di Eppe Argentino Mileto
dopo un lungo silenzio, ringrazio il giornale per ospitare questo piccolo abstract tratto dal libro che ho appena terminato. Come indicato, è un libro utile perché diseduca. Tutto ciò che è diseducativo è utile. Il libro diseduca alla vita, perché si abbandona alla vita. Nel senso che prepara ad abbandonarla, la vita. Tanto è così che finirà. Vede, per me la vita è come un film porno: si conosce già il finale. Per questo da anni lavoro sulla mente. È l’unica cosa che ancora mi interessa, la mente. Sa cosa mi eccita della mente? L’orrore di cui è capace. L’orrore della mente non mi annoia. Al contrario, mi incuriosisce. Mi stupisce. La mente non è un luogo, non è un organo, non è il cervello. Guai a confondere la mente con il cervello. La mente è un panorama. È la capacità di pensiero supremo che sfugge al solo il cervello. Si può avere il cervello ma non necessariamente avere la mente. Poiché non ogni cervello è una mente. Non tutti i cervelli sono capaci di pensare con la mente. Taluni producono pensieri, ma non pensano con la mente. Ecco, ciò che produce il cervello non desta in me alcun interesse. Il cervello pensa indipendentemente. La mente no. La mente mette in atto il pensiero. Produce il panorama del pensiero. Non si limita a pensarlo. Anzi, lo crea. La mente non mente. La mente genera il pensiero. Il cervello produce i pensieri. Si fidi, non è la stessa cosa. La mente è una madre. Partorisce ciò di cui è capace: il pensiero. Ed è su questo che lavoro da anni. Mi sono sempre chiesto cosa sia in grado di produrre la mente. Di quali pensieri sia capace. E di quali aberrazioni. Ne ho aperti tanti, di cervelli. Non ho fatto altro in tutti questi anni. Mi sono mosso come un anatomopatologo. Ho un fiuto naturale per la mente. Mi seduce, mi emoziona, mi stupisce, mi eccita, la mente. Ed è nei suoi panorami che ho visto la medesima cosa di ogni mente: l’orrore. La mente produce il pensiero e il pensiero si posiziona in un panorama. Diviene panorama del pensiero. Mi spiego meglio. Il libro che ho scritto introduce la seguente scena: siamo all’interno di una carrozza passeggeri su un treno in movimento. La gente si osserva, si scruta, talvolta si interroga, osserva, esplora, talaltra abbozza un timido sorriso. E poi ognuno torna nella sua mente. Su questo treno in folle corsa il paesaggio non cambia mai davanti al finestrino. È immutato. È fermo. Come il pensiero. Ognuno ha prodotto il paesaggio del proprio pensiero. Ognuno è fermo davanti alla sua scena. Sono otto passeggeri. Non si conoscono fra loro. Siedono e basta, disposti dove capita. Ognuno ha prodotto il proprio paesaggio. Ciascuna mente ha fermato un attimo della propria vita. Ha pensato il proprio panorama della mente. Che è uno ed uno soltanto. I panorami successivi sono deformazioni del pensiero. Sicché abbiamo otto panorami diversi davanti al medesimo finestrino. E sono tutti panorami di orrore. Ogni paesaggio è orrendo, nefasto, mostruoso. La mente di ogni passeggero ha prodotto un panorama mostruoso. Non doloroso, ma mostruoso. Nessuno ha scampo. Non esistono panorami salvifici. Ma un solo punto di fuga che ciascuno, nel proprio orrore, deve trovare. Qui la mente compie uno sforzo maggiore. Risolvere l’enigma del proprio panorama. Gli otto quadri contengono desideri non realizzati, frustrazioni, invidie, perversioni, mutilazioni dell’anima, desideri nascosti, rabbia, abbandoni. Ma uno solo è il denominatore comune che si sottrae all’orrore. Non salverà nessuno degli otto passeggeri. Moriranno tutti, sereni. Abbandoneranno la vita consapevoli. Il treno dell’esistenza è deragliato.