Aldo Bianchini
SALERNO – “Non conta quanti ti leggono, conta quello che scrivi” diceva spesso un grande giornalista del passato; aveva perfettamente ragione, se scrivi notizie di cronaca spicciola ti leggono in tanti, se scrivi la verità ti leggeranno in pochi, ma quei pochi sono quelli che contano.
Come in ogni campo della vita bisogna, quindi, fare una scelta e ad essa convertirsi senza mai pensare ed affermare che la tua scelta è quella più giusta e più professionale e tutte le altre scelte sono da “piscitiell ‘e cannuccia“, cioè di chi non sa rincorrere una notizia, non sa captare una confidenza, non sa svolgere il proprio mestiere perché non si toglie il cappello al cospetto del potere. Un mestiere che, ripeto, ha tantissime sfaccettature, tutte utili quando esse vengono svolte con autonomia e indipendenza.
Tempo fa un noto PM della Procura di Salerno, tuttora in servizio, mi svelò che lui, per la sua rassegna stampa quotidiana, leggeva prima quello che avevo scritto io e poi tutti gli altri; tanto, mi disse, degli altri so già quello che scrivono.
Per carità, con questo, non voglio per niente salire in cattedra e assumere le vesti del saccente, io spesso prendo spunto dalle cose che mi racconta lo spazzino che lavora sotto casa mia, figurarsi se voglio fare il maestro di qualcuno; ma è solo un modo per entrare meglio nel delicato argomento che segna “il confine labile tra giornalismo e opinione, tra verità e spettacolarizzaione” come giustamente e saggiamente ha titolato l’articolo pubblicato dal giornale online “mezzostampa.it”; un ottimo articolo voluto dalla direttrice Francesca Cutino e da tutta la redazione composta da “Lia Cutino, Prisco Cutino, Daniela Cifani, Maria Rosaria Comentale, ecc.”, una redazione giovane, sveglia e quasi tutta al femminile che non rincorre le notizie tanto per pubblicarle prima degli altri, ma cerca di acquisire le notizie per approfondirle.
Molto delicato e complesso l’argomento trattato nell’articolo, un argomento che si inoltra nei difficili sentieri del rapporto tra politica – magistratura – stampa (rapporto sul quale vi ho tediato nel precedente mio articolo) che per quanto attiene il nostro territorio sta trovando la sua finale sublimazione nel processo Sarastra a carico dell’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti con tutto il carico di “persecuzione mediatico-giudiziaria” che detto processo trascina con se. Un processo che, molto probabilmente, traccerà i confini entro i quali devono rispettivamente muoversi la stampa (che non può continuare ad obbedire agli ordini del padrone), la magistratura 8che non può pensare all’infinito di essere al di sopra di tutto), la politica (che deve autoimporsi delle regole deontologiche precise), l’imprenditoria (che non può ancora continuare a credere che con quattro soldi compra tutti) e, infine, la camorra che non può continuare a giocare come il gatto con il topo beffeggiando, a turno, i giornalisti, i magistrati, i politici e gli stessi imprenditori. Ho utilizzato l’espressione “finale sublimazione” perché penso e spero che questo intreccio di squallidi mercanteggi possa presto giungere al suo traguardo finale: i giornalisti devono fare i giornalisti, così come tutti gli altri devono fare il mestiere per cui sono stati chiamati sulla scena pubblica; solo in questo modo si potrà pensare almeno di mettere in un angolo, se non sconfiggere, la malavita organizzata. In caso contrario facciamo tutti il suo gioco, anche inconsapevolmente.
La coraggiosa Francesca Cutino non si fa pregare più di tanto ed entra subito nel cuore del problema, ed in merito al naturale e inconsapevole sentimento di esprimere un giudizio scrive testualmente: “Ma quando a farlo è un giornalista, che in spregio a tutte le regole deontologiche continua a scrivere di politica pur svolgendo ‘attività politica’ per un certo schieramento con contratto e retribuzione, diventa impossibile non storcere il naso e porsi qualche domanda sull’attendibilità dei suoi scritti. Ancor di più se parliamo di un giornalista chiamato a testimoniare in un processo e a ‘giurare’ di dire la verità contro un imputato che appartiene ad uno schieramento politico opposto”. Ancora più seria è la posizione del giornalista quando entra in un’aula di tribunale, da quel momento deve zittire su tutti i fronti altrimenti vuol dire semplicemente che fa parte di un gioco, e i giochi non sono per i giornalisti che vogliono difendere l’autonomia e l’indipendenza.
Perfettamente ed incontrovertibilmente giusto quello che ha scritto la Cutino; io sono stato per anni testimone per la difesa nel famigerato “Processo California” e in tutto quel periodo non ho mai scritto un solo rigo su tutti i personaggi del processo; l’ho fatto soltanto dopo ed a carte scoperte, di più e meglio degli altri. E pensare che pur essendo teste della difesa, in un processo che vedeva alla sbarra una settantina di camorristi incalliti, non ero stato indotto o minacciato da alcuno a farlo.
A mio avviso Francesca Cutino entra nel migliore dei modi nel delicato “caso giudiziario” che vede l’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti al centro di un attacco mediatico-giudiziario senza precedenti e superiore di gran lunga addirittura a quello scatenato da Linea d’Ombra – Sistema Pagani, anche perché i caratteri personali di Gambino e Aliberti sono diametralmente opposi; il primo sempre molto attento e apparentemente remissivo, il secondo sempre molto scalpitante e pronto alla battaglia fino in fondo. Per trovare un caso analogo (attacco mediatico) bisogna riandare con la mente ai tempi di tangentopoli ed alla pervicace e fasulla inchiesta che Il Mattino di Salerno, spinto dalla Procura, condusse contro l’allora ministro Carmelo Conte e il suo entourage politico-amministrativo. Mancava solo che il prestigioso giornale campano scrivesse a che ora il ministro al mattino faceva la pipì; poi tutto si sbriciolò e vennero alla luce perversi interessi politico-giudiziario-malavitosi che nulla avevano a che fare con l’ex ministro. Nel caso che ci interessa è stato, invece, fatto un gran baccano sulla cena con canti e balli cui ha partecipato nel Comune di Corbara l’imputato, ma uomo libero, Pasquale Aliberti, quasi come se avesse azzannato o ucciso qualcuno e quasi come se i giornalisti avessero scoperto chissà quale ulteriore sciagurata azione omicidiaria compiuta dall’ex sindaco.
Sul punto la Cutino magistralmente scrive: “Pasquale può andare a bere una birra con un amico, cantare al karaoke a casa di pinco pallo, scrivere le sue emozioni sui social, brindare con sua moglie e i suoi figli a Capodanno, ballare, urlare, anche passare la notte a girare in macchina senza meta con gli amici di sempre e cantare ‘certe notti’ di Ligabue … si, può farlo. E lo può fare perché è un uomo libero”.
Ma da ottima giornalista, e non da spietata esecutrice di ordini premeditati e interessati, la Cutino entra anche nel famoso mondo dell’analisi psicologica e umana (che moltissimi giornalisti non conoscono !!) del personaggio di cui ogni giorno, con puntualità asfissiante, si raccontano solo le presunte malefatte: “…è un uomo che da mesi viene rimbalzato da un carcere all’altro (Fuorni, Sulmona, di nuovo Fuorni) e costretto al regime degli arresti domiciliari (Roccaraso e Praia a Mare), un uomo che ha combattuto la solitudine e forse con un mostro molto più aggressivo, un mostro che divora da dentro che si chiama depressione. Perché quando sei rinchiuso fra quattro mura e non puoi viverti gli affetti, la carezza di una moglie, l’abbraccio dei tuoi figli, il dolore si amplifica, dilania, diventa insopportabile …“.
E la direttrice di “mezzostampa.it” fa anche dei ragionamenti molto condivisibili e pone ovviamente delle domande a cominciare dalla tutela degli interessi personali dell’imputato in una fase delicatissima del processo in cui sembra doversi difendere più dalla scure costante del mero pettegolezzo che dalle inverosimili accuse giudiziarie; pettegolezzi che costringono all’angolo fino al punto da far considerare la “legittima difesa” contro i devastanti e insulsi attacchi come un reato continuato.
Non lascia cadere, la bravissima Francesca Cutino, anche l’argomento della rivelazione delle notizie secretate che, come il segreto di Pulcinella, vengono distribuite a tutti quei giornalisti che stazionando perennemente dinanzi alle cancellerie o alle porte dei PM intercettano non soltanto i magistrati ma anche gli avvocati delle parti e delle controparti in un gioco al massacro che ha una sola parte soccombente: l’imputato. Sull’argomento la Cutino tocca, forse, l’apice del suo modo di fare giornalismo quando scrive che “È più dirompente pubblicare notizie secretate e che mai e poi mai dovrebbero essere nelle mani di un giornalista. Poi come fanno ad averle dovranno spiegarlo a chi di dovere… E quindi chi tutela l’imputato? Chi si fa carico delle sue ferite? Chi decide di non consentire che si operi questa persecuzione, questo continuo stalkeraggio mediatico? Sembrano parole forti, ma tutto ha una ragione”. Purtroppo nessuno mai ha spiegato come fanno e nessuno mai si è curato di fermare la persecuzione e lo stalkeraggio, neppure quando tutto appare manifestamente scoperto. Difatti se un giornalista si presenta, addirittura qualche minuto prima, sul luogo di un blitz segreto delle forze dell’ordine dovrebbe essere facile immaginare chi ha sganciato la inquietante velina. Mi sbaglio ?
All’epoca di tangentopoli invitavo giornalisti e semplici amici a leggere il libro “Sasso o Coltello” di Carmelo Conte, oggi sollecito la lettura seria ed approfondita del libro “Passione e tradimenti” di Pasquale Aliberti; badate bene, entrambi pubblicati in epoche precedenti all’avvio delle rispettive inchieste giudiziarie; se quelli che starnazzano contro l’uomo Aliberti lo leggessero attentamente scoprirebbero cose nuove e inedite.
Per chiudere mi piace ricordare che nel precedente articolo ho scritto che finalmente qualcuno ha aperto una breccia significativa nel muro di gomma del perverso sistema politica-magistratura-stampa che è sotto gli occhi di tutti; da quando ho letto l’articolo del giornale diretto da Francesca Cutino mi sento meno solo in questa battaglia che è molto difficile da portare avanti ma che deve essere combattuta fino in fondo perché è una battaglia di civiltà e di cambiamento finalizzata alla giusta attenzione per l’imputato, alla tutela dell’immagine della persona, e nella fattispecie del caso Aliberti, alla cura dell’uomo, dei suoi incubi ancora vivi e presenti. Parole sagge della Cutino che io sottoscrivo pienamente.
Queste brutalità appartengono soltanto alla spietata guerra di potere che da venticinque anni a questa parte si è innescata tra la politica e la magistratura; una guerra in cui la stampa dovrebbe recitare la parte dell’autonomo e indipendente censore.
“… ci sono dei giornalisti che vogliono sostituirsi alla magistratura. E i processi si fanno nelle giuste sedi …”, questa è una delle considerazioni più belle della Cutino e da questa ripartirò presto per un nuovo approfondimento.
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Sono le Sue parole -Direttore-, e concordo con “mestiere con tantissime sfaccettature” ma, -secondo me- (escluso il fatto che queste possano essere “utili” solo a qualificare il “peso” dell’autore di un pezzo e la serietà di una Testata) non riesco a trovare, in esse, altra utilità… Anzi…
Il Suo è certamente un “mestiere” straordinario, bello, importante, ma non può né dev’essere praticato da chi crea tante situazioni negative (in modo particolare se volute e in malafede): “non sa… Non sa… Non sa…”
Il Giornalista informa e quindi aiuta il lettore a formarsi un’opinione, a fare delle valutazioni e, di conseguenza, delle scelte per cui se egli non è capace, non sa svolgere questo lavoro o si toglie servilmente il cappello “al cospetto del potere”, non può farlo, non deve farlo, NON LO FA. Punto. Senza questi “giornalisti”, la collettività riceverebbe sicuramente utilità… La vera, appagante, fiduciosa utilità che fa crescere la persona e la società e, di conseguenza, migliora la convivenza e, in definitiva, la vita.
Ho scritto quanto sopra sulla base della “premessa” del Suo articolo. Poi ho letto il resto del pezzo e mi sono reso conto che, forse, non avevo capito bene la prima parte. Ho avuto conferma (per quanto non ne avessi bisogno) della chiarezza, coerenza e audacia del Suo pensiero e della risposta -in aggiunta- che dà al termine “Giornalismo” la Direttrice di “Mezzostampa.it” -la Dott.ssa Francesca Cutino-.
Per quello che può valere, il mio “grazie” va ad Entrambi, perché tutti e due ridate significato al termine “Giornalismo” e lo rimettete al posto che gli spetta, così come fate con le parole “Politica” e Magistratura” (tutte con le iniziali maiuscole).
Mario Senatore