensione polmonare della Società Europea di Cardiologia e membro dell’American College of Cardiology) ma rispetto a qualche anno fa dei passi avanti sono stati compiuti. Ad iniziare dalla diagnosi. Prima si diceva che questa malattia fosse orfana di diagnosi perché i pazienti ci arrivavano con anni di ritardo visto che i sintomi della malattia sono subdoli e spesso scambiati per altro, liquidati come stress o persino come eccessiva pigrizia. Oggi fortunatamente di questa malattia se ne parla di più e quindi è più conosciuta e questo ha fatto si che i pazienti vengano più rapidamente indirizzati verso specialisti e centri di riferimento in modo da avere una diagnosi in tempi stretti. Con orgoglio posso dire che la rete di network messa in atto dall’ Italia sta dando i suoi frutti”.
Gli ha fatto subito eco Laura Gagliardini (presidente dell’Associazione Malati Ipertensione Polmonare – ANIP) per affermare che “Oggi più che mai è importante che i pazienti si sentano coinvolti nel percorso terapeutico, non lo devono solo accettare e subire. Perchè serve che siano informati e consapevoli. Anche della gravità della loro malattia. Paradossalmente c’è chi sentendosi meglio pensa che si possa abbassare la guardia, che la malattia sia sconfitta. Ma non è così”.
La cosa più importante che, grazie al dott. Michele D’Alto, è emersa dal prestigioso convegno di Capri è, lo ripeto, il rapporto medico-paziente che deve essere rivisto, ridisegnato e molto più umanizzato.
Il dott. D’Alto e i suoi colleghi ce la stanno mettendo tutta, spetta ora anche a tutti gli altri medici (da quelli di base fino agli specialisti) darsi da fare per coinvolgere i pazienti nei lunghi, difficili e gravosi percorsi terapeutici.
Come nota di cronaca è giusto anche ricordare che il convegno caprese è stato impreziosito dalla presenza di alcuni tra i “mostri sacri” degli studiosi della ipertensione polmonare: Carmine Dario Vizza (Umberto I di Roma), Andrea Maria Darmini e Stefano Ghio (San Matteo di Pavia) autori dello studio “a corto di fiato”, Rubin (New York), White (Rochester), Simonneau (Parigi), Sitbon (Parigi), Naelje (Bruxelles), Peacock (Glasgow), Benza (Pittsburg) e Gibbs (londra), solo per citarne alcuni.