L’autonomia: un progetto già fallito

di Angelo Giubileo

(avvocato – scrittore)

SALERNO – In questi giorni di fine anno, oltre che di Finanziaria, si fa un gran parlare del sistema di autonomia regionale, stavolta invece che propria delle regioni “a statuto speciale”, “differenziata” delle regioni a statuto ordinario secondo la previsione attuale dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione.

La disciplina del nuovo testo costituzionale risale alla riforma del titolo V della Costituzione introdotta dalla legge costituzionale n. 3/2001. Sono quindi trascorsi diciassette anni, senza che in tutti questi anni si sia fatto un passo in avanti nel procedimento di attuazione. Se non fosse, però, che un comma della legge Finanziaria per il 2014 ha viceversa previsto l’obbligo del Governo di attivarsi entro sessanta giorni in risposta a ogni iniziativa in materia avanzata singolarmente da una o più regioni a statuto ordinario.

Così che nel presente siamo all’inizio di un procedimento di autonomia differenziata che per ora riguarda le regioni della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna, e che tuttavia per trovare compimento e quindi definitiva attuazione presuppone anche l’approvazione da parte del Parlamento di una legge cosiddetta “rinforzata”, basata cioè su un’intesa tra Stato e regione interessata, ma – e qui è soprattutto il nodo che ancora occorrerebbe eventualmente risolvere – a condizione che siano rispettati gli “interessi” e gli “scopi” di cui è detto in particolare nel testo dell’art. 119 della stessa Costituzione.

Per quanto concerne gli interessi, non c’è dubbio che si tratta di interessi di natura economico-finanziaria; mentre, a quanto sembra, e ripeto dopo ben diciassette anni, qualche dubbio è sorto e sorge sulla natura, evidentemente, sia dei diversi “scopi” che dovrebbero tenere insieme lo Stato e le Regioni sia in particolare sull’impegno, riassunto nel comma 3 dell’art. 119 medesimo, da parte dello Stato, “di valorizzare il Mezzogiorno e le Isole”.

Questo è dunque il quadro costituzionale attraverso il quale necessiterebbe discutere di “autonomia differenziata”; così che, pensata e attuata in ragione di interessi e scopi diversi, costituirebbe piuttosto una forma di “deviazione” dalla disciplina costituzionalmente sancita.

Ma, al di qua delle varie ipotesi e forme di “deviazionismo” che circolano in questi giorni, in quanto cittadini della Repubblica “una e indivisibile”, a noi s’impone innanzitutto una considerazione di natura sia storica che politica, che qui di seguito provo a esporvi.

L’iter di autonomia politico-amministrativa fu pensato e avviato dal nostro legislatore agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, quando cioè l’allora prefigurato nuovo sistema costituzionale di autonomie locali e rappresentative sembrava fosse maggiormente compatibile con l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea. Si pensò cioè alla definizione e attuazione di un nuovo modello federale cosiddetto glocalistico. Il termine era stato coniato in Giappone negli anni Ottanta, al fine stesso d’identificare e caratterizzare una qualsiasi realtà territoriale che fosse validamente ed efficacemente inserita in un processo di sviluppo sia locale che globale.

Viceversa, com’è ormai noto a tutti, lo stallo dell’Unione europea e – in particolare sottolinerei anche – le scelte “isolazioniste” e quindi revisionistiche sul piano politico e militare degli Stati Uniti attestano la crisi e l’inefficacia attuali di un siffatto modello o sistema, che nei fatti non è stato dunque capace di garantire a chi di dovere lo sviluppo promesso e quindi atteso. E allora, perché insistere? Dopo, peraltro, è bene ripeterlo, diciassette anni di inerzia totale; dopo che il progetto dell’Unione europea è oggi senz’altro deficitario; e, ancora, considerato che non conosciamo gli sviluppi conseguenti agli incerti esiti del voto delle elezioni politiche europee del prossimo maggio?

La gatta frettolosa fece i gattini ciechi … Così che: se il sottosegretario–leghista Giorgetti minaccia che un’eventuale mancata approvazione dell’autonomia differenziata, in favore delle regioni a statuto ordinario che ne hanno fatto già richiesta, diventi causa – in tempi brevissimi (!) – della caduta dell’attuale governo giallo-verde; direi che sia facile e piuttosto scontato, per chi davvero tiene a cuore gli interessi dell’Italia, tutt’intera, e degli italiani, rispondergli: che cada pure!

 

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