da Angelo Giubileo
Siamo giunti ormai alla vigilia di un’importante e annunciata riforma del sistema del lavoro e delle pensioni nel nostro paese. Mi riferisco alla conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e introduzione per la maturazione del diritto a pensione del requisito di quota 100, il cui iter di approvazione inizia oggi in aula e, stando agli annunci del governo, dovrebbe completarsi entro questa stessa settimana.
E’ inutile qui entrare nei dettagli di una normativa che, soprattutto per quanto riguarda la concessione in definitiva del reddito di cittadinanza, appare ancora da definire. Brevi sono invece le considerazioni di carattere generale che necessita premettere e in pratica sottolineare.
Si tratta in entrambi i casi di misure attese senz’altro dalla maggioranza degli italiani, una maggioranza consistente registrata al voto del 4 marzo scorso e che ha consentito la formazione quasi tre mesi dopo di un nuovo governo politico gialloverde (M5S + Lega), guidato da Giuseppe Conte, in luogo dell’ipotesi allora alternativa di governo tecnico, guidato dall’economista Carlo Cottarelli. Ciò premesso, le due misure-cardine agiscono in funzione di una strategia tanto più politica che finanziaria del governo, capace quindi di offrire maggiore garanzia e tutela politica all’intero sistema-paese.
Per quanto attiene al sistema delle pensioni, consentire innanzitutto a ciascun lavoratore, su base volontaria, di accedere al diritto a pensione avendo raggiunto un requisito minimo anagrafico (62) e contributivo (38) la cui somma sia almeno pari a 100. Così che, la svolta politica della misura consiste essenzialmente in questo, ovverossia concedere al lavoratore la possibilità di andare in pensione prima dell’età di vecchiaia, indipendentemente dalla misura dell’assegno pensionistico, che spetta altresì al lavoratore giudicare liberamente se sia più o meno sufficiente per le proprie esigenze future, individuali e sociali, di fabbisogno economico.
Per quanto attiene invece al sistema del lavoro, è stato obiettato soprattutto che la misura del reddito di cittadinanza potrebbe in effetti costituire non “un ponte verso il lavoro” ma “un disincentivo al lavoro”. In pratica, potrebbe accadere che in vaste aree – soprattutto al sud del paese, laddove il lavoro è svolto non solo in forma precaria ma innanzitutto “a nero” – la misura del reddito di almeno 780 euro risulti per ogni cittadino e lavoratore senz’altro più vantaggiosa e quindi conveniente rispetto al reddito di lavoro, quello reale, reso disponibile dall’impresa. Ma, se sia realmente così, allora anche la misura del reddito di cittadinanza assolverebbe allo scopo, come si diceva della quota 100, di fornire senz’altro maggiori garanzie e tutele politiche all’intero sistema-paese.
E tuttavia, esigenze politiche alle quali sembrerebbero invece opporsi le diverse esigenze finanziarie del sistema medesimo. Ma, al punto in cui siamo, non pensate anche voi detrattori che, unendo ciascuno il proprio sforzo politico a quello del governo politico in carica, sia non solo meglio ma ora anche più opportuno tentare?