Gaspare Russo: perché e come mi avvicinai alla politica … il primo stipendio e la mia prima casa … da “don Enzo Quaglia”

 

Aldo Bianchini

SALERNO –Nello studio dell’avv. Gaspare Russo (notissimo personaggio politico degli anni che vanno dai ’60 ai ’90, già sindaco di Salerno, presidente della Regione Campania, presidente della CCIAA e consigliere nazionale delle FF.SS.) cominciamo a ripercorrere le numerose tappe della sua vita politica e amministrativa per la gestione della cosa pubblica, in un racconto avvincente e suggestivo al tempo stesso, fin da quando molto giovane si avvicinò alla politica.

Presidente, come, quando e perché decise di addentrarsi nel difficile mondo della politica ?

  • E’ una domanda complicata e si presta a diverse risposte. Per quanto vi possa sembrare strano nella mia complicata esistenza ho fatto molte cose, ma nessuna è stata scientemente decisa da me. In parole povere senza che io me ne accorgessi sono stato lo strumento di altri, anche a fin di bene.

Presidente, abbia bontà, si spieghi meglio

  • Riandiamo ad un passato non troppo lontano, ai momenti di svolta della mia esistenza. Nel 1947 avevo conseguito la maturità classica, come privatista, al liceo Torquato Tasso di Salerno anche con risultati e votazioni lusinghieri. Avrei preferito percorrere una strada più agevole, come era rappresentata all’epoca, andando a Vallo della Lucania per conseguire la maturità che era per me l’obiettivo fondamentale con la successiva iscrizione all’università e poi ad una professione. Ma andare a Vallo era un azzardo, non avevo risorse finanziarie per conseguirla altrove e  nel caso specifico a Vallo della Lucania, perché non avevo i mezzi per vivere a Vallo. Una volta conseguita la maturità nel ’47, che fu un anno di svolta dal caos del dopoguerra, mi sono iscritto all’università di Napoli alla facoltà di giurisprudenza, anche perché era quella che offriva più possibilità di impiego. Nel mio caso vincere un concorso per entrare nella pubblica amministrazione ai livelli iniziali di consigliere e con una destinazione obbligata in caso di esito positivo in una città del nord. Non era una prospettiva esaltante perché quello che avrei guadagnato in caso di vittoria, con uno stipendio di inizio carriera, mi avrebbe appena con sentito di vivere.

E dove sta la svolta ?

  • Un amico, meglio un conoscente, col quale mi accompagnavo per la rituale passeggiata serotina in via Dei Mercanti un giorno mi disse “accompagnami per qualche minuto, che devo andare a fare un servizio”. Mi portò a Via Sant’Eremita nella Chiesa di San Domenico, dove era parroco un sacerdote, don Enzo Quaglia, che con l’aiuto della moglie dell’on. Carmine De Martino, (all’epoca l’uomo più influente di Salerno e provincia) aveva organizzato, prima in Italia, una struttura per il recupero dei molti ragazzi del centro storico  e non solo, in genere sbandati dalle vicende belliche, cioè ragazzi di strada, che non andavano più a scuola. Una struttura alla quale lui diede il nome di Opera Ragazzi Nostri, che aveva anche una sezione femminile collocata operativamente nel convento di MonteVergine, mentre quella maschile operava nel Tempio di Pomona (a fianco al palazzo dell’arcivescovado) che ovviamente era pressochè inabitabile, dove erano state collocate le prime cinque classi elementari sotto la guida di don Enzo Quaglia e di un altro sacerdote, don Ennio Fasano. La novità e l’attrattività era rappresentata dal fatto che era una scuola a tempo pieno, ma ti dava anche da mangiare. Gli insegnanti erano tutti giovani volontari diplomati. Lo accompagnai, quel mio amico, alla Chiesa di San Domenico all’incontro con don Enzo, incontro che io ritenevo di suo interesse, perché non mi aveva spiegato che c’era un sottofondo.

Presidente, e cosa è successo ?

  • Quando mi sono incontrato con don Enzo era un tempo che io coabitavo, una cosa normale a quei tempi, a Via Sant’Eremita, cioè nel cuore della sua parrocchia, don Enzo mi fece paternamente ma fermamente una lavata di testa, dicendomi “e come mai io non ti conosco, non ti sei mai fatto vedere ?”. Balbettai alcune spiegazioni, ma don Enzo venne subito al dunque, e mi disse “io debbo  conoscere tutti i miei parrocchiani -e mi chiese- ma adesso che fai ?”. E io gli risposi che avevo appena conseguito la maturità classica e che mi ero da poco iscritto alla facoltà di giurisprudenza all’università di Napoli e non facevo altro oltre lo studio. E allora don Enzo mi disse “hai parecchio tempo libero, perché non vieni a dare una  mano ?”. Dissi subito cosa potevo fare e come potevo essere utile. E il sacerdote di rimando “Io ho scoperto la terza elementare, una classe difficile con  ragazzi ancora più difficili, dove non ha mai resistito nessun insegnante, sopraffatto dai comportamenti, anche violenti,  dei ragazzi che frequentano questa classe e che vengono qui unicamente per il pasto quotidiano. Tu mi sembri il tipo adatto per mettere in riga questi ragazzi, perché da quanto mi hai raccontato sei un poco come loro, un irregolare”. Accettai. I primi incontri furono piuttosto burrascosi, ma poi loro stessi decisero che io ero uno di loro e i rapporti diventarono normali. Un mese dopo don Enzo soddisfatto di come andavano le cose, pur avendomi detto in anticipo che il mio era un servizio volontario gratuito mi diede 3.000 lire. E aggiunse che me li ero meritati. Dopo il conseguimento della maturità e l’iscrizione all’università io non disponevo di nessuna risorsa economica, nemmeno per comprare le sigarette nazionali o il tabacco per arrotolarle e neanche per andare una volta alla settimana al cinema, che era l’unico lusso al quale aspiravo. Entrai subito in confidenza e simpatia con don Enzo il quale mi invitò a fare una domanda all’Istituto Autonomo Case Popolari perché erano in corso di assegnazione le case popolari chiamate minime, costruite nella piazza del campo sportivo Vestuti. Feci la domanda a nome di mio padre, la consegnai a don Enzo, diretta al vice presidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari; don Enzo appose sulla domanda una scritta che recitava così: “E’ dei nostri”. E con questo viatico fu assegnata la casa alla mia famiglia con tre vani e accessori, dove ho vissuto per diversi anni. L’Opera Ragazzi Nostri era alimentata oltre che dall’interessamento della moglie dell’on. De Martino anche dagli aiuti americani, che presero il nome del “Piano Marshall”. Fu la prima svolta della mia vita nell’immediato dopoguerra, di un rientro nella quasi normalità: una casa, e un piccolo lavoro. In questa scuola insegnava anche un altro mio conoscente, pure lui abitante nel quartiere, originario come me della costiera amalfitana e precisamente di Atrani, del quale parleremo in prosieguo. Vorrei sottolineare un aspetto, un comportamento comune, cioè che amici o conoscenti non si dicono e non si spiegano mai le cose, forse anche per una legittima utile difesa.

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