Felice Bianchini junior
(corrispondente e notista politico)
ROMA – Ricordo come fosse ieri la sera del 3 Marzo, il giorno prima delle elezioni: mi trovavo a piazza Navona, quando a un tratto passò Di Maio, a braccetto con la sua fidanzata; ricordo dei signori urlargli che l’avrebbero votato, che gli avrebbero dato fiducia, e lui ricambiare con un saluto e un sorriso complice. Parlai con quei signori, i quali mi dissero perché avrebbero votato 5stelle; il motivo del loro voto è talmente semplice da non richiedere politologi o sociologi che si sprechino in dietrologie di massa: hanno votato 5stelle “per cambiare”; e alla mia domanda “non è un criterio di voto semplicistico?” hanno risposto dicendomi che non c’era alternativa, se non passare per il restituire fiducia a chi l’aveva tradita in precedenza.
Ne è passata di acqua sotto i ponti dai “vaffa” e dal grido “Roma ladrona”. E se il cambiamento prima del 4 marzo sembrava essere esclusiva dei 5stelle, da ormai sei mesi, è finito per diventare perlomeno anche della Lega. Dico perlomeno, quando in realtà, il 17% del Carroccio alle politiche è fin da subito apparso stretto, vista la rilevanza politica che Salvini possedeva ed ha continuato ad acquisire, grazie alla sua comunicazione costante, incessante e pervasiva in ogni spazio della politica – e non solo.
Con il suo appeal non avevano fatto i conti in tanti: primo su tutti Berlusconi, che forse si era illuso di poter imporre la sua linea nel centro-destra, ma che, se già dal risultato del 4 Marzo si è ritrovato a dover inseguire, arrancando, ad oggi risulta essere nient’altro che una stampella del tanto amato Capitano, sorte che è toccata anche a Giorgia Meloni, che però in prospettiva ha sicuramente più possibilità del Cavaliere di dare filo da torcere a Salvini; e non serve acuta vista politica per poterlo affermare, ma basta guardare banalmente i loro rispettivi dati anagrafici, nonostante ci sia chi afferma che Silvio sia immortale (politicamente parlando si intende).
Non avevano fatto bene i conti anche i 5stelle, che si sono visti rubare la scena, forse complice il minore appeal di Di Maio. Ciò che relega, almeno per ora, il leader 5stelle nell’ombra di Salvini è la sua incapacità di “pescare” ovunque. Il collega di governo, infatti, nonostante sia continuamente etichettato (o forse anche per questo?) come un estremista, un fascista, è in realtà riuscito ad accaparrarsi – e continua imperterrito – voti che in passato sono andati a sinistra, senza considerare il cannibalismo che è in atto con i suoi alleati di centro-destra.
Con i sondaggi che lo danno al 32%, Salvini si è presentato sul palco di piazza del popolo. Il ministro apre la manifestazione alle 11, con addosso una felpa della Polizia, invitando i presenti a un minuto di silenzio per i morti della tragedia della discoteca di Corinaldo, per poi lasciare spazio agli interventi di Centinaio, Fontana, Bussetti, Bongiorno e Giorgetti. Infine, mentre in sottofondo echeggia il Nessun Dorma della Turandot di Puccini, cantato da Bocelli, ricompare sul palco, con un semplice pullover addosso.
Da quel momento in poi, la scena è sua: si alternano cori da stadio e applausi a dei “bravo” che si levano da vari punti della piazza, ogni qual volta termina una frase ad effetto. Il suo discorso è volutamente un grande ringraziamento, espresso con un linguaggio semplice, con i soliti elenchi, parole chiave, e condito con citazioni di Martin Luther King, De Gasperi e Papa Giovanni Paolo II.
Oltre alla sua capacità di assorbire voti in qualunque ambiente politico; oltre alla fortuna di avere nemici tanto assenti, quanto ingenui, i quali, cercando di screditarlo, non fanno altro che portargli altri voti; e oltre al momento di gloria che sta vivendo (momento si fa per dire, visto che dura ormai da mesi), che gli consente di fare qualsiasi cosa, azzeccando in ogni caso; oltre a tutto questo, o sarebbe meglio dire dietro, c’è la sua strategia “pigliatutto”, che viene fuori da un fiuto politico che non ha eguali, almeno qui in Italia. Dal taglio del “Nord” al nome, che è sembrato ad alcuni banale e irrilevante, fino al cambio di tono certificato con la manifestazione dell’Immacolata, il restyling della Lega ha ripagato il suo ideatore, probabilmente anche più di quanto si aspettasse egli stesso.
La schizofrenia di stampo salviniano paga, perché dalla gente è vista come una maturazione, come una nuova sensibilità positiva. L’altro aspetto vincente è la “normalità”: dal modo di vestire, passando per il modo di comunicare, ciò che rende di più Salvini amato ovunque si rechi è la sua capacità di stare in mezzo, e non al di sopra della massa; il ministro è sì l’eletto, ma non il prescelto per capacità fuori dal comune, a parte lo spesso ripetuto buon senso e il coraggio. Ciò lo rende “uno di noi” per chi lo sostiene, uno come gli altri, una persona normale che difende la gente normale: questo è il biglietto da visita di Salvini, che supera le distinzioni destra-sinistra, che si fa vedere sorridente e che manda baci, mentre dall’altro lato c’è chi gli da del violento e gli va contro. La contrapposizione lo rende forte, perché cementa il rapporto che ha con il suo elettorato, il quale è “salviniano”, prima ancora che “leghista” – altro paradosso.
Trascina i suoi avversari in battaglie che non possono combattere, perché, almeno per ora, ha un seguito talmente fedele – e talmente restio ai suoi avversari – da concedergli quel “momento” di gloria di cui si parlava prima, ovvero una sorta di onnipotenza. Parte della base sociale del nostro paese, in particolare quella che non se la passa bene, guarda con favore alla personalità, anche alla fermezza delle posizioni, se queste sono ritenute di interesse.
Salvini non ha fatto altro che instaurare con l’elettorato una comunicazione schietta, semplice, informale, che in quanto tale, prima ancora che per i contenuti che trasmette, viene criticata dagli oppositori (i quali tuttavia iniziano a inseguirlo sul suo terreno); ma che proprio in quanto tale piace a chi invece Salvini lo vota. Ciò vuol dire che il leader della Lega convince sia nel metodo che nel merito, per quanto quest’ultimo possa essere o non essere approfondito.
Gli danno del violento, mentre lui manda bacioni e si distacca dalla violenza; gli danno del “fuori legge”, mentre lui si schiera apertamente con le forze dell’ordine, e la legge afferma di volerla riportare; gli danno del razzista e lui risponde di voler aiutare concretamente i paesi d’origine dei migranti economici a riprendersi chi è andato via (aiutiamoli a casa loro) e di voler accogliere i rifugiati politici. Pochi sostenitori mettono in discussione la fiducia che ripongono in lui, anzi il numero delle persone che convince aumenta. Ogni diatriba sembra aumentare il suo consenso.
Ma in fin dei conti, è ovvio, visto che non si espone mai in contesti rischiosi, saggiamente prediligendo il suo pensiero come terreno di battaglia. Giocando in casa, come la scaltra volpe con la povera cicogna, non può che vincere. Ovunque vada lo aspettano applausi e fischi, attestando che è sempre al centro dell’attenzione, anche quando non volesse.
Ciò che si può dire sia nuovo del discorso in piazza del popolo è la richiesta di un “mandato per trattare con l’Ue”, che ha subito fatto parlare e discutere. C’è subito chi dice che voglia scalzare Conte, che porta al centro dell’attenzione anche il breve scambio di frecciate con Di Maio, avvenuto in seguito all’incontro tra Salvini e le rappresentanze dell’imprenditoria. Va detto che è risaputo che chi ha incontrato Salvini al Viminale è notoriamente parte della base elettorale del suo partito, ed è ormai noto come ci sia stata una protesta da parte di questa base elettorale, di “competenza politica” della Lega; allo stesso modo va detto, ed è stato detto, che Di Maio già aveva in programma di incontrare le PMI e in generale i rappresentanti del sistema produttivo italiano, che è una competenza del Mise.
Ma, in fin dei conti, non si è capito bene cosa intendesse il ministro Salvini: dopo aver pronunciato la frase, infatti, utilizza la prima persona plurale, dicendo “se c’è il vostro mandato noi non abbiamo paura di niente e di nessuno”; a chi si riferisce: alla Lega, al governo, o è un pluralia maiestatis che si attribuisce? C’è chi si scervella per dare risposte a questo genere di domande, chi si indigna, ma il punto fondamentale è che agli occhi di buona parte dell’opinione pubblica Salvini è molto più avanti degli altri in quanto a idea di Europa. E come dar torto a chi pensa questo? Sarebbe ora, infatti, che chi sta inseguendo inizi a pensare, se non lo sta facendo, a cosa vuole proporre a Maggio 2019, e inizi a comunicarlo apertamente, o sarà inutile stracciarsi le vesti e abbandonarsi a previsioni apocalittiche di fronte a una vittoria di Salvini, colpevole, ad oggi, solo di essersi mosso prima e meglio sul fronte politico più scottante degli ultimi 20 anni, se non di più; e il fatto che sia un fronte così importante aggrava le colpe di chi in questo momento è ancora in ritardo, confuso, disordinato o addirittura assente.
Le cicogne di questo paese continuano ad andare a casa della volpe, senza mai invitarla a casa loro. Credo che alle cicogne, per sopravvivere, servano cicogne nuove.