Aldo Bianchini
SALERNO – Sarebbe sufficiente soltanto il titolo per far riflettere sulla complessità e sull’intrinseca difficoltà di mantenere il rapporto tra i tre poteri sui binari della rispettiva, corretta e rispettosa occupazione della scena pubblica.
Nel nostro Paese, purtroppo, a cedere, per prima, parte del suo potere è stata “la stampa” che aveva iniziato a lasciare il bastone del cosiddetto “quarto potere” già con i governi della Prima Repubblica per precipitare completamente nell’oblio durante e dopo tangentopoli (quanti disastri hanno fatto i giudici di mani pulite !!), esattamente quando la stampa si è resa conto che per rimanere a galla doveva per forza di cose soggiacere a quello che in quel momento appariva come il potere indiscutibilmente più forte: la magistratura con tutti i suoi annessi e derivati (cioè’ tutta quella pletora di investigatori che abusando del loro potere credono di aver scritto una sentenza con un loro semplice rapporto all’autorità giudiziaria). La necessità insopprimibile della magistratura di continuare a mantenere intatto il suo dominio sulla politica ha creato un canale preferenziale in cui si è spocchiosamente intrufolata la stampa per cercare di continuare a mantenere il suo piccolissimo spazio sulla scena teatrale che all’inizio sembra vincente e che molto spesso, invece, si infrange contro il muro solido rappresentato dai collegi giudicanti che sempre e comunque vagliano e decidono sulle presunte prove portate dalla pubblica accusa ed eclatate, sempre più spesso, in maniera feroce e preventivamente dalla stampa.
Nello stesso gravissimo errore sono caduti e cadono moltissimi giornalisti (li vediamo ogni giorno sui teleschermi e sulle prime pagine nazionali, e non solo) che pur di scrivere qualcosa o qualsiasi cosa si sfregano le mani quando, dopo ore di attesa nei corridoi dei vari uffici giudiziari, riescono ad ottenere una soffiata o addirittura una velina; sembra come se avessero toccato il cielo e corrono nelle loro redazioni per “scrivere il pezzo” con la sicurezza che soltanto quella fornita da una voce sottotono o da una oscura manina sia la verità. Dimenticano facilmente i giornalisti che le voci e le manine, siano esse provenienti dalla pubblica accusa e/o dalla difesa, bisogna sempre prenderle con le pinze e prima di scrivere o parlare a vanvera bisogna leggere e studiare gli atti per darsi una traccia logica da seguire prudentemente cercando di raggiungere per quanto possibile una presunta verità.
Il giorno in cui iniziò il processo “Linea d’ombra – Sistema Pagani” nell’aula bunker di Nocera Inferiore ebbi modo di incrociare una giornalista di vaglia che bruscamente, senza averle posto alcuna domanda, mi disse: “Ho letto qualcosa di quello che stai scrivendo, sei sulla strada sbagliata. Gambino è colpevole, io ho letto gli atti”. Educatamente, e non solo per il rispetto di genere, non risposi e continuai a scrivere sulla traccia che mi ero dato; i fatti hanno poi dimostrato che chi non aveva letto gli atti era la giornalista di vaglia e non io e, soprattutto, che in questo mestiere è possibile imparare anche dai cosiddetti “piscitiell ‘e cannuccia“ (come un giornalista di Metropolis ha definito il giovane Manuel Moliterno del quale da pochissimo tempo questo giornale ospita qualche sua riflessione, maturata più come esercizio universitario che come aspirazione giornalistica vera e propria).
Ecco, l’umiltà è una delle cose più belle che la classe giornalistica attuale non conosce affatto; nessuno è più bravo dell’altro, c’è sicuramente chi è più esperto, ma l’esperienza dovrebbe essere utilizzata a tutto vantaggio della categoria e non calpestata sotto i piedi pur di ascoltare una vocina o afferrare una manina.
Un altro recente collaboratore di questo giornale (corrispondente da Roma), al quale avevo sollecitato più continuità nelle corrispondenze, mi ha scritto: “… io sarò lento e discontinuo con le dovute (o meno) giustificazioni, ma non di certo invidio/ammiro chi in questo ambiente, pur di arrivare prima, guadagnare qualche spiccio in più o mantenere alto il ritmo dà vita a un’industria di produzione di massa giornaliera, creando un prodotto da pattumiera …”. E come dargli torto, non di meno è possibile definirlo “piscitiell ‘e cannuccia“ solo perché fino a questo momento avrà scritto si e no una decina di articoli. In ogni azione la valutazione della misura è commisurata essenzialmente alla nostra sicurezza ed alla nostra esperienza. Il resto non conta.
Ma ritorniamo ai fatti di causa. Nella guerra delle notizie il punto apicale è rappresentato dal PM (pubblico ministero) che è spinto, tirato per la giacchetta, odiato, attaccato, adorato dal pool investigativo, dalla stampa, qualche volta dalla parte civile e stranamente, più di una volta, anche dalla difesa dell’indagato che spera di ottenere un atteggiamento più morbido ed una maggiore comprensione valutativa per l’entità della colpa. Tutti, però, hanno un unico comune denominatore (e questa è la cosa gravissima) che non è l’affermazione della presunta verità ma la consacrazione della propria posizione personale di prestigio nella scaletta di valori che il PM è chiamato a giudicare per costruire, giustamente, la sua cerchia di collaboratori e di giornalisti fidati.
Ed arriviamo al casus belli; il processo Sarastra incardinato presso il tribunale di Nocera Inferiore a carico dell’ex sindaco di Scafati Pasquale Angelino Aliberti ed altri (tra i quali la moglie on. Monica Paolino); su questo processo e di questo processo spesso ho già scritto che, per linee generali, non si discosta molto dal processo Linea d’Ombra; non voglio dire e non dico che ci troviamo di fronte ad un processo fotocopia ma mi corre l’obbligo di segnalare che molti degli attori in scena sono gli stessi, così come lo sono per altre inchieste famose “Linea d’Ombra – Poker – Criniera – Ghost Roads – Mastrolindo – Perseo ed anche B&B (Baldi & Baldi)”; e quando gli attori sono sempre gli stessi la giustizia finisce in secondo piano per lasciare spazio ai personalismi che non portano mai niente di buono. La giustizia ha bisogna di una pluralità di pensieri, esattamente come la stampa.
Per dirla tutta è giusto ricordare che su Aliberti e contro Aliberti si sono concentrati molti interessi diversificati, a cominciare dallo strano e inquietante connubio imprenditoria-stampa-magistratura che nel caso di specie è molto marcato e fuori da ogni logica della cosiddetta libertà di stampa. Grazie al giovane Manuel sto leggendo il resoconto di alcune deposizioni un aula che mi hanno prodotto un senso di smarrimento; tra imprenditori che investono sui giornali, fallimenti strani, bancarotte fraudolenti inquietanti, coercizioni degli editori sui giornalisti, tentativi di suicidio, dimissioni e ritorni, giornalisti che prima accusano e poi non ricordano; vuoi vedere, mi sono detto, che alla fine hanno ragione soltanto i camorristi.
Ma finalmente in tutto questo marasma di interessi si è aperta una breccia significativa che ha consentito ad una giovane e brava giornalista che non ho mai visto né conosciuto, Francesca Cutino, di uscire con tutta la sua redazione di “MezzoStampa.it” dal perverso sistema sopra descritto. Una decisione difficile, e forse sofferta, che pone tutti i giornalisti che hanno questo coraggio fuori dalle righe e dagli schemi prefissati; io personalmente ho scelto da tempo di rinunciare alle vocine ed alle veline, pago un prezzo sull’immediato, ma questo mi consente di commentare fatti, misfatti e personaggi per avere alla lunga anche qualche soddisfazione.
Francesca Cutino e MezzoStampa.it meritano, però, un puntuale e particolare approfondimento che non mancherò di pubblicare nel breve giro di qualche ora; per intanto esprimo i miei più vivi complimenti al coraggio di scrivere la verità.