Aldo Bianchini
SALERNO – La trasparenza di Enrico Coscioni, co-primario di cardiochirurgia a Salerno e consigliere per la sanità di De Luca a Napoli, è venuta finalmente alla luce grazie anche, se non soprattutto, all’attenta e coscienziosa difesa dell’indagato Coscioni da parte del noto avvocato penalista salernitano Gaetano Pastore.
Il 26 maggio 2016, per riassumere la complicata vicenda avevo scritto su questo stesso giornale: “…E’ in questo squarcio che si inserisce, a pieno titolo, la vicenda che ha coinvolto il consigliere per la sanità Enrico Coscioni, consigliere che con le nomine non dovrebbe assolutamente essere chiamato in causa. La Guardia di Finanza, però, non va mai peregrinamente alla ricerca di una ipotesi di reato se, a monte, non c’è una precisa denuncia che nella fattispecie sarebbe stata addirittura sottoscritta da Salvatore Panaro (ex commissario Asl Na-3 sud), Agnese Iovino (ex commissario Asl Na-2 sud) e Patrizia Caputo (commissario straordinario Cardarelli). Ma che cosa c’entra il dr. Coscioni; secondo gli ispiratori dell’indagine della GdF potrebbe essere stato proprio il cardiochirurgo salernitano, nella veste di consigliere del governatore, a sollecitare le dimissioni volontarie almeno di Salvatore Panaro nel corso di un unico e risolutivo colloquio in cui non si sarebbe parlato di piano ospedaliero ma di dimissioni e di nomine. E se Panaro non è uno sprovveduto dovrebbe anche aver registrato segretamente il colloquio intercorso con Coscioni; soltanto così può essere spiegata la chiamata in causa di Enrico Coscioni; in caso contrario per Panaro ci sarebbe anche il rischio di una pesante querela …”.
Già allora, quindi, le indagini contro Enrico Coscioni, chiaramente attivate per colpire De Luca, mi sembravano ai limiti del surreale: “Coscioni avrebbe duramente minacciato i tre professionisti, singolarmente, di dimettersi dai loro incarichi per far posto ad altri più vicini al governatore”; bisognava cioè credere ad atteggiamenti ai limiti del mafioso messi in atto da un professionista serio e coscienzioso come Coscioni, e bisognava crederlo senza alcuna prova conclamata ma costruita soltanto sulle presunte dichiarazioni dei tre (Panaro, Caputo e Iovino) che oltre alle chiacchiere non avevano e non hanno fornito alcuna prova; nonostante questo, però, la pubblica accusa (pm Giancarlo Novelli, che comunque non è certamente l’ultimo arrivato !!) ha continuato ad insistere pervicacemente nell’accusa fino a chiedere al GIP il rinvio a giudizio di Coscioni.
E fortunatamente, per Coscioni s’intende, il fascicolo è caduto sulla scrivania del gip Marcello Rescigno che a metà degli anni ’60 ha lavorato a Salerno sia come pm che come gip; la figura di Rescigno in questa vicenda giudiziaria è assolutamente centrale che ha concentrato subito la sua attenzione non sui fatti nudi e crudi portati alla sua attenzione definendoli “non sussistenti” ma sulla figura pubblica del manager Enrico Coscioni che nella fattispecie non rivestiva neppure la qualifica di “pubblico ufficiale” e/o di “incaricato di pubblico servizio” in quanto la nomina fiduciaria da parte del governatore non presuppone il possesso di tali qualifiche da parte di chi riceve la nomina. Semplice il ragionamento che da solo smantella ogni tipo di accusa, ancor di più se si pensa che i fatti non sussistono perché, credo, nessuna prova è stata portata all’attenzione del gip.
In questo squarcio si inserisce l’abilissimo lavoro dell’avvocato Gaetano Pastore che, già convinto dell’insussistenza dei fatti entrati nell’inchiesta, si è preoccupato di portare al gip su un piatto d’argento la soluzione giusta della vicenda che rischiava di incrinare non solo l’immagine pubblica del primario cardiochirurgo ma dell’intera amministrazione regionale di Vincenzo De Luca.
Oltretutto l’avvocato Pastore ha dovuto fronteggiare anche l’onda anomala interna al nosocomio salernitano che sull’onda della richiesta di rinvio a giudizio stava montando una sorta di rivoluzione mediatico-giudiziaria contro lo stesso Coscioni che nel frattempo aveva ricevuto l’incarico di secondo primario della cardiochirurgia salernitana che era rimasta orfana di Giuseppe Di Benedetto per motivi pensionistici. Più di qualcuno, a gran voce, aveva addirittura chiesto al dg dell’ospedale Cantone di sospendere dal servizio il cardiochirurgo indagato. Una situazione difficile, con oltre cento sottoscrittori di una nota di sfiducia nei confronti di Coscioni il quale seguendo le indicazioni di Pastore non è mai caduto nella trappola delle sterili e infide polemiche.
La notizia dell’assoluzione di Coscioni è arrivata la sera del 14 dicembre scorso e tutta la stampa ha gridato all’innocenza quando invece, per qualche anno, se non aveva giurato per la colpevolezza non aveva neanche gridato per l’innocenza. Ma funziona sempre così.
Qualche giornale ha, nei rispettivi report, ricordato che il gip Marcelleo Rescigno aveva lavorato anche a Salerno; ma i commenti si sono fermati lì. Nessuno ha ricordato cosa Rescigno è stato capace di fare a Salerno.
Nel 1994 sul tavolo del gip salernitano Marcello Rescigno era arrivato l’enorme fascicolo del “trincerone ferroviario”; dopo vari batti e ribatti si arrivò all’udienza preliminare del 26 gennaio 1995 a conclusione della quale Rescigno scrisse nell’ordinanza di rinvio a giudizio dei tanti arrestati per il trincerone (Giordano, Bonavitacola, Salzano, Mustacchi, Adriani e Di Donato): “Questo processo è montato, avete voluto farne la bandiera di tangentopoli, ma è molto meno. Chiederò prove più consistenti al dibattimento … allo stato non ci sono prove a sufficienza, gli atti sono confusi, poco chiari. Io non sono convinto, ma ho dovuto chiedere i rinvii a giudizio. Il dibattimento a questo punto è l’unico modo per accertare la verità”.
E la verità, a fine dibattimento, ci disse che gli imputati contro i quali erano state anche emesse misure restrittive erano tutti innocenti.
Nei giorni successivi a quell’ordinanza del 26 gennaio 1995 mi chiesi e scrissi: “Perché il gup se non era convinto ha, comunque, richiesto il rinvio a giudizio ?”; di risposte sicure e sostenibili non ce ne sono. Si parlò molto in quei mesi di pressioni sul gip/gup Rescigno da parte di alcuni colleghi per arrivare comunque ad un rinvio a giudizio che potesse salvare capre e cavoli.
Nel “caso Coscioni” non c’erano da salvare né capre e né cavoli, c’era soltanto da ristabilire la verità. Soprattutto dal punto di vista giuridico che deve andare sempre al di là dei fatt