di Cecchino Cacciatore
(avvocato)
SALERNO – Interrogato su cosa fosse l’etica, lo scrittore Yehoshua rispose che essa non è una stella la cui luce brilla debolmente a distanze infinite, ma è onnipresente, ovunque esseri umani entrino in relazione tra di loro, a qualsiasi livello, dal più basso, costituito dal rapporto di coppia e dalla cellula familiare, sino al più elevato, quello della relazione dell’individuo con la società, con la nazione, e persino con la comunità internazionale. In una parola: la solidarietà, fatta di atti e comportamenti di prossimità, anziché da vuote e retoriche manifestazioni di trasporto verso ideali comodi da invocare, quanto più lontani siano da noi.
Chissà che non voglia dire questo la parte della richiesta di autorizzazione a procedere relativa al caso Diciotti, laddove erge una diga tra atto politico insindacabile e atto amministrativo direttamente operante sulla vita dei cittadini.
<<Non è ravvisabile la scriminante invocata (dell’atto politico insindacabile), in quanto la decisione del ministro ha costituito esplicita violazione delle Convenzioni internazionali in ordine alle modalità di accoglienza dei migranti soccorsi in mare>>, così l’atto giudiziario che continua <<trattandosi non di atto politico, ma di atto amministrativo concreto dettato da ragioni e “moventi politici”, esso non è libero nelle sue finalità, in quanto espressione solo di un pensiero, ma essendo destinato a regolare in concreto i diritti individuali dei singoli non è sottratto alla valutazione dell’autorità giudiziaria quando si ponga al di fuori della legalità e nel caso di specie costituisca una condotta di privazione della libertà personale vietata dall’art. 13 Costituzione>>.
Ora, immagino che si discuterà tanto e più approfonditamente nelle sedi opportune, ma questo è il perimetro in cui misurare millimetricamente quanto la politica, tracimando dall’etica solidaristica scolpita nella Costituzione, si possa essere trasformata in un modo di comportarsi e di essere di rilievo penale tra i consociati, tanto più grave perché ai danni di persone da salvare in mare.
Saputo però che a bordo vi erano uomini in pericolo, il capitano Lingard (personaggio di Conrad nel romanzo Il Salvataggio) ordinò il soccorso perché <<vi era qualcosa da compiere e sentiva che non ne avrebbe potuto fare a meno. Ci si attendeva questo da lui. Se lo attendevano i mari, se lo attendeva la terra. Anche gli uomini>>.
E a proposito del mare, dei suoi pericoli e del richiamo all’onore che esso comporta, una delle più belle frasi di Leibniz- quasi a voler ulteriormente dimostrare che il migliore dei mondi possibili è si dato a priori, ma va difeso e costruito nella vita vera- è quella in cui il filosofo afferma che credendo di essere arrivato in porto, si vide invece rigettato in mare aperto.
La metafora sta a significare che sulla terra non si può naufragare; ci si può perdere, venire sconfitti, morire anche, ma non naufragare; cioè un’esperienza limite che comporta vastità e profondità, dove l’elemento mobile e inaffidabile dell’acqua è in grado di inghiottire e, per rimanere nella metafora, è come il pensiero di chi assiste al naufragio, di chi ne è spettatore, che può provocare con la propria forza e le proprie altere scelte sbagliate, lutto doloroso e straziante.
Lucrezio descrisse con fermezza la differenza che passa tra chi naufraga e chi ne è spettatore: <<Suave, mari magno turbantibus aequora ventis, e terra magnum alterius spectare laborem non quia vexari quemquam iocunda voluptas>>; coloro che, soavi e al sicuro sulla terraferma, osservano distaccati il mare in tempesta distanti dall’altrui pericolo.
Se poi il salvataggio deve avvenire nel Mediterraneo il non occuparsene assume ancora un altro significato, quello che Camus prendeva ad esempio di come esso potesse essere al contempo e all’opposto nello stesso istante mare nostrum oppure hostiles a seconda che lo si intenda comunità di gente simile per origine o viceversa lo si guardi con diffidenza per le apparenti diversità che può apportare.
Camus che aveva, per l’appunto, il Mediterraneo nelle carni diceva che questo piccolo mare è la negazione stessa di Roma e del genio latino, è diffuso e turbolento, allo stesso modo a Tunisi come a Genova ed è all’Oriente che si avvicina quando si guarda alle sieste simili nelle piazze della Spagna o delle rive dell’Africa.
Ma il Mediterraneo- sosteneva ancora lo scrittore algerino- è soprattutto una possibile alternativa a un progresso che è solo sviluppo e pochi capiscono che rifiutarne l’idea equivale più che a un rifiuto a una rinuncia. La rinuncia al sogno mediterraneo! O all’Italia come una civiltà ancora prima che un paese, fatta di tradizioni antiche, di meticciati, fatta della Costituzione che dell’etica della solidarietà è imbastita in ogni dove per una visione di insieme partecipata da tutti i popoli che si affacciano sulle sue rive.